Da "Il
capitalismo ha bisogno di regole per tornare al servizio della
collettività" di Anais Ginori, intervista all’economista Thomas
Piketty pubblicata sul quotidiano la Repubblica del 2 di luglio dell’anno 2016:
(…).
La Brexit rappresenta anche la fine di un ciclo della globalizzazione? "Si
avverte sempre di più la necessità di una regolamentazione del capitalismo.
Abbiamo bisogno di istituzioni democratiche forti che possano limitare la
crescita delle disuguaglianze, e rovesciare il rapporto di forza. La potenza
del Mercato e dell'innovazione economica deve essere messa al servizio dell'interesse
generale. È sbagliato pensare che tutto si risolve in modo naturale. Lo abbiamo
visto in passato".
Quando? "Nel primo ciclo della
globalizzazione, tra l'Ottocento e il 1914, quando la fede cieca
nell'autoregolazione dei mercati ha provocato disuguaglianze, tensioni sociali,
crescita dei nazionalismi, fino alla guerra mondiale. Dopo, c'è stata una fase
storica nella quale le élite occidentali hanno avviato riforme sociali,
fiscali, mettendo un freno alle disparità. A partire dagli anni Ottanta, siamo
entrati in una nuova fase di deregulation legata a diversi fattori, tra cui le
rivoluzioni conservatrici anglosassoni, la caduta dell'Urss".
Non vede nessun segnale di autocritica? "Purtroppo
la crisi del 2008 non ha prodotto alcun cambio sostanziale. Resta la fede
nell'autoregolazione dei mercati e nella sacra libera concorrenza, nonostante
le disuguaglianze provocate. Se non si riuscirà a dare una risposta con
politiche progressiste resterà la tentazione di trovare dei capri espiatori: il
polacco nel Regno Unito o il messicano negli Stati Uniti. Ci saranno sempre
responsabili politici che cavalcheranno questi sentimenti".
Come Donald Trump o Marine Le Pen? "Molti
dei leader populisti e xenofobi appartengono a categorie di privilegiati che
spiegano alle classi popolari bianche che i loro nemici non sono i miliardari
bianchi, bensì altre classi popolari nere, immigrate, musulmane. È un modo di
distorcere l'attenzione dai problemi del sistema capitalistico".
Cosa fare contro il ritorno dei nazionalismi?
"Il quadro in Europa non è così nero. Rispetto agli Stati Uniti o alla
Cina, continuiamo ad avere un modello sociale di sviluppo molto più
soddisfacente. Al tempo stesso, l'Europa soffre di una frammentazione politica,
con Stati-nazione ancora in competizione gli uni con gli altri. All'interno
dell'Ue c'è un dumping sociale, fiscale. L'esempio più evidente è la mancata
volontà di unificare l'imposta sulle società. Le classi medie hanno
l'impressione che i più privilegiati pagano meno di loro. Queste disuguaglianze
alimentano i populismi di destra e la nascita di movimenti come Podemos o
Syriza".
Perché ha accettato di lavorare come
consigliere di Podemos? "Pablo Iglesias o Alexis Tsipras non sono perfetti
ma sono molto meno pericolosi dei nazionalisti polacchi o ungheresi. Basta
vedere gli sforzi che la Grecia fa per accogliere i rifugiati. Nel caso della
Spagna ci vorrebbe un atto di coraggio, ovvero una moratoria sul debito
pubblico, per invertire tendenza su crescita e disoccupazione. Solo così Psoe e
Podemos potrebbero formare un governo. E ci sarebbe un cambio di maggioranza
politica nell'Unione. La Francia, l'Italia e la Spagna rappresentano insieme il
50% del Pil rispetto al 27% per la Germania".
Perché ha interrotto la collaborazione con
il leader laburista Jeremy Corbyn? "Non avevo tempo di partecipare alle
riunioni. Nessun legame con la campagna sulla Brexit. In sei mesi, non sono mai
riuscito ad andare agli incontri del Labour. Nel caso di Podemos, sono stato
invece più volte a Madrid. Pablo Iglesias è anche venuto a Parigi".
Ha contatti con partiti italiani? Potrebbe
collaborare con il Movimento 5 Stelle? "No, francamente non credo proprio.
Ho invece parlato con alcuni collaboratori di Matteo Renzi, soprattutto per
esprimere il mio scetticismo. Sulla riforma dell'eurozona, speravo che Renzi
fosse più ambizioso. Invece si è accontentato di qualche aggiustamento
marginale".
Forse perché la Germania è inflessibile su
certi punti? "Se l'Italia, la Francia e la Spagna mettessero sul tavolo un
proposta di unione politica e finanziaria con un parlamento dell'eurozona
competente sul livello di deficit e sulla ristrutturazione dei debiti sovrani,
allora la Germania non potrebbe mettere i bastoni tra le ruote. Invece la
Francia non ha fatto niente per l'Europa del Sud, assecondando la Germania per
avere gli stessi tassi d'interessi. Mentre Berlino continua ad avere un
atteggiamento insopportabile".
A quale atteggiamento si riferisce? "Avere
l'8% del Pil di eccedenza nella bilancia commerciale non serve a niente. La
Germania deve investire nel paese e aumentare i salari. Già durante la prima
fase globalizzazione la Francia e il Regno Unito avevano accumulato per decenni
eccedenze commerciali. Un'aberrazione. L'unico motivo, più o meno esplicito, è
una volontà di dominazione su altri paesi. È una patologia della
globalizzazione che purtroppo si ripete adesso".
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