Da “Io, da
Fantozzi a Fellini”, incontro di Ottavio Cirio Zanetti con Paolo Villaggio pubblicato sul
settimanale “L’Espresso” del 9 di luglio 2017: «C’è una sola persona al mondo che
io ho conosciuto e che è riconoscibile solo per il nome. Dovunque nel mondo,
basta dire Federico, è lui, l’unico, irripetibile: Federico non può che essere
Federico Fellini. Scola ci ha fatto anche un film, Che strano chiamarsi
Federico. Quando ho conosciuto Federico, non ho conosciuto una persona, ma ho
riconosciuto quello che potevo immaginare e sapevo di Federico Fellini. Cioè un
grande affabulatore, molto simpatico, vanitoso, bugiardo, e ne è nata subito
un’amicizia. Cioè, sia chiaro, c’è stato uno scontro tra due logorroici
incredibili; alla fine però ho capito per la prima volta nella vita (io sono
presuntuoso, ho sempre avuto la quasi certezza di essere superiore per quello
che riguarda la brillantezza del discorso, anche l’ironia cattiva di tipo anglosassone)
beh, ho capito che lui dopo in po’ mi distanziava e rimanevo a bocca aperta ad
ascoltare quella frenesia che lo prendeva quando cominciava ad affabulare». (…).
A ognuno il suo Rex. «In 8 1/2 c’è ad un
certo punto una frase magica: “Asa Nisi Masa”. Era una cosa che diceva la nonna
di Federico che mi ricordato con violenza che c’erano delle cose che anche la
mia nonna diceva: una frase veneziana, per esempio, mia nonna era veneziana:
“alla moda del piombo”. Questa frase ha un significato preciso: fare al meglio
le cose che devi fare. “Alla moda del piombo” voleva dire: nel modo migliore.
Ma tutto in Fellini è evocazione dell’infanzia. Nella notte in cui in Amarcord
aspettano di fronte a Rimini, nelle barche, il passaggio del Rex che da Trieste
andava fino a Genova e poi in America vincendo il famoso nastro azzurro (che
era la decorazione per l’attraversamento dell’ Atlantico) il Rex è visto in una
maniera che avevo dimenticato completamente. Una mattina verso le 11 con la
nonna veneziana e con mio fratello gemello sono alla foce del fiume Foce di
Genova. Ad un certo momento sento “uuuuuuuuuh” (fa il l’imitazione della sirena
di una nave) come degli strani nitriti. A quei tempi le reti si portavano al
largo con i gozzi, si buttavano le reti e poi dato che era un lavoro faticoso,
da terra due cavall,i uno da una parte e uno dall’altra, trascinavano le reti fino
sulla spiaggia. Sulla spiaggia si vedevano le donne e c’era questo odore di
pesce e di cavallo. E qui comincia il momento del ricordo che avevo
completamente accantonat : la misura del Rex. Nel film si sente urlare “il Rex,
il Rex !”, si svegliano tutti perché era l’alba, il sole non era ancora sorto.
Invece nel mio passaggio del Rex il sole stava calando, c’era la stessa luce
magica , da sogno, che non è la realtà, e mentre annusavo quell odore ho
sentito gridare: “il Rex, oh belin, c’è il Rex!” e tutti a correre verso il
bagnasciuga con i sandali, erano dei sandali con dei buchi, io mio fratello e
la nonna rimasta un po’ indietro che gridava: “Attenzione alle scarpe!”. Noi
invece siamo entrati quasi con i piedi in acqua ed è comparso il Rex, lo stesso
Rex che avevo dimenticato. Compare improvvisamente da dietro la diga foranea
(la grande diga protettiva dei porti italiani e francesi del Mediterraneo),
compare una montagna nera, alta mille metri, questa è stata l’impressione,
questo è il ricordo ed è quello che mi ha restituito Fellini. Quell’immagine
dimenticata lui me l’ha fatta rivedere e riscoprire». (…).
