Da “Quel
bambino nato nel fango ai piedi del nuovo muro” di Melania Mazzucco, sul
quotidiano la Repubblica del 13 di marzo 2016: Tu devi vivere. Per te, minuscola
creatura senza nome venuta al mondo sotto un cielo di pioggia, su un materasso
di fango. Ma anche per noi, che ti guardiamo inteneriti e ipocriti - disposti a
piangerti morto e però non disposti ad accoglierti vivo. Sei l'ennesimo: un
numero di troppo, in una somma con tanti zeri. Se l'acqua con cui ti hanno
lavato non sarà stata troppo fredda, se i microbi e i batteri che proliferano
nella fetida melma pestata da scarpe esauste non infetteranno la ferita del
cordone ombelicale, allora anche per noi ci sarà perdono. Un giorno saprai
dove, come e perché ti è stato tolto tutto, anche il diritto di appartenere,
nei tuoi primi istanti, a chi ti ha generato. Invece il mondo intero ti ha
visto nudo, inerme, poco più grande della mano che ti sostiene. Se resterai in
questo continente, ci incontrerai a scuola, all'università, al lavoro e non
potrai non chiederti dov'eravamo, mentre tua madre incinta attraversava il mare
bellissimo in cui noi ci facevamo il bagno, o camminava sotto la pioggia ai
margini di una strada che non doveva condurre a nulla. E perché nessuno le ha
trovato un tetto, o un letto - nemmeno a lei, che degli ultimi era nella
condizione di essere l'ultima. Guardando il genitore di un tuo compagno, o il
tuo datore di lavoro, ti chiederai se è stato tra quelli che ritenevano tua
madre una minaccia alla sua identità, alla sua religione o alla sua opulenza.
Se è stato uno di quelli che distingueva i suoi bisogni in base alla presunta
sicurezza della regione da cui era partita, e classificava i suoi compagni di
viaggio tra aventi diritto e non aventi. O se è stato invece uno di quelli che
ti hanno aiutato - dandole qualcosa da mangiare, o un passaggio, o anche solo
la tenda in cui sei nato. Che in verità costa molto poco, sai, e i giovani di
questo continente non la usano più nemmeno per andare in vacanza. Misero aiuto,
potrai pensare - perché ciò che mia madre chiedeva non era cibo né tenda,
benché ovviamente avesse bisogno anche di quelli, ma era ciò che voi
considerate tutto. La dignità di essere riconosciuta come un essere umano, e il
diritto di sognare un futuro per sé e per te. Che poi è l'unica ragione che
muove il mondo, e lo rinnova. Forse ti diranno che tanti anni fa l'Europa era
un campo di rovine, dopo una guerra peggiore o identica a quella da cui sono
scappati i tuoi. Ricordandosi di non aver accolto neanche un profugo, di aver
lasciato affondare le barche che trasportavano un popolo condannato a morte,
giurando che lo scandalo non si sarebbe ripetuto, gli uomini che dovevano
governare il nuovo mondo compilarono nobili costituzioni, e firmarono trattati
impegnativi. Nel 1951, la convenzione di Ginevra ha sancito che nessuno Stato
che l'ha sottoscritta "può espellere o respingere, in qualunque maniera,
un rifugiato alle frontiere di territori in cui la sua vita o la sua libertà
sarebbe minacciata"... Infatti non hanno espulso tua madre né te. Ma non
vi hanno neppure accolti. Siete lì, entrambi - di tuo padre non so nulla -
sospesi, nel bozzolo umido e primordiale di una tenda. Vi hanno fermato - come
si ferma provvisoriamente un fiume, costruendo una diga, che allaga i campi
tutt'intorno. Ma come tutti sanno, l'acqua trova sempre una strada. Tu l'hai
trovata. Se un giorno, in Germania, in Svezia, in Danimarca mi incontrerai,
chiedimi dov'ero il 12 marzo del 2016. Ti ho visto nascere, ti dirò, ti ho
augurato di vivere, ho scritto di te. Tu mi dirai: non era abbastanza. Ma ci
vorranno anni. E io ho ancora modo di dimostrarti che ti considero più prezioso
della plastica che ti circonda, che sei tu il futuro mio e dell'unione di
nazioni e popoli di cui vorrei essere orgogliosa di fare parte. Di dimostrarti
che ti ho riconosciuto.
Da "Siamo
ostaggi del nostro benessere per questo i migranti ci fanno paura",
intervista di Wlodek Goldkorn a Zygmunt Bauman sul quotidiano la Repubblica del
15 di giugno dell’anno 2015: (…). Sembra che non siamo in grado di far
fronte alla questione immigrati. "Il volume e la velocità dell'attuale
ondata migratoria è una novità e un fenomeno senza precedenti. Non c'è motivo
di stupirsi che abbia trovato i politici e i cittadini impreparati:
materialmente e spiritualmente. La vista migliaia di persone sradicate
accampate alle stazioni provoca uno shock morale e una sensazione di allarme e
angoscia, come sempre accade nelle situazioni in cui abbiamo l'impressione che le
cose sfuggono al nostro controllo. