"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 26 marzo 2016

Lalinguabatte. 16 “In Italia… niente”.



Ritrovo di Enzo Costa un “Giro d’Italia in 38 aforismi”, pubblicato sul quotidiano l’Unità tanto tempo addietro, l’anno 2010 almeno, quando ancora il quotidiano che fu dell’Antonio Gramsci rappresentava il mondo della “sinistra” e detestava il mondo del pressapochismo inventato dall’uomo di Arcore e ben impiantato nel ventre molle del bel paese dal suo degno epigono tuttora in carica: In Italia si brancola nelle emergenze. In Italia si fa di necessità vizio. In Italia si parcheggia in doppia fila, ma il sogno proibito resta la terza. In Italia il qualunquismo non paga: vince gratis. In Italia non c’è più il popolo, però trionfa il populismo. In Italia siamo disponibilissimi a lottare contro il clientelismo: in cambio chiediamo solo un posto al ministero. In Italia la maggioranza vince e i cocci sono suoi. In Italia ogni tanto ci si affida all’Uomo della Provvidenza, dove la Provvidenza sta nel fatto che capita solo ogni tanto. In Italia i pochi che hanno schifo dello schifo li chiamano snob, e li snobbano pure. In Italia a un certo punto si riabilita una schifezza. In Italia a un certo punto hanno riabilitato il trash. In Italia a un certo punto è divampato l’allarme immondizia. In Italia a un certo punto si è spento, insieme alle telecamere. In Italia i carnefici sono spietati, ma i vittimisti feroci. In Italia si punta sempre alla qualità, all’eccellenza, al merito, e poi si fa fuoco. In Italia non si finanzia la ricerca perché se si ricerca troppo alla fine ti scoprono. In Italia gli estremisti di ieri sono i moderati di oggi ed i reazionari di domani, ma con il fanatismo di sempre. In Italia si salta sempre sul carro della cosca vincente. In Italia ci infuriamo con i politici corrotti: è inconcepibile che si facciano beccare. In Italia ci si indigna a sentenze alterne. In Italia non ci fidiamo delle ricette facili: ci fidiamo di quelle facilissime. In Italia abbiamo una buona memoria, solo che non ricordiamo dove l’abbiamo messa. In Italia teniamo famiglia. In Italia teniamo più famiglie. In Italia teniamo il Family Day. In Italia dovremmo temere la famiglia. In Italia non ce la raccontano: basta che ce la sussurrino. In Italia pensiamo così poco all’interesse generale che quest’ultimo ci ricambia. In Italia l’etica pubblica è morta e anche l’estetica privata non si sente troppo bene. In Italia siamo furbi. In Italia siamo furbetti. In Italia siamo furbissimi. In Italia quelli che non sono furbi, furbetti o furbissimi ci sono: sarebbero anticorpi, ma passano per anti-italiani. In Italia gli stadi ribollivano di slogan incivili, frasi oscene ed insulti razzisti: poi i talkshow politici gli hanno fregato il format. In Italia c’è poco sentimento e molto sentimentalismo, poco pentimento e molto pentitismo, poco talento e molti talent show. In Italia siamo nei reality show fino al collo. In Italia ci si guarda poco allo specchio e molto alla tv, che è uno splendido specchio deformante. In Italia leggiamo poco, di conseguenza ci beviamo tutto.
Aggiungo di mio l’aforisma numero 39: in Italia… si “chiagne e si fotte”. L’aforisma degli aforismi. Il massimo. Del resto, “niente”. E questo “niente”, allocuzione o vezzo verbale che dir si voglia, con la quale una infinità di abitatori della italiche ubertose contrade iniziano i loro discorsi – discorsi si fa per dire – è lo specchio fedele, è la rappresentazione verbale di una condizione antropologica al limite del patologico. “Niente” e basta. Che poi è il “niente” che riguarda la cosa pubblica, ché laddove si ha a che fare con il “privato” è tutto un altro discorso. “Niente”. Il “niente” del pubblico non rientra nella sfera degli interessi di milioni di esseri resisi autonomamente  “privati” e che della filosofia del “privato” permeano tutta la loro esistenza sino a quando il “pubblico”, anche il più miserevole, non appaia essere la “mucca grassa” da spolpare convenientemente e scientemente. Per il resto, “niente”. Si scriveva sul settimanale “Famiglia cristiana” del 10 di agosto dell’anno del signore 2010: Un paese maturo, che deve mirare allo sviluppo e alla pacifica convivenza dei cittadini, non può continuare con uomini che hanno scelto la politica per sistemare se stessi e le proprie pendenze. Misericordiosa bontà cristiana! È che “un paese maturo” non esiste proprio. Ché ci saremmo ridotti in queste miserevoli condizioni? Ha scritto Piero Ottone in “La caduta del paese”: (…). I sociologi dicono che si è aperta l' era del populismo. Può darsi. Fatto sta che da tre lustri un uomo governa il paese a modo suo, senza alcun rispetto per le regole. Corruzione? C' era anche prima. Ma si cercava di salvare le apparenze. Adesso siamo al ridicolo. Quell'uomo, sostenuto da una valanga di voti, dotato di grande potere, è convinto che non ci siano limiti ai suoi desideri e alle sue trovate, ha perso ogni ritegno: leggi fatte su misura per non rendere conto alla giustizia, sfida aperta agli altri poteri dello Stato, e intanto ragazze di vita sugli aerei militari, festini come nelle satrapie dell'Oriente, fino alla ragazza incontrata per caso e infilata in un convegno di capi di Stato, mentre un tale è fatto ministro, palesemente, solo per sfuggire a un processo. Gli stranieri, adesso, ci guardano increduli. Le leggi, i provvedimenti necessari per fronteggiare le grandi crisi, intanto, languiscono. Ministri senza una guida altercano fra loro. Non si sa se sia più grave l' umiliazione inflitta al paese da un uomo di governo che ha perso il senso della misura, circondato da una corte di seguaci disposti a tutto, o l'acquiescenza di tante persone fondamentalmente per bene, che fino a ieri hanno supinamente accettato il suo stile di governo, senza fiatare. A chi non lo accettava dicevano: ce l'avete con lui perché è ricco? O perché è anticomunista? Siete invidiosi? Solo adesso qualcuno fra questi personaggi dà segni, per altro timidi, di resipiscenza. Era necessario aspettare tanto? La supinità di tanta gente che conta, più ancora delle stravaganze del personaggio, ha dato la misura dell' abisso. Temo che sia vero: non eravamo mai caduti così in basso.”  Ora che incombe la pasqua cristiana sarebbe cosa buona e giusta rileggere quel che Francesco papa ha scritto sui corrotti, dei quali il bel paese abbonda a dismisura, nel Suo “Il nome di Dio è misericordia” – Piemme editore (2016) –, brano pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 10 di gennaio 2016 col titolo “Il vizio dei corrotti incapaci di pentirsi”: La corruzione è il peccato che invece di essere riconosciuto come tale e di renderci umili, viene elevato a sistema, diventa un abito mentale, un modo di vivere. Non ci sentiamo più bisognosi di perdono e di misericordia, ma giustifichiamo noi stessi e i nostri comportamenti. Gesù dice ai suoi discepoli: se anche un tuo fratello ti offende sette volte al giorno e sette volte al giorno torna da te a chiederti perdono, tu perdonalo. Il peccatore pentito, che poi cade e ricade nel peccato a motivo della sua debolezza, trova nuovamente perdono, se si riconosce bisognoso di misericordia. Il corrotto, invece, è colui che pecca e non si pente, colui che pecca e finge di essere cristiano, e con la sua doppia vita dà scandalo. Il corrotto non conosce l'umiltà, non si ritiene bisognoso di aiuto, conduce una doppia vita. (…). Non bisogna accettare lo stato di corruzione come se fosse soltanto un peccato in più: anche se spesso si identifica la corruzione con il peccato, in realtà si tratta di due realtà distinte, seppure legate tra loro. Il peccato, soprattutto se reiterato, può portare alla corruzione, non però quantitativamente – nel senso che un certo numero di peccati fanno un corrotto – quanto piuttosto qualitativamente: si generano abitudini che limitano la capacità di amare e portano all'autosufficienza. Il corrotto si stanca di chiedere perdono e finisce per credere di non doverlo più chiedere. Non ci si trasforma di colpo in corrotti, c'è un declino lungo, nel quale si scivola e che non si identifica semplicemente con una serie di peccati. Uno può essere un grande peccatore e ciononostante può non essere caduto nella corruzione. Guardando al Vangelo penso ad esempio alle figure di Zaccheo, di Matteo, della samaritana, di Nicodemo, del buon ladrone: nel loro cuore peccatore tutti avevano qualcosa che li salvava dalla corruzione. Erano aperti al perdono, il loro cuore avvertiva la propria debolezza, e questo è stato lo spiraglio che ha fatto entrare la forza di Dio. Il peccatore, nel riconoscersi tale, in qualche modo ammette che ciò a cui ha aderito, o aderisce, è falso. Il corrotto, invece, nasconde ciò che considera il suo vero tesoro, ciò che lo rende schiavo, e maschera il suo vizio con la buona educazione, facendo sempre in modo di salvare le apparenze. È un lungo declino nel quale si affonda cercando di salvare soltanto le apparenze. Ecco. Il “niente”. È il caso di chiudere così, così come tanti iniziano i loro discorsi:  - Niente, volevo dire…-. “Niente”, per l’appunto.

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