Da “Matteo
Due, la barzelletta che fa ridere soltanto lui” di Antonio Padellaro, pubblicato
su “il Fatto Quotidiano” del 17 di giugno 2018: (…). Venerdì sera (15 di
giugno n.d.r.), Matteo Salvini se la ride in tv mentre commenta il lavoro dei
magistrati romani. Scherza, sfotte, si sente invulnerabile, in un ventre di
vacca. I 200 mila euro versati dal costruttore Parnasi alla Lega? Ah ah, tutto
legale. Lui se ne catastrafotte (Cammilleri). Pensate, è il ministro degli
Interni, dovrebbe rappresentare “con onore e disciplina” (art. 54 della
Costituzione) il governo, le istituzioni. Ma è un problema che neppure lo
sfiora quando definisce “il nulla” l’inchiesta della Procura della Capitale.
Migliaia di pagine di verbali? Ah ah, il nulla. Ammissioni e dimissioni (il Mr.
Wolf di Acea, Lanzalone). Il nulla. Da scompisciarsi. Come dargli torto? Ormai
cammina, anzi si libra, sospeso in una nuvola di lodi, celebrazioni,
incensamenti. Già prima era tutto un turibolare Matteo Due (spesso gli stessi
che avevano turibolato Matteo Uno Renzi). Quanto è bravo, un politico di razza,
un profeta. A dirlo erano i suoi amici leghisti, gli elettori con la bava alla
bocca, gli italiani (quelli che vengono “prima”) dal grilletto facile. Poi,
domenica scorsa, la “vomitevole” decisione di chiudere i porti ai 629 migranti
dell’Aquarius e Salvini diventa santo subito. A spellarsi le mani soprattutto
quelli che lo hanno sempre considerato un furbacchione, un perdigiorno, un ganassa.
Ieri era: uno che non ha mai lavorato in vita sua. Oggi è: lo statista che
tutto il mondo ci invidia. Quando dice: la pacchia è finita, subito i
massmediologi si arrapano per la genialità del messaggio. Quando definisce “in
crociera” quelli dell’Aquarius, “vomitevole” diventa un complimento. Lui
gigioneggia: “Mi sono fatto sentire, oggi l’Italia viene rispettata”. Sì, come
quello che fa quattro urlacci in una sala: certo che ti sentono ma l’unico
risultato è che poi t’insultano. Il “buon cuore” del premier socialista
spagnolo Pedro Sánchez ci evita il disprezzo del mondo civilizzato per avere
mandato alla deriva una nave di disperati. Infatti, col grande statista non
vuole parlarci nessuno. Infatti, Donald Trump ed Emmanuel Macron si sperticano
in elogi per Giuseppe Conte chi? Non conta una cippa ma dialogheranno solo con
lui. L’uomo del Viminale ci resta male, frigna. Ma il gioco è scoperto. Il
mondo ci rispetta (ah ah) ma i migranti continuano a sbarcare sulle coste
italiane. Lui si accontenta di aver spezzato le reni alle Ong. Sulla vicenda
dello stadio fa il bullo ma “il no so se ci sono altri elementi”, a Testaccio,
si chiama strizza. È un demagogo dal fiato corto che lucra sulle disgrazie
degli alleati Cinque Stelle. A cui più che la compagnia di qualche mariuolo
viene fatta pagare la pretesa di legalità. Come si permettono? Invece, alla
Lega di Salvini, con quei precedenti (tanto per dire: una banca padana fallita,
il tesoro scomparso del tesoriere) si perdona tutto. Lì la pacchia prosegue.
Però, non chiamatelo fascista. Quella fu una tragedia. Questa è una barzelletta
che fa ridere solo lui.
