"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 22 luglio 2017

Primapagina. 42 “Lo strabismo di Renzi”.



Da “Il sentiero stretto e i consigli strabici” di Fabio Bogo, pubblicato sul settimanale “A&F” del 17 di luglio 2017: Abbandonato il posto di comando a Palazzo Chigi, Matteo Renzi si muove da azionista di maggioranza dell’azienda guidata da Paolo Gentiloni: come segretario del Pd l’ex premier traccia linee guida in campo economico e tira le orecchie a tutti . È stato il caso del Fiscal Compact, che Renzi vuole ridiscutere minacciando veti. Le risposte di Pier Carlo Padoan e Carlo Calenda: «È materia della prossima legislatura». Pensiero implicito: e quindi del prossimo capo del governo. La pensa così anche Bruxelles, che ha fatto sapere che le trattative su questo e altre proposte avvengono comunque a livello di istituzioni. Il segretario di un partito ancora non lo è. Ed è il caso anche dell’ipotesi di ridurre le tasse, tema caro a Renzi. Sempre Padoan ha sillabato: «Se lo spazio fiscale è limitato bisogna valutare come usarlo; non sempre le tasse hanno gli stessi effetti su crescita e occupazione», perchè «il sentiero è stretto». Altro intervento a gamba tesa, rivolto al passato ma con riflessi per il futuro, contro la Banca d’Italia. «Sulla vicenda delle banche – ha detto Renzi - ho commesso degli errori, uno dei quali è stato quello di affidarmi quasi totalmente alle valutazioni e alle considerazioni della Banca d’Italia, rispettosi della solida tradizione di questa prestigiosa istituzione». Si poteva fare meglio, in sostanza. E sul capitolo banche forse – ha detto ancora l’ex premier - «avremmo dovuto fare qualche cosa di diverso, facendo un team ad hoc appena arrivati al governo». Tra tutte l’ultima indicazione è la più singolare, sintomo di uno strabismo nelle valutazioni. Perchè di team in realtà Renzi a Palazzo Chigi ne ha avuti diversi, ma non hanno resistito a lungo. Andrea Guerra, uno dei nomi spesi all’inizio del mandato, è durato pochi mesi e poi ha preferito tornare ad occuparsi di aziende con Eataly. Tommaso Nannicini, sottosegretario e responsabile del programma economico del Pd, è emigrato da Palazzo Chigi ad Harvard, e lo stesso ha fatto Filippo Taddei che ha lasciato il partito del segretario per andarsene alla Columbia University. Prima avevano mollato gli ormeggi Carlo Cottarelli, ereditato dal precedente governo come commissario alla spending review (destinazione Fmi) e il suo successore Roberto Perotti, che nel novembre 2015 è tornato deluso agli incarichi universitari. Un esodo di cervelli che ha assottigliato la schiera dei risolutivi consulenti. Perché gli economisti sono gente concreta. Esperti di teorie e scenari, se chiamati dalla politica gradirebbero magari provare a tradurre le loro ricette in fatti, ed evitare le facili suggestioni. Tipo quelle che davano Jp Morgan padrone della situazione del Monte dei Paschi o il Qatar pronto a intervenire nello stesso Mps e poi in Alitalia. Per la cronaca, Mps è stato nazionalizzato dopo che si è perso tempo prezioso e Alitalia, commissariata, sta ancora aspettando il partner-salvatore. Se in questi casi sono intervenuti consulenti, vuol dire che il loro consiglio valeva davvero poco.

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