Mi scriveva l’indimenticato,
carissimo amico Franco L., prematuramente
scomparso, in uno dei suoi ultimi, sempre attesissimi, appassionati e
graditissimi commenti ad un mio post del 30 di dicembre dell’anno 2010: (…).
Di fatto c’è già un nuovo ordine mondiale ma non sappiamo come sia; non
possiamo guardare soltanto al nostro piccolo campicello e alla scellerata («scellerata»
già allora, ma non gli è stato concesso dalla maligna sorte di vedere la
politica di questi nostri giorni) condizione della politica del nostro
paese; bisogna volare più in alto,
capire i processi globali, cercare di dare risposte ...serve aiuto per capire,
base opportuna per ogni agire. Gli risposi che ero d’accordo, anzi
d’accordissimo che ci fosse bisogno di “capire i processi globali”. Ma è
che quei “processi globali” li aveva capiti, tanto tempo prima di quei
tempi e dell’oggi, il grande vecchio di Treviri. E quindi non è che “non
sappiamo come sia” il nuovo “ordine mondiale”. Anzi è un ordine
vecchio, vecchissimo, l’ordine del sopraffattore sul più debole che accetta il
nuovo ordine – nuovo si fa per dire - e viene sopraffatto. Quel vecchio grande
nelle Sue opere, “Grundisse” in
particolare ed in tanti altri punti del Suo “Capitale”, aveva vaticinato le truffe speculative della finanza
allegra di questi tempi, truffe i cui danni sono stati ripiananti con le
finanze pubbliche dei paesi occidentali. Scriveva Bruno Gravagnuolo sul
quotidiano l’Unità del 31 di quel dicembre dell’anno 2010 nell’articolo “Buon Anno Nuovo, vecchio Dr. Marx”,
articolo che era di presentazione di due interessanti biografie del grande
vecchio di Treviri - Nicolao Merker “Karl
Marx. Vita e opere” editore Laterza, pp. 257, € 18,00; Francis Wheen “Karl Marx. Una vita” Isbn, pp. 397, € 27,00
- che quel grande vecchio aveva azzeccato
un’altra profezia, ovvero “l’intensificazione del valore prodotto,
tramite l’intensificazione tecnologica dei tempi di lavoro (più tempo di
sfruttamento in meno tempo). E con meno addetti. Inoltre: la creazione di un
immenso esercito di riserva flessibile per il lavoro capitalistico che tiene
bassi i salari e in concorrenza virtuosa (per il capitalista). E ancora:
l’intercambiabilità dei lavori, in un lavoro generale e «astratto» dove tutti
fanno tutto e a poco prezzo nella costrizione continua di doversi riciclare.
Dalla fabbrica, ai servizi, all’intrattenimento. Da ultimo, e qui l’«antica
novità»: l’assottigliamento del ceto medio, passato dall’espansione degli anni
di welfare alla minaccia dell’impoverimento. Col corollario invece
dell’espansione del lavoro dipendente e multiuso, decentrato e delocalizzato,
al punto di non sapersi più riconoscere come classe (e magari incattivito da
ideologie populiste, localiste o fondamentaliste). Ebbene Marx conobbe, a modo
suo e anticipò, queste cose.” Nulla di nuovo, quindi, sulla scena iniqua
del mondo. La strategia globale è chiara; omologare ed omogeneizzare il mondo
globalizzato del lavoro, dei prestatori d’opera, sui parametri più bassi, che
non sarà, in quell’ottica, strumento di redistribuzione di redditi, ma soltanto
impoverimento delle masse dei prestatori d’opera con conseguente arricchimento
delle rendite finanziarie e non del capitale utilizzato negli investimenti
produttivi. La domanda a questo punto sorge spontanea: le masse dei prestatori
d’opera del mondo occidentale accetteranno di essere appiattite sui parametri
retributivi resi al minimo dalle economie dei paesi emergenti e senza tutele
del mondo del lavoro?