Tre inquadrature, ed è subito Fellini. «Ho
cominciato col dirti che basta dire Federico ed è subito Fellini. Per come
raccontava i suoi film, con un segno completamente diverso da tutti gli altri,
era unico, irripetibile. Dunque, tu vai a vedere in un cinematografo di Los
Angeles con effetti speciali, magari con gli odori, forse esagero, lo sbarco in
Normandia, ti siedi e cominciano, già pronto a stupirti, magari è Spielberg e
vedi inquadrature che sono fatte da dieci elicotteri e poi ripetute con effetti
speciali e poi intrappolate da montagne, vedi che ci sono almeno dieci macchine
da presa, non riconosci Spielberg se tu non sai che è Spielberg, lo vedi e
dici: però, insomma,sono americani. Entri e vedi Satyricon, non sai che è un
film di Fellini, ma bastano tre inquadrature, ecco, è lui cioè lui è
riconoscibile sempre e comunque fin dalle prime inquadrature. Dai primi tre
minuti capisci che il suo è un modo di raccontare completamene diverso, viene
da un’altra dimensione, non è quella abituale, non è il mestiere che conosci:
perché lui il mestiere lo viveva in uno stato di semitrance, mentre girava».
A filo di camera, senza copione. «Quando giravamo la Voce della luna, alla sera diceva a me e Benigni: “Domani, domani, poi vi dico le battute”. Soffriva d’insonnia da vecchio il maestro. Al mattino si svegliava alle cinque e non sapeva che fare, a chi telefonare. C’era un certo Notarianni, poverino, che aveva una funzione: pronto a rispondere al telefono alle cinque del mattino per parlare del più e del meno: hai visto quella cosa in televisione, diceva Federico con quella sua vocetta. Notarianni, per quanto vecchio, doveva essere pronto, per giunta era un logorroico, era praticamente l’orecchio di Fellini, perché Federico non poteva parlare completamente da solo e aveva questo Notarianni come orecchio sempre pronto: “Notarianni vieni qui”, “Notarianni vai lì”. Ma che ruolo ha Notarianni, gli chiedevano. E lui rispondeva: “Fa il Notarianni, cioè una specie di registratore nel quale Federico riversava le sue intenzioni del giorno dopo, di come avrebbe girato. Il giorno dopo ci si presentava sul set, una buona colazione al mattino (ma si capiva che lui non mangiava perché era costretto alla dieta ormai e la rispettava) piccoli bocconcini di tutto al mattino, parmigiano reggiano mi ricordo, una delizia assoluta e poi: “Dunque bambini, che cosa volete fare ?”. Noi dicevamo: quello che vuoi tu Federico, abbi pietà. Eravamo in soggezione come due poveri elettricisti che hanno a che fare con Marconi. Lì per lì non si sapeva con imbarazzo cosa suggerire: sai, due elettricisti che suggeriscono a Marconi. E poi: “Tu Robertino potresti dire così”, e Roberto aveva già il fogliettino, sbirciava, se lo nascondeva, io avevo il mio fogliolino. Pronti, azione, via. A questo punto cominciava a parlare lui, Federico. Non diceva assolutamente nulla di quello che avevamo preparato, ma suggeriva tutto a filo di camera: tutto. Poi è chiaro che in doppiaggio c’era la sua voce, non la mia o quella di Benigni. Al doppiaggio c’era il direttore del doppiaggio che era pronto a suggerire: “per favore”, diceva, “zitto lei!”; ma io che ruolo posso avere? “Non importa, è una baggianata, una sciocchezza”, rispondeva Federico. Ed era vero perché poi in effetti il film lo faceva tutto lui. Creatore a filo camera! E noi come due pupazzi mossi da un burattinaio. E alla fine diceva: “Come siete stati bravi!”. Scusa maestro, bravi? Ma veramente sei tu che hai suggerito più o meno tutto. Poi a mezzogiorno e mezzo lui diceva: “Pausa!”.(…) ».
Oliver chi? «Stavamo girando La voce della
luna quando arriva Notarianni, e viene una signorina bellissima la quale dice:
“C’è il regista Oliver Stone che vorrebbe chiedere il lieve permesso di vedere
il maestro all’opera” . E lui fa: “Notarianni, ma chi è Oliver Stone?”. E lo
dice forte. La signorina: “Scusi se disturbo”. “Rimanga, rimanga però mi
raccomando, a un centinaio di metri”. Insomma, finge di non sapere chi era
Oliver Stone, ma lo sapeva benissimo e finge soprattutto che non gli fa piacere
che arrivi Oliver Stone, che chiede umilmente di vedere il maestro… Notarianni
non cadeva nella trappola, la troupe invece rimaneva esterrefatta: ma come, non
conosce Oliver Stone?. Dopo due ore di silenzio di Oliver Stone, costretto a
stare a cento metri di distanza, aveva anche un quadernino e prendeva appunti,
arriva la signorina e annuncia: “Oliver Stone”. E Federico: “Ma me lo voglio
abbracciare! Oliver che piacere, che meraviglia, questo è il più grande genio
di tutti i tempi”, dice rivolto alla troupe. E Oliver Stone un po’ imbarazzato
: “No, tu sei il più grande”. Aveva delle forme di infantilismo, Federico.» (…).
