"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 19 giugno 2018

Primapagina. 100 “Quello&l’altro”.


Da “Matteo Due, la barzelletta che fa ridere soltanto lui” di Antonio Padellaro, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 17 di giugno 2018: (…). Venerdì sera (15 di giugno n.d.r.), Matteo Salvini se la ride in tv mentre commenta il lavoro dei magistrati romani. Scherza, sfotte, si sente invulnerabile, in un ventre di vacca. I 200 mila euro versati dal costruttore Parnasi alla Lega? Ah ah, tutto legale. Lui se ne catastrafotte (Cammilleri). Pensate, è il ministro degli Interni, dovrebbe rappresentare “con onore e disciplina” (art. 54 della Costituzione) il governo, le istituzioni. Ma è un problema che neppure lo sfiora quando definisce “il nulla” l’inchiesta della Procura della Capitale. Migliaia di pagine di verbali? Ah ah, il nulla. Ammissioni e dimissioni (il Mr. Wolf di Acea, Lanzalone). Il nulla. Da scompisciarsi. Come dargli torto? Ormai cammina, anzi si libra, sospeso in una nuvola di lodi, celebrazioni, incensamenti. Già prima era tutto un turibolare Matteo Due (spesso gli stessi che avevano turibolato Matteo Uno Renzi). Quanto è bravo, un politico di razza, un profeta. A dirlo erano i suoi amici leghisti, gli elettori con la bava alla bocca, gli italiani (quelli che vengono “prima”) dal grilletto facile. Poi, domenica scorsa, la “vomitevole” decisione di chiudere i porti ai 629 migranti dell’Aquarius e Salvini diventa santo subito. A spellarsi le mani soprattutto quelli che lo hanno sempre considerato un furbacchione, un perdigiorno, un ganassa. Ieri era: uno che non ha mai lavorato in vita sua. Oggi è: lo statista che tutto il mondo ci invidia. Quando dice: la pacchia è finita, subito i massmediologi si arrapano per la genialità del messaggio. Quando definisce “in crociera” quelli dell’Aquarius, “vomitevole” diventa un complimento. Lui gigioneggia: “Mi sono fatto sentire, oggi l’Italia viene rispettata”. Sì, come quello che fa quattro urlacci in una sala: certo che ti sentono ma l’unico risultato è che poi t’insultano. Il “buon cuore” del premier socialista spagnolo Pedro Sánchez ci evita il disprezzo del mondo civilizzato per avere mandato alla deriva una nave di disperati. Infatti, col grande statista non vuole parlarci nessuno. Infatti, Donald Trump ed Emmanuel Macron si sperticano in elogi per Giuseppe Conte chi? Non conta una cippa ma dialogheranno solo con lui. L’uomo del Viminale ci resta male, frigna. Ma il gioco è scoperto. Il mondo ci rispetta (ah ah) ma i migranti continuano a sbarcare sulle coste italiane. Lui si accontenta di aver spezzato le reni alle Ong. Sulla vicenda dello stadio fa il bullo ma “il no so se ci sono altri elementi”, a Testaccio, si chiama strizza. È un demagogo dal fiato corto che lucra sulle disgrazie degli alleati Cinque Stelle. A cui più che la compagnia di qualche mariuolo viene fatta pagare la pretesa di legalità. Come si permettono? Invece, alla Lega di Salvini, con quei precedenti (tanto per dire: una banca padana fallita, il tesoro scomparso del tesoriere) si perdona tutto. Lì la pacchia prosegue. Però, non chiamatelo fascista. Quella fu una tragedia. Questa è una barzelletta che fa ridere solo lui.

Da “Gli ordini di Salvini e il silenzio dei 5S” di Furio Colombo, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 17 di giugno 2018: Gli esseri umani si dividono in buoni e cattivi da una parte, e in Lega e Cinque Stelle dall’altra. Tra il primo gruppo, che contiene i peggiori, i migliori, ma anche i mediocri e gli indifferenti, c’è un intero repertorio che, nei secoli, la letteratura, il teatro, la religione, le vicende militari e politiche, ci hanno tramandato. Il caso Lega e il caso Cinque Stelle sono diversi e unici. La Lega, fin dalle sue origini, era culturalmente sprovvista di tutto e campava politicamente, ma anche materialmente, a carico del finto benefattore Berlusconi, che aveva visto subito i benefici che avrebbe potuto trarre da un simile vuoto culturale e morale. La Lega, infatti, portava in dote al partito affittuario la voglia di spaccare l’Italia. Si è impegnata subito a farlo invocando la secessione. La minaccia di secessione faceva comodo al finto benefattore perché distorceva e dirottava ogni discorso politico ed economico su possibili cambiamenti e modernizzazioni del Paese, creava un immenso disordine, lasciava ai senza politica molto tempo libero per curare i propri interessi (e anche i conflitti di interessi più vistosi). Quando la secessione si è spenta perché tutta Milano era tenuta in piedi da gente del Sud, il partito, che era entrato in Parlamento con il nome “per la Secessione della Padania” (annunciando cioè un progetto di reato per un’area inesistente) si è dedicato temporaneamente alla denigrazione degli italiani meridionali (verificare i verbali di Camera e Senato, fino a tutto il secondo governo Berlusconi, in cui il leghista Maroni era già ministro dell’Interno) dello Stato (“Roma Ladrona” non era uno slogan contro la corruzione della Capitale, ma per incoraggiare l’inutilità e anzi la stupidità di pagare le tasse), una stagione politica conclusa con l’intimare agli italiani (da parte di un uomo di governo) di mettere il tricolore “nel cesso”. Bossi, volgare e disinibito, faceva ridere, ma il gruppo direttivo della Lega, che dura tuttora, aveva ambizioni più grandi. E qui si colloca il vero eroe della Lega. Già a metà degli anni 90, quando sarebbe stato difficile parlare di invasione, quando la maggioranza degli italiani dichiarava sentimenti di solidarietà per i profughi, Mario Borghezio, deputato della Lega, ha scoperto i negri. È lui che ha guidato una pattuglia di “guardie padane” (c’era anche la divisa) a dar fuoco ai giacigli di poveri cristi che dormivano sotto i ponti della Dora a Torino. C’è una sentenza passata in giudicato, e c’è un modo di agire che, da quel momento, diventerà tipico della Lega: far male quando è possibile o almeno spingere via e umiliare, lasciando per esempio col piatto vuoto i bambini che, dopo la paura di morire in mare, sono approdati in scuole leghiste. Memorabile il caso del piccolo paese di Adro, dove il sindaco Lencini ha lasciato i bambini immigrati digiuni, e un altro Lencini, imprenditore dello stesso paese, ha deciso di pagare la mensa scolastica per tutti i bambini, locali e immigrati. Intanto due personaggi da dimenticare hanno scritto l’unica legge esistente sull’immigrazione. È la Bossi-Fini, considerata assurda, disumana, crudele e inapplicabile da quasi tutti i giuristi. Nel frattempo il ministro dell’Interno della “Italia invasa” è stato per oltre un decennio il leghista Maroni che ha svolto da leghista il suo compito: per gli immigrati niente. Pochi anni dopo la fine del governo Maroni arriva il governo Salvini, e l’impegno si è incrudelito: fermare e cacciare. Salvini però, per onorare la sua personalità esuberante, decide di avere un potere pieno, da non discutere. E senza consultarsi con nessuno, chiude il mare. Accanto ai leghisti, nell’unione forgiata da un contratto che dovrebbe governare l’Italia, ci sono i Cinque Stelle. Il mistero è ancora più fitto. I Cinque Stelle sembrano privi della consistenza corporea e della pesantezza fisica con cui i leghisti gravano sull’Italia. Resterà nella storia, forse non quella politica ma nelle storie di fantasmi, la figura di Di Maio, che passa in silenzio sul fondo di Palazzo Chigi, mentre il suo omologo ha chiuso i porti, ha abbandonato quattro navi (che trasportano profughi esausti, feriti, donne incinte, bambini, alcuni cadaveri che vengono rigettati in mare), ha rotto i rapporti con la Francia, ha manovrato la spaccatura della Germania (ministro dell’Interno tedesco contro la Merkel), ha sanzionato il legame con i governi filofascisti di Orbán e Kurz. Nel silenzio dei Cinque Stelle, presenti come ologrammi che mimano ministri, deputati e governo, una nave in cui la maggioranza dei profughi sono donne (donne incinte), bambini e adulti bisognosi di cure immediate, è stata condannata da Salvini padrone a traversare una violenta tempesta per 700 miglia (è la distanza dal porto spagnolo che ha accettato lo sbarco) mentre era a 30 miglia dalle coste italiane. Ma chi è Salvini che tiene al guinzaglio Di Maio? E chi è Di Maio, così soggetto al padrone?

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