"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 12 giugno 2018

Primapagina. 97 “I pirati della «Carta» e le domande che premono”.


Da “Quel «contratto» e i pirati della Carta” di Salvatore Settis, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 2 di giugno 2018: (…). Lo Statuto Albertino (1848) sopravvisse cent’anni. Mussolini cercò di cambiarlo nominando una “Commissione dei Soloni”, antesignana delle commissioni di “saggi” per la modifica costituzionale di questi ultimi anni. Ma le modifiche proposte dai Soloni erano così tenui che il duce preferì soprassedere, e alterare l’ordinamento con una raffica di fascistissime leggi ordinarie, contando sul fatto che lo Statuto non lo vietava espressamente e sulla complicità del Re. I saggi di nuova generazione ci hanno propinato soloneggiando la riforma costituzionale Renzi-Boschi, bocciata dal referendum: perché, per nostra fortuna, la Costituzione repubblicana prevede una procedura rigorosa. Ma le voglie di cambiar tutto non si sono spente. C’è chi (come Renzi) sogna di rilanciare modifiche simili a quelle appena naufragate. C’è chi finge di dimenticare articoli cruciali della Carta, devastando la spesa sociale, la cultura, la sanità, la scuola, il diritto al lavoro (che in Costituzione ci sono) in nome dell’ossequio ai mercati (che in Costituzione non c’è). E c’è chi rispolvera adattandola ai tempi l’opposizione, formulata ai tempi dello Statuto Albertino, fra Costituzione formale e “Costituzione materiale”.(…). Alla luce di questa aberrazione strisciante la crisi istituzionale dei giorni scorsi rivela il diffuso ripudio della difesa della Costituzione che sembrò unire il Paese nel referendum del 4 dicembre 2016, e la riscrittura di una fantacostituzione a propria immagine e somiglianza da parte di molti attori politici e istituzionali. Di qui le crescenti e contrapposte anomalie della crisi dopo il 4 marzo. Per esempio (lo ha scritto sul Fatto Tomaso Montanari) “l’irresponsabile percorso di privatizzazione delle istituzioni repubblicane, culminato nel contratto fra Lega e Cinque Stelle”. Tale testo ripropone sì i consueti accordi fra partiti, che però non presero mai la forma notarile del contratto fra alleati che diffidano l’un dell’altro. Ma senza questa diffidenza non si capisce come mai al ruolo di presidente del Consiglio sia stato designato non (come vuole l’art. 95 della Costituzione) un responsabile in prima persona della politica generale del governo, bensì un “esecutore” di voleri altrui. Il dialogo fra presidente del Consiglio incaricato e Presidente della Repubblica (previsto dall’art. 92 della Costituzione) ne risultava compromesso. Da un lato un premier uno e trino, dall’altro un Capo dello Stato riluttante ad accettare la situazione. In questo scontro non di forze, ma di debolezze, la prova data dagli alleati giallo-verdi e da Mattarella con l’impuntatura sul nome di Paolo Savona è l’episodio più singolare. Nel governo Conte ci sono ministri assai discutibili, come Salvini che vorrebbe armare gli italiani e deportare i migranti. Ma è su Savona che abbiamo visto scontrarsi due opposte “Costituzioni materiali”: quella di chi nega al Capo dello Stato il diritto di discutere la scelta dei ministri che deve nominare e quella di un Presidente che invoca i mercati per sigillare un suo veto, che poi si rimangia spostando Savona di una casella sulla scacchiera del governo. E perché mai il Capo dello Stato dovrebbe impedire che un nuovo governo apra un negoziato sulle politiche di bilancio e di austerità in Europa? Contro queste politiche si sono pronunciati molti nostri governanti, anche l’allora presidente del Consiglio Renzi; ma senza trarne le conseguenze. E l’unica possibile interpretazione del risultato elettorale è che su questo fronte un altissimo numero di italiani si aspetta un governo capace non di uscire dall’euro, ma di negoziare un’Europa più giusta, essendone l’Italia non un servitore o una colonia, bensì uno dei principali componenti.
Ma perché mai fermare sul nascere un governo uscito dalle urne per sostituirlo con un governo tecnico di brevissima vita avrebbe dovuto “tranquillizzare i mercati”? Provando a spedire Cottarelli in Parlamento per una inevitabile crocifissione, Mattarella inchiodava se stesso a una decisione che imprime al ruolo del Capo dello Stato “una torsione inaudita” (Montanari). Sorprende che un uomo dal curriculum impeccabile come Mattarella non abbia previsto le conseguenze del suo gesto: oltre all’improponibile impeachment (per fortuna rientrato), abbiamo visto crescere sull’istante due tesi opposte. A un estremo, la compressione del ruolo del Presidente della Repubblica a una servile presa d’atto della lista dei ministri. All’altro estremo, la rivendicazione di una repubblica presidenziale. La conversione a U dell’ultimo minuto, la momentanea convivenza in pectore di due premier incaricati, il responsabile distacco di Cottarelli da un’avventura che lo avrebbe travolto hanno corretto il tiro, ma introducendo nella prassi nuove varianti che la Carta non prevede. Il 4 dicembre 2016 abbiamo difeso la Costituzione da una pessima riforma. Oggi quei valori sono messi in discussione dal ribollire di una “Costituzione materiale” a cui istituzioni e politici collaborano anche senza volerlo. Nel 2013 si ignorò il responso delle urne, perdendo poi un’intera legislatura in miserevoli conati. Nel 2018 era necessario un governo politico, in cui le forze disposte a farlo mettano se stesse alla prova. E ora dobbiamo vigilare, mentre si aspetta il nuovo governo alla prova della Costituzione. Dato che il cosiddetto “contratto” è una bizzarria extra-costituzionale, che cosa ci dirà il presidente Conte nel suo discorso programmatico? Si limiterà a copiare il compito, o mostrerà l’indipendenza di giudizio e la leadership prescritte dall’art. 95 della Costituzione? Che posto darà a temi, come la cultura e la scuola, che il “contratto” affronta di striscio e senza idee? Propugnerà, come il “contratto”, una difesa domiciliare “sempre legittima”? Raccoglierà dal suo ministro dell’Interno Salvini l’idea che un italiano su due debba essere armato? Queste e altre domande premono. Dal Capo dello Stato e dal governo abbiamo il diritto di aspettarci un pieno impegno a rispettare la Costituzione vera, l’unica che abbiamo. Se non accadrà, sappiamo chi sarà la prima vittima: la nostra democrazia.

1 commento:

  1. A questa domamda bisogna aspettare, vigilando, quanto i protagonisti di questo governo pensaranno di fare e rispondere prima che sbaglimo.

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