Da “Questo è
un governo di selvaggi, ma il Pd doveva parlare coi 5stelle”, intervista di
Antonello Caporale al professor Aldo Masullo – già deputato del P.C.I. e successivamente
senatore - pubblicata su “il fatto Quotidiano” dell’11 di giugno 2018: (…). “Domenica
3 giugno ero in casa in poltrona come rintronato dalla novità. Le immagini
scorrevano e il nuovo mondo si presentava. Ho provato una enorme solitudine. Mi
sono sentito perso. Il mio era lo straniamento di chi non ritrova non solo i
volti, e questo è naturale, ma le parole, le movenze, le virtù e persino i vizi
di una compagnia alla quale in qualche modo era abituato”.
Professore, lei sebbene col mal di pancia,
ha votato Partito democratico. “L’ho fatto e ancora lo rifarei per il senso che
io do alla parola fedeltà. La fedeltà non è una virtù privata o pubblica oppure
un gesto romantico. So bene quali siano le pecche, quanti gli errori, e il
numero dei narcisi e degli sprovveduti, degli arruffapopolo che sono transitati
nel Pd. La fedeltà che ho tributato al mio partito di riferimento, dal Pci a
tutti i suoi eredi, rappresenta lo sforzo continuo che noi facciamo per dare
una durata alle nostre idee, conservare qualcosa che è avvenuto ieri. Nel
deserto generale delle idee, la stabilità ideologica rappresenta per me un
porto sicuro, un piccolo punto fermo”.
Altri elettori di sinistra, e se ne contano
a milioni, hanno deciso diversamente da lei. “So bene. Perciò mi sarei
aspettato che il Pd, invece di divenire spettatore muto, promuovesse anzi
provocasse nell’immediato dopo voto un confronto con i Cinque Stelle. Io non
avrei atteso la chiamata, avrei invece avanzato dei punti programmatici sui
quali discutere. Forse non sarebbe accaduto nulla di strabiliante, ma avremmo
acquisito una posizione dominante nel dibattito politico e non saremmo relegati
al solo commento di uno scenario così lontano dalle nostre aspettative”.
Ora che i giochi sono fatti e le alleanze concluse qual è la posizione che dovrebbe assumere il Pd? “Non replicare l’opposizione al primo Berlusconi, non ritenere che l’agonismo possa soppiantare la politica. Entrare nel confronto con le idee ben chiare, con proposte efficaci. Ribaltare un esito elettorale che è anche un moto di popolo non è impresa che possa essere affidata a generosi provocatori. Ha bisogno di studi, competenze e soprattutto ha bisogno di entrare nelle viscere della società. La sinistra sembra estranea, riparata nel suo pertugio che adesso si fa quasi invisibile. Quindi non spingere il tasto dell’accanimento e del pregiudizio, non incamminarsi sulla strada degli odiatori di professione. Essere sempre pronti a cogliere le contraddizioni che ci saranno, hai voglia tu se ci saranno! L’aggressività è una manifestazione di debolezza. In genere il forte riduce l’altro alla ragione grazie alla logica, alla spietata virtù del principio di realtà”.
È speranzoso che ciò accada? “Io avverto che
spesso si commette l’errore di ritenere la politica solo un mantello che si
adagia su un corpo altrui. Così si perde di vista l’enormità della questione
che ci tocca affrontare col nuovo mondo”.
Ricordo bene, lei li illustra spesso i tre
problemi capitali. “A) la globalizzazione; b) la finanziarizzazione
dell’economia; c) la tecnologia. Questi sono i tre nuovi poteri con cui bisogna
fare i conti. Invece, e qui avanzo una parola di compatimento, vedo i politici,
anche questi che hanno vinto, che vanno al combattimento senza accorgersi che
sono morti (ps. dovrebbero leggere l’Orlando secondo me)”.
La politica è sempre sopraffatta dalla
realtà. “Appare sempre debole, incapace, incompetente”.
E questo governo? Chi lo chiama dei barbari,
chi lo vede fascistizzante, chi populista, chi sovranista. “Ha qualche elemento
selvaggio, anche se il premier possiede modi curati e un linguaggio piano che
credo piaccia a chi ha bisogno di intendere parole semplici”.
Tullio De Mauro, il grande linguista,
ricordava sempre che più di un terzo degli italiani comprende solo messaggi
lineari, legge e capisce periodi semplici dove il sostantivo dev’essere
accompagnato dal verbo e dal complemento oggetto. Ogni incidentale è vietata
perché rende intelligibile la frase. “Ecco, questo siamo”.
E a quelli che chiama selvaggi cosa
consiglia? “Ai Cinque Stelle dico che devono fare più attenzione a ritenere
come un fatturato democratico il clic sul computer. L’opinione pubblica, anche
la loro, non matura attraverso un continuo referendum del sì e del no. La loro
gente avanzerà nella coscienza e anche nella proposta attraverso la
discussione. Devono sapere, se non lo sanno, che l’opinione pubblica si forma
nel dibattito continuo”.
A quali rischi va incontro il movimento di
Grillo? “Di essere divorato dalla Lega. In politica come in natura può capitare
che un serpente ne divori un altro. I Cinque Stelle raccolgono una massa più
numerosa di voti, ma sono voti disomogenei dove vasti bacini di dolore sociale
si uniscono, formando questo esercito della salvezza, a presenze a volte
capricciose di oppositori per partito preso, e piccoli e mobili aggregati
clientelari”.
La Lega ha una fanteria meglio armata. “Sì,
nel linguaggio bellico i Cinque Stelle fanno la figura delle reclute e i
leghisti quella di una cavalleria compatta. Il blocco geografico è
sperimentato, socialmente omogeneo e anche culturalmente affine, per lifestyle,
ai dirigenti del movimento”.
Serpente mangia serpente. “Sì. Anche perché
la Lega ha la chance di riserva: se butta all’aria il tavolo si rifugia nella
casa del Padre, il noto centrodestra servente. Un blocco di interessi che non
si sfalda neanche se declina la figura del suo leader storico, Silvio
Berlusconi”.
E i grillini dove vanno? “Ecco, non hanno
dove andare. Questa prova di governo è la prima e rischierebbe di divenire
l’ultima se la realtà dovesse negare il tempo che serve alla speranza di
trasformarsi in un atto, cioè in un fatto buono”.
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