Quelle masse, accetteranno accanto alla retrocessione ed all’impoverimento delle loro remunerazioni anche il saccheggio dei diritti acquisiti in decenni e decenni di lotte e conquiste normative? Il punto è questo. E null’altro. Rispondeva a quel tempo Francis Wheen – autore del già citato “Karl Marx. Una vita” - a Laura Piccinini che, intervistandolo per il settimanale D del quotidiano “la Repubblica” gli chiedeva “C'è un problema, mr. Wheen, da noi dicono che la lotta di classe è superata: sa, Marchionne...": - Per citare uno che la biografia se l'è scritta da sé (…) uscita in questi giorni: pure Tony Blair lo aveva detto quando diventò Primo Ministro, che la lotta di classe è over. L'ho sentito fare da politici e manager. Ma è assurdo. Finché ci saranno classi, e quelle in basso saranno sfruttate da chi sta su, ci sarà antagonismo. Se Marchionne pensa che la lotta di classe sia over, chi pensa di far lavorare negli stabilimenti? -. Il mondo è proprio vecchio ed ostinato assai. E dell’immutabilità delle cose del mondo ne parlava e ne declamava il premio Nobel Dario Fo in una Sua “performance” al teatro Valle quel venerdì 31 di dicembre dell’anno 2010 – riportata su “il Fatto Quotidiano” col titolo “Il segretario non è in sede, arrangiati!” -: Questo tragico e grottesco accordo di Mirafiori e Pomigliano ci riporta subito al film Tempi Moderni di Charlie Chaplin, dove si vive per la prima volta nella storia del lavoro dentro una fabbrica con catena di montaggio e assemblaggio automatizzato. Gli operai, Charlie Chaplin in testa, si muovono a ritmi stabiliti, gesti indicati dal programma in una strana danza che sembra festante, ma ha i tempi illogici di una storia di pazzi. Subito mi viene in mente anche dell’esperimento condotto in un Paese dell’Oriente tecnologicamente avanzato dove, qualche anno fa, si è pensato di sostituire agli operai delle scimmie appositamente ammaestrate. Dopo un certo periodo di addestramento gestuale le scimmie vengono inserite nella produzione. I dirigenti applaudono entusiasti: gli scimpanzé funzionano che è una meraviglia. E non c’è stato neanche bisogno di far loro firmare un contratto. È incredibile: non perdono un colpo, meglio dire, un automatismo. Anzi, atteggiano il volto a un sorriso straordinariamente divertito. Macchina, scimmia, ingranaggi, tempi e metodi rendono meglio che con l’uomo operaio. Ma dopo sei giorni, se pur rispettando le pause di riassetto e l’orario di mensa, ecco che le scimmie meccanizzate cominciano a dare strani segnali sconnessi. Qualcuna ingoia qualche bullone. Altre saltano sulla catena spruzzando olio lubrificante sul muso dei caporeparto umani, quindi con una sincronia impressionante ognuna posa il proprio cranio sotto le presse che s’abbassano spietate, schiacciando le lavoratrici impazzite. Non c’è niente da fare: all’impresa moderna sono adattabili e confacenti solo esseri umani appositamente selezionati. D’accordo, anche per i loro cervelli l’automatismo continuo produce un inevitabile marasma fisco. Si può ammorbidirlo e ritardarne quindi lo squak, allenando il cervello degli addetti a un completo distacco dall’azione fisica. Come insegna Graham, il perfezionatore di tempi e metodi nella catena di produzione, per riuscirci il soggetto operante deve distogliere ogni pensiero o ragionamento dalla vita emotiva, dall’inserto mnemonico dei sentimenti. Uscire completamente dal pensiero, dal clima delle emozioni e delle proiezioni intellettive, tipo: - Che sto facendo? Era questo il mio programma? Dove mi porta questo lavoro? Dentro che vita mi sto muovendo? E mio figlio, mia moglie, cosa sto dando loro di me? In che società sto campando, ne val la pena? - Ecco questo, ci avverte Graham, è il cancello del baratro: se lo spalanchi e ti lasci andare nel precipizio sei finito. A ‘sto punto, torna in primo piano Charlie Chaplin, che come un automa viene risucchiato dentro gli ingranaggi della grande macchina. Anche lui pian piano si rende conto d’essere fatto di bulloni, cinghie di trasmissione, cerchi rotanti, stantuffi e trapani avvitanti. Una voce meccanica ripete: - Chi non firma i contratti collettivi non ha diritto a rappresentanti sindacali. Chi s’ammala, per i primi tre giorni non riceve stipendio. Marchionne vi dà la vita e ve la toglie. Vi offre una nuova organizzazione del lavoro, prendere o lasciare. Cancella l’espressione sindacato e rappresentanza. Sei dentro l’ingranaggio come in una giostra alla quale solo chi accetta di non contare può allacciarsi la cintura. La velocità di rotazione è decisa dalla produzione e tu che non ci stai sei segnato -. A chi t’attacchi? Alla legge? Al partito della sinistra, a D’Alema, Fassino, Bersani? No, inutile. Il segretario è già uscito, non è in sede, arrangiati. E speriamo che a sinistra ci siano ancora uomini e donne che si indignano come uomini e donne di sinistra.
