Da “Il
sentiero stretto e i consigli strabici” di Fabio Bogo, pubblicato sul
settimanale “A&F” del 17 di luglio 2017: Abbandonato il posto di comando a
Palazzo Chigi, Matteo Renzi si muove da azionista di maggioranza dell’azienda
guidata da Paolo Gentiloni: come segretario del Pd l’ex premier traccia linee
guida in campo economico e tira le orecchie a tutti . È stato il caso del
Fiscal Compact, che Renzi vuole ridiscutere minacciando veti. Le risposte di
Pier Carlo Padoan e Carlo Calenda: «È materia della prossima legislatura».
Pensiero implicito: e quindi del prossimo capo del governo. La pensa così anche
Bruxelles, che ha fatto sapere che le trattative su questo e altre proposte
avvengono comunque a livello di istituzioni. Il segretario di un partito ancora
non lo è. Ed è il caso anche dell’ipotesi di ridurre le tasse, tema caro a
Renzi. Sempre Padoan ha sillabato: «Se lo spazio fiscale è limitato bisogna
valutare come usarlo; non sempre le tasse hanno gli stessi effetti su crescita
e occupazione», perchè «il sentiero è stretto». Altro intervento a gamba tesa,
rivolto al passato ma con riflessi per il futuro, contro la Banca d’Italia.
«Sulla vicenda delle banche – ha detto Renzi - ho commesso degli errori, uno
dei quali è stato quello di affidarmi quasi totalmente alle valutazioni e alle
considerazioni della Banca d’Italia, rispettosi della solida tradizione di
questa prestigiosa istituzione». Si poteva fare meglio, in sostanza. E sul
capitolo banche forse – ha detto ancora l’ex premier - «avremmo dovuto fare
qualche cosa di diverso, facendo un team ad hoc appena arrivati al governo».
Tra tutte l’ultima indicazione è la più singolare, sintomo di uno strabismo
nelle valutazioni. Perchè di team in realtà Renzi a Palazzo Chigi ne ha avuti
diversi, ma non hanno resistito a lungo. Andrea Guerra, uno dei nomi spesi
all’inizio del mandato, è durato pochi mesi e poi ha preferito tornare ad
occuparsi di aziende con Eataly. Tommaso Nannicini, sottosegretario e responsabile
del programma economico del Pd, è emigrato da Palazzo Chigi ad Harvard, e lo
stesso ha fatto Filippo Taddei che ha lasciato il partito del segretario per
andarsene alla Columbia University. Prima avevano mollato gli ormeggi Carlo
Cottarelli, ereditato dal precedente governo come commissario alla spending
review (destinazione Fmi) e il suo successore Roberto Perotti, che nel novembre
2015 è tornato deluso agli incarichi universitari. Un esodo di cervelli che ha
assottigliato la schiera dei risolutivi consulenti. Perché gli economisti sono
gente concreta. Esperti di teorie e scenari, se chiamati dalla politica
gradirebbero magari provare a tradurre le loro ricette in fatti, ed evitare le
facili suggestioni. Tipo quelle che davano Jp Morgan padrone della situazione
del Monte dei Paschi o il Qatar pronto a intervenire nello stesso Mps e poi in
Alitalia. Per la cronaca, Mps è stato nazionalizzato dopo che si è perso tempo
prezioso e Alitalia, commissariata, sta ancora aspettando il partner-salvatore.
Se in questi casi sono intervenuti consulenti, vuol dire che il loro consiglio
valeva davvero poco.
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