Da “Adele Corradi” di Simonetta Fiori, intervista ad Adele Corradi
pubblicata sul quotidiano la Repubblica del 10 di luglio dell’anno 2012: (…).
Al primo impatto non le fece una buona impressione. Si aspettava «un tipo
rustico», e si trovò davanti «un tipo che sembrava uscito da un salotto». «(…).
Le maniere di don Lorenzo, il suo modo di muoversi e anche di mangiare, erano
quelle di una persona che proveniva dall´alta borghesia».
(…). Perché dopo il primo giorno
decise di tornare a Barbiana "appena possibile"? «Avevo capito che là
nasceva la vera scuola moderna. Quando andai la prima volta, trovai i ragazzi
che stavano disegnando una mappa dell´indipendenza africana: a seconda
dell´anno, i paesi erano colorati con una tonalità diversa che diventava sempre
più chiara. Con un colpo d´occhio potevi cogliere tutta una serie di
informazioni storiche che avrebbero richiesto, espresse con parole, una
spiegazione lunga, noiosa e fatta apposta per essere subito dimenticata».
Come vi distribuivate il lavoro?
«Chiunque capitasse a Barbiana faceva il "tappabuchi". Io insegnavo
latino perché don Lorenzo non aveva voglia di insegnarlo. Ma non c´erano
programmi fissi, la scuola era la risposta alle esigenze dei ragazzi. Marcello
non sapeva parlare? Don Lorenzo metteva davanti al bambino una banana:
"Di´ banana e ti do la banana". Io mi misi a fargli imparare i
numeri. Dopo qualche mese Marcello riuscì a parlare. Per imparare a contare ci
ha messo parecchio di più».
Mario Lodi fa notare che di solito si parla di Barbiana come fosse una scuoletta di campagna. In realtà era una scuola raffinata. «Sì, il livello era molto alto. I ragazzi sapevano usare l´astrolabio, e non è certo facile. E, quando si ascoltavano i concerti, su un grande telone su cui era disegnato lo spartito dovevano marcare con una canna l´ingresso dei fiati e dei violini. Una volta facemmo per un mese anatomia e li portammo a Firenze al museo delle cere: il custode aprì per loro una sala destinata solo agli studenti universitari».
Lei arrivò quando cominciavano i
primi esperimenti di scrittura collettiva. «Sì. Don Lorenzo abolì l´io a favore
del noi. Anche la Lettera a una professoressa fu scritta così. Se al mattino mi
veniva un´idea, lasciavo un bigliettino sul tavolo dove i ragazzi lavoravano.
Ognuno di noi lasciava la sua idea, il suo bigliettino. Anche don Lorenzo aveva
i suoi. I foglietti venivano poi raccolti in capitoli e i capitoli venivano
organizzati secondo un ordine logico. Quando si passava alla stesura
definitiva, su mezza colonna si scriveva il testo e sull´altra mezza colonna si
annotavano le osservazioni. Solo alla fine veniva corretto lo stile».
(…). Il vostro rapporto non fu
fra i più facili. «No, perché? Credo si sia trattato di una fortunata
combinazione. Io ero abbastanza furba. Avevo capito bene quale doveva essere il
mio ruolo lassù. Quando lui mi disse: "Lei deve decidere chi vuole essere
qui", io avevo già deciso da tempo. Dovevo essere una persona che non si
notava. Un servitore non deve farsi notare».
Ma l´impressione è che don Milani
tenesse a distanza il mondo femminile. (…). Talvolta appare troppo duro con
Eda, "la padrona di casa". E anche con le ragazze. «Ricordo però
anche episodi che lo dovrebbero fare apparire tenerissimo, capace di infinita
attenzione. E anche quando gli sembrava sbagliato appoggiare la sua mano sulla
mano di una ragazzina, lo faceva nel suo interesse: non voleva creare dipendenze
psicologiche».
Appare anche molto preoccupato
che lei, Adele, si potesse affezionare troppo. Poco prima di morire le chiese
se i suoi sentimenti erano andati "oltre i limiti". «A dir la verità,
non mi chiese se i miei sentimenti erano andati oltre i limiti. Mi chiese se
avevo avuto il dubbio che i miei sentimenti fossero andati oltre i limiti, se
me ne ero fatta uno scrupolo. Anche questa mi sembra una preoccupazione
generosa. Si dispiaceva all´idea di essere stato fonte di sofferenza».
Temeva che lei fosse innamorata?
«Credo che, se avesse avuto questo timore, mi avrebbe allontanato da Barbiana.
Penso invece che temesse che mi fossi fatta degli scrupoli e, da buon
confessore, voleva aiutarmi a liberarmene. Dossetti diceva di lui che era
un´anima sacerdotale».
(…). Don Milani sapeva di avere
una personalità carismatica. «Penso di sì. Come poteva non accorgersene? Però
sapeva anche che certi suoi atteggiamenti, quasi sempre voluti, erano molto
sgradevoli. Tanto per fare un esempio dei più banali: se qualcuno portava un
regalo, lui di solito non ringraziava. Negli ultimi tempi Michele, il suo
figliolo tanto amato, diceva: "Il Priore non è più lui, non fa altro che
ringraziare..."».
(…). Che cosa le è mancato di più
dopo la sua morte? «Mi è mancata la sua originalità, l´ironia. Ma soprattutto
aveva la straordinaria capacità di darmi pace. Veniva ogni tanto da noi una
professoressa che mi pareva una donna eccezionale. Sa di quelle che sanno far
tutto? Colta, impegnata, anche cuoca sopraffina...».
Insomma, insopportabile. «Sì, in
realtà ero molto invidiosa. E una volta chiesi a don Lorenzo: "Ma come
farà a trovare il tempo per fare tutte quelle cose?". "Non vuol bene
a nessuno", mi rispose di botto. Era vero! Quante più cose si farebbero se
non si volesse bene a nessuno».
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