Quelle masse, accetteranno accanto alla retrocessione ed all’impoverimento delle loro remunerazioni anche il saccheggio dei diritti acquisiti in decenni e decenni di lotte e conquiste normative? Il punto è questo. E null’altro. Rispondeva a quel tempo Francis Wheen – autore del già citato “Karl Marx. Una vita” - a Laura Piccinini che, intervistandolo per il settimanale D del quotidiano “la Repubblica” gli chiedeva “C'è un problema, mr. Wheen, da noi dicono che la lotta di classe è superata: sa, Marchionne...": - Per citare uno che la biografia se l'è scritta da sé (…) uscita in questi giorni: pure Tony Blair lo aveva detto quando diventò Primo Ministro, che la lotta di classe è over. L'ho sentito fare da politici e manager. Ma è assurdo. Finché ci saranno classi, e quelle in basso saranno sfruttate da chi sta su, ci sarà antagonismo. Se Marchionne pensa che la lotta di classe sia over, chi pensa di far lavorare negli stabilimenti? -. Il mondo è proprio vecchio ed ostinato assai. E dell’immutabilità delle cose del mondo ne parlava e ne declamava il premio Nobel Dario Fo in una Sua “performance” al teatro Valle quel venerdì 31 di dicembre dell’anno 2010 – riportata su “il Fatto Quotidiano” col titolo “Il segretario non è in sede, arrangiati!” -: Questo tragico e grottesco accordo di Mirafiori e Pomigliano ci riporta subito al film Tempi Moderni di Charlie Chaplin, dove si vive per la prima volta nella storia del lavoro dentro una fabbrica con catena di montaggio e assemblaggio automatizzato. Gli operai, Charlie Chaplin in testa, si muovono a ritmi stabiliti, gesti indicati dal programma in una strana danza che sembra festante, ma ha i tempi illogici di una storia di pazzi. Subito mi viene in mente anche dell’esperimento condotto in un Paese dell’Oriente tecnologicamente avanzato dove, qualche anno fa, si è pensato di sostituire agli operai delle scimmie appositamente ammaestrate. Dopo un certo periodo di addestramento gestuale le scimmie vengono inserite nella produzione. I dirigenti applaudono entusiasti: gli scimpanzé funzionano che è una meraviglia. E non c’è stato neanche bisogno di far loro firmare un contratto. È incredibile: non perdono un colpo, meglio dire, un automatismo. Anzi, atteggiano il volto a un sorriso straordinariamente divertito. Macchina, scimmia, ingranaggi, tempi e metodi rendono meglio che con l’uomo operaio. Ma dopo sei giorni, se pur rispettando le pause di riassetto e l’orario di mensa, ecco che le scimmie meccanizzate cominciano a dare strani segnali sconnessi. Qualcuna ingoia qualche bullone. Altre saltano sulla catena spruzzando olio lubrificante sul muso dei caporeparto umani, quindi con una sincronia impressionante ognuna posa il proprio cranio sotto le presse che s’abbassano spietate, schiacciando le lavoratrici impazzite. Non c’è niente da fare: all’impresa moderna sono adattabili e confacenti solo esseri umani appositamente selezionati. D’accordo, anche per i loro cervelli l’automatismo continuo produce un inevitabile marasma fisco. Si può ammorbidirlo e ritardarne quindi lo squak, allenando il cervello degli addetti a un completo distacco dall’azione fisica. Come insegna Graham, il perfezionatore di tempi e metodi nella catena di produzione, per riuscirci il soggetto operante deve distogliere ogni pensiero o ragionamento dalla vita emotiva, dall’inserto mnemonico dei sentimenti. Uscire completamente dal pensiero, dal clima delle emozioni e delle proiezioni intellettive, tipo: - Che sto facendo? Era questo il mio programma? Dove mi porta questo lavoro? Dentro che vita mi sto muovendo? E mio figlio, mia moglie, cosa sto dando loro di me? In che società sto campando, ne val la pena? - Ecco questo, ci avverte Graham, è il cancello del baratro: se lo spalanchi e ti lasci andare nel precipizio sei finito. A ‘sto punto, torna in primo piano Charlie Chaplin, che come un automa viene risucchiato dentro gli ingranaggi della grande macchina. Anche lui pian piano si rende conto d’essere fatto di bulloni, cinghie di trasmissione, cerchi rotanti, stantuffi e trapani avvitanti. Una voce meccanica ripete: - Chi non firma i contratti collettivi non ha diritto a rappresentanti sindacali. Chi s’ammala, per i primi tre giorni non riceve stipendio. Marchionne vi dà la vita e ve la toglie. Vi offre una nuova organizzazione del lavoro, prendere o lasciare. Cancella l’espressione sindacato e rappresentanza. Sei dentro l’ingranaggio come in una giostra alla quale solo chi accetta di non contare può allacciarsi la cintura. La velocità di rotazione è decisa dalla produzione e tu che non ci stai sei segnato -. A chi t’attacchi? Alla legge? Al partito della sinistra, a D’Alema, Fassino, Bersani? No, inutile. Il segretario è già uscito, non è in sede, arrangiati. E speriamo che a sinistra ci siano ancora uomini e donne che si indignano come uomini e donne di sinistra.
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