Da “Quel
«contratto» e i pirati della Carta” di Salvatore Settis, pubblicato su “il
Fatto Quotidiano” del 2 di giugno 2018: (…). Lo Statuto Albertino (1848) sopravvisse
cent’anni. Mussolini cercò di cambiarlo nominando una “Commissione dei Soloni”,
antesignana delle commissioni di “saggi” per la modifica costituzionale di
questi ultimi anni. Ma le modifiche proposte dai Soloni erano così tenui che il
duce preferì soprassedere, e alterare l’ordinamento con una raffica di
fascistissime leggi ordinarie, contando sul fatto che lo Statuto non lo vietava
espressamente e sulla complicità del Re. I saggi di nuova generazione ci hanno propinato
soloneggiando la riforma costituzionale Renzi-Boschi, bocciata dal referendum:
perché, per nostra fortuna, la Costituzione repubblicana prevede una procedura
rigorosa. Ma le voglie di cambiar tutto non si sono spente. C’è chi (come
Renzi) sogna di rilanciare modifiche simili a quelle appena naufragate. C’è chi
finge di dimenticare articoli cruciali della Carta, devastando la spesa
sociale, la cultura, la sanità, la scuola, il diritto al lavoro (che in
Costituzione ci sono) in nome dell’ossequio ai mercati (che in Costituzione non
c’è). E c’è chi rispolvera adattandola ai tempi l’opposizione, formulata ai
tempi dello Statuto Albertino, fra Costituzione formale e “Costituzione
materiale”.(…). Alla luce di questa aberrazione strisciante la crisi istituzionale
dei giorni scorsi rivela il diffuso ripudio della difesa della Costituzione che
sembrò unire il Paese nel referendum del 4 dicembre 2016, e la riscrittura di
una fantacostituzione a propria immagine e somiglianza da parte di molti attori
politici e istituzionali. Di qui le crescenti e contrapposte anomalie della
crisi dopo il 4 marzo. Per esempio (lo ha scritto sul Fatto Tomaso Montanari)
“l’irresponsabile percorso di privatizzazione delle istituzioni repubblicane,
culminato nel contratto fra Lega e Cinque Stelle”. Tale testo ripropone sì i
consueti accordi fra partiti, che però non presero mai la forma notarile del
contratto fra alleati che diffidano l’un dell’altro. Ma senza questa diffidenza
non si capisce come mai al ruolo di presidente del Consiglio sia stato
designato non (come vuole l’art. 95 della Costituzione) un responsabile in
prima persona della politica generale del governo, bensì un “esecutore” di
voleri altrui. Il dialogo fra presidente del Consiglio incaricato e Presidente
della Repubblica (previsto dall’art. 92 della Costituzione) ne risultava
compromesso. Da un lato un premier uno e trino, dall’altro un Capo dello Stato
riluttante ad accettare la situazione. In questo scontro non di forze, ma di
debolezze, la prova data dagli alleati giallo-verdi e da Mattarella con
l’impuntatura sul nome di Paolo Savona è l’episodio più singolare. Nel governo
Conte ci sono ministri assai discutibili, come Salvini che vorrebbe armare gli
italiani e deportare i migranti. Ma è su Savona che abbiamo visto scontrarsi
due opposte “Costituzioni materiali”: quella di chi nega al Capo dello Stato il
diritto di discutere la scelta dei ministri che deve nominare e quella di un
Presidente che invoca i mercati per sigillare un suo veto, che poi si rimangia
spostando Savona di una casella sulla scacchiera del governo. E perché mai il
Capo dello Stato dovrebbe impedire che un nuovo governo apra un negoziato sulle
politiche di bilancio e di austerità in Europa? Contro queste politiche si sono
pronunciati molti nostri governanti, anche l’allora presidente del Consiglio
Renzi; ma senza trarne le conseguenze. E l’unica possibile interpretazione del
risultato elettorale è che su questo fronte un altissimo numero di italiani si
aspetta un governo capace non di uscire dall’euro, ma di negoziare un’Europa
più giusta, essendone l’Italia non un servitore o una colonia, bensì uno dei
principali componenti.