Da “Gli
ordini di Salvini e il silenzio dei 5S” di Furio Colombo, pubblicato su “il
Fatto Quotidiano” del 17 di giugno 2018: Gli esseri umani si dividono in buoni e
cattivi da una parte, e in Lega e Cinque Stelle dall’altra. Tra il primo
gruppo, che contiene i peggiori, i migliori, ma anche i mediocri e gli
indifferenti, c’è un intero repertorio che, nei secoli, la letteratura, il
teatro, la religione, le vicende militari e politiche, ci hanno tramandato. Il
caso Lega e il caso Cinque Stelle sono diversi e unici. La Lega, fin dalle sue
origini, era culturalmente sprovvista di tutto e campava politicamente, ma
anche materialmente, a carico del finto benefattore Berlusconi, che aveva visto
subito i benefici che avrebbe potuto trarre da un simile vuoto culturale e
morale. La Lega, infatti, portava in dote al partito affittuario la voglia di
spaccare l’Italia. Si è impegnata subito a farlo invocando la secessione. La
minaccia di secessione faceva comodo al finto benefattore perché distorceva e
dirottava ogni discorso politico ed economico su possibili cambiamenti e
modernizzazioni del Paese, creava un immenso disordine, lasciava ai senza
politica molto tempo libero per curare i propri interessi (e anche i conflitti
di interessi più vistosi). Quando la secessione si è spenta perché tutta Milano
era tenuta in piedi da gente del Sud, il partito, che era entrato in Parlamento
con il nome “per la Secessione della Padania” (annunciando cioè un progetto di
reato per un’area inesistente) si è dedicato temporaneamente alla denigrazione
degli italiani meridionali (verificare i verbali di Camera e Senato, fino a
tutto il secondo governo Berlusconi, in cui il leghista Maroni era già ministro
dell’Interno) dello Stato (“Roma Ladrona” non era uno slogan contro la
corruzione della Capitale, ma per incoraggiare l’inutilità e anzi la stupidità
di pagare le tasse), una stagione politica conclusa con l’intimare agli
italiani (da parte di un uomo di governo) di mettere il tricolore “nel cesso”.
Bossi, volgare e disinibito, faceva ridere, ma il gruppo direttivo della Lega,
che dura tuttora, aveva ambizioni più grandi. E qui si colloca il vero eroe
della Lega. Già a metà degli anni 90, quando sarebbe stato difficile parlare di
invasione, quando la maggioranza degli italiani dichiarava sentimenti di
solidarietà per i profughi, Mario Borghezio, deputato della Lega, ha scoperto i
negri. È lui che ha guidato una pattuglia di “guardie padane” (c’era anche la
divisa) a dar fuoco ai giacigli di poveri cristi che dormivano sotto i ponti
della Dora a Torino. C’è una sentenza passata in giudicato, e c’è un modo di
agire che, da quel momento, diventerà tipico della Lega: far male quando è
possibile o almeno spingere via e umiliare, lasciando per esempio col piatto
vuoto i bambini che, dopo la paura di morire in mare, sono approdati in scuole
leghiste. Memorabile il caso del piccolo paese di Adro, dove il sindaco Lencini
ha lasciato i bambini immigrati digiuni, e un altro Lencini, imprenditore dello
stesso paese, ha deciso di pagare la mensa scolastica per tutti i bambini,
locali e immigrati. Intanto due personaggi da dimenticare hanno scritto l’unica
legge esistente sull’immigrazione. È la Bossi-Fini, considerata assurda,
disumana, crudele e inapplicabile da quasi tutti i giuristi. Nel frattempo il
ministro dell’Interno della “Italia invasa” è stato per oltre un decennio il
leghista Maroni che ha svolto da leghista il suo compito: per gli immigrati
niente. Pochi anni dopo la fine del governo Maroni arriva il governo Salvini, e
l’impegno si è incrudelito: fermare e cacciare. Salvini però, per onorare la
sua personalità esuberante, decide di avere un potere pieno, da non discutere.
E senza consultarsi con nessuno, chiude il mare. Accanto ai leghisti,
nell’unione forgiata da un contratto che dovrebbe governare l’Italia, ci sono i
Cinque Stelle. Il mistero è ancora più fitto. I Cinque Stelle sembrano privi
della consistenza corporea e della pesantezza fisica con cui i leghisti gravano
sull’Italia. Resterà nella storia, forse non quella politica ma nelle storie di
fantasmi, la figura di Di Maio, che passa in silenzio sul fondo di Palazzo
Chigi, mentre il suo omologo ha chiuso i porti, ha abbandonato quattro navi
(che trasportano profughi esausti, feriti, donne incinte, bambini, alcuni
cadaveri che vengono rigettati in mare), ha rotto i rapporti con la Francia, ha
manovrato la spaccatura della Germania (ministro dell’Interno tedesco contro la
Merkel), ha sanzionato il legame con i governi filofascisti di Orbán e Kurz.
Nel silenzio dei Cinque Stelle, presenti come ologrammi che mimano ministri,
deputati e governo, una nave in cui la maggioranza dei profughi sono donne
(donne incinte), bambini e adulti bisognosi di cure immediate, è stata
condannata da Salvini padrone a traversare una violenta tempesta per 700 miglia
(è la distanza dal porto spagnolo che ha accettato lo sbarco) mentre era a 30
miglia dalle coste italiane. Ma chi è Salvini che tiene al guinzaglio Di Maio?
E chi è Di Maio, così soggetto al padrone?
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