Ciak. Quanti? «Uno. Ne bastava uno.
Succedeva che il direttore di produzione diceva: tanto per questa scena, tanto
per questa ecc, visto che ci siamo rubiamo a tutti un’altra mezzoretta, quindi
otto ore in tutto... Ma Federico dopo quattro ore aveva già finito tutto alla
faccia dei programmi e lo faceva anche con un certo sadismo. Non amava
assolutamente il denaro, non aveva nessun senso del valore e gli mancava
totalmente l’avidità volgare del denaro. Io poi ho visto poi girando film con
tutti gli altri registi che avevano la voglia di correre, di fare perché erano
al servizio di qualcuno. Invece Federico pensava che tutti fossero al suo
servizio, quindi lui finiva la lavorazione del film programmata fino alle 8
della sera alle 5 del pomeriggio, e diceva: “Adesso ci andiamo a prendere un
bel the e si andava ad Albano magari, per parlare, per affabulare. Aveva una
mania, quella della cucina bolognese o riminese, e aveva fatto la fortuna della
Cesarina, del Moro anche se era alla romana, ma soprattutto lui amava la cucina
della sua infanzia, non era un buongustaio perché era stato male e quindi era
costretto ad ordinare per tutti ma lui non mangiava. Notarianni domandava
subito: “Che cosa posso ordinare? E lui: “Tu adesso devi prendere del formaggio
parmigiano”, la sua delizia, “metterci sopra dell’aceto e poi fa due passi a
sinistra...”». (…).
Il lungo spot. «La Banca, che era poi la
Banca di Roma, aveva scelto Fellini, proprio perché sapeva che lui non voleva
reclamizzare il prodotto, voleva solo divertirsi con la macchina da presa. Ma
lui girava un carosello e spot pubblicitari in cinque giorni là dove i registi
di caroselli o pubblicità girano in mezz’ora, non esagero, con scene di una
difficoltà assoluta. Erano quattro incubi: un incubo in cui io mi mettevo
dentro una macchina utilitaria e andavo a infilarmi in un grande tunnel. La
Banca di Roma non se la sentì di scavare un tunnel di un chilometro, dunque
pregarono umilmente Fellini di girare in un tunnel della autostrada
dell’Aquila. Entro nella macchina e a questo punto l’incubo consiste nel fatto
che il personaggio sente un rombo alle sue spalle e c’è una frana che ostruisce
completamente l’uscita. Poi si volta in avanti, fa cento metri e si sente un
grande rumore e il personaggio rimane intrappolato dentro. Ora, rimane
intrappolato dentro vuol dire che rimaniamo realmente intrappolati dentro io,
Fellini e cameraman e troupe, dietro c’è stata la frana e davanti c’è una
frana: perfetto. “Perfetto un cacchio”, dice il direttore di produzione, siamo
intrappolati in 20 persone qua dentro. “Oh, scusate, dice lui”. Fortunatamente
abbiamo perso la giornata! Insomma hanno dovuto liberare naturalmente la parte
dalla quale si poteva uscire, cioè dal retro. Federico era perfido con i
produttori, li odiava, nel senso che non sopportava questi tempi legati al
denaro, mentre nel suo modo di girare quel che importava era la creatività.
Difatti se finiva alle cinque, lui smetteva anche se il piano di produzione
prevedeva fino alle otto di sera. Se invece era in un momento di creatività,
anche se erano le due di notte e gli dicevano “Guarda che c’è la troupe che sta
morendo di fame, veramente non ce la facciamo”, lui rispondeva: “Ma che cazzo
rompete in questo momento, stiamo lavorando no? Stiamo creando”. Quindi
interrompere la sua creatività, che era poi uno stato di semitrance, era
veramente un affronto e allora si incazzava e si inviperiva». (…).
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