Ma perché mai fermare sul nascere un governo uscito dalle urne per sostituirlo con un governo tecnico di brevissima vita avrebbe dovuto “tranquillizzare i mercati”? Provando a spedire Cottarelli in Parlamento per una inevitabile crocifissione, Mattarella inchiodava se stesso a una decisione che imprime al ruolo del Capo dello Stato “una torsione inaudita” (Montanari). Sorprende che un uomo dal curriculum impeccabile come Mattarella non abbia previsto le conseguenze del suo gesto: oltre all’improponibile impeachment (per fortuna rientrato), abbiamo visto crescere sull’istante due tesi opposte. A un estremo, la compressione del ruolo del Presidente della Repubblica a una servile presa d’atto della lista dei ministri. All’altro estremo, la rivendicazione di una repubblica presidenziale. La conversione a U dell’ultimo minuto, la momentanea convivenza in pectore di due premier incaricati, il responsabile distacco di Cottarelli da un’avventura che lo avrebbe travolto hanno corretto il tiro, ma introducendo nella prassi nuove varianti che la Carta non prevede. Il 4 dicembre 2016 abbiamo difeso la Costituzione da una pessima riforma. Oggi quei valori sono messi in discussione dal ribollire di una “Costituzione materiale” a cui istituzioni e politici collaborano anche senza volerlo. Nel 2013 si ignorò il responso delle urne, perdendo poi un’intera legislatura in miserevoli conati. Nel 2018 era necessario un governo politico, in cui le forze disposte a farlo mettano se stesse alla prova. E ora dobbiamo vigilare, mentre si aspetta il nuovo governo alla prova della Costituzione. Dato che il cosiddetto “contratto” è una bizzarria extra-costituzionale, che cosa ci dirà il presidente Conte nel suo discorso programmatico? Si limiterà a copiare il compito, o mostrerà l’indipendenza di giudizio e la leadership prescritte dall’art. 95 della Costituzione? Che posto darà a temi, come la cultura e la scuola, che il “contratto” affronta di striscio e senza idee? Propugnerà, come il “contratto”, una difesa domiciliare “sempre legittima”? Raccoglierà dal suo ministro dell’Interno Salvini l’idea che un italiano su due debba essere armato? Queste e altre domande premono. Dal Capo dello Stato e dal governo abbiamo il diritto di aspettarci un pieno impegno a rispettare la Costituzione vera, l’unica che abbiamo. Se non accadrà, sappiamo chi sarà la prima vittima: la nostra democrazia.
Ma perché mai fermare sul nascere un governo uscito dalle urne per sostituirlo con un governo tecnico di brevissima vita avrebbe dovuto “tranquillizzare i mercati”? Provando a spedire Cottarelli in Parlamento per una inevitabile crocifissione, Mattarella inchiodava se stesso a una decisione che imprime al ruolo del Capo dello Stato “una torsione inaudita” (Montanari). Sorprende che un uomo dal curriculum impeccabile come Mattarella non abbia previsto le conseguenze del suo gesto: oltre all’improponibile impeachment (per fortuna rientrato), abbiamo visto crescere sull’istante due tesi opposte. A un estremo, la compressione del ruolo del Presidente della Repubblica a una servile presa d’atto della lista dei ministri. All’altro estremo, la rivendicazione di una repubblica presidenziale. La conversione a U dell’ultimo minuto, la momentanea convivenza in pectore di due premier incaricati, il responsabile distacco di Cottarelli da un’avventura che lo avrebbe travolto hanno corretto il tiro, ma introducendo nella prassi nuove varianti che la Carta non prevede. Il 4 dicembre 2016 abbiamo difeso la Costituzione da una pessima riforma. Oggi quei valori sono messi in discussione dal ribollire di una “Costituzione materiale” a cui istituzioni e politici collaborano anche senza volerlo. Nel 2013 si ignorò il responso delle urne, perdendo poi un’intera legislatura in miserevoli conati. Nel 2018 era necessario un governo politico, in cui le forze disposte a farlo mettano se stesse alla prova. E ora dobbiamo vigilare, mentre si aspetta il nuovo governo alla prova della Costituzione. Dato che il cosiddetto “contratto” è una bizzarria extra-costituzionale, che cosa ci dirà il presidente Conte nel suo discorso programmatico? Si limiterà a copiare il compito, o mostrerà l’indipendenza di giudizio e la leadership prescritte dall’art. 95 della Costituzione? Che posto darà a temi, come la cultura e la scuola, che il “contratto” affronta di striscio e senza idee? Propugnerà, come il “contratto”, una difesa domiciliare “sempre legittima”? Raccoglierà dal suo ministro dell’Interno Salvini l’idea che un italiano su due debba essere armato? Queste e altre domande premono. Dal Capo dello Stato e dal governo abbiamo il diritto di aspettarci un pieno impegno a rispettare la Costituzione vera, l’unica che abbiamo. Se non accadrà, sappiamo chi sarà la prima vittima: la nostra democrazia.
A questa domamda bisogna aspettare, vigilando, quanto i protagonisti di questo governo pensaranno di fare e rispondere prima che sbaglimo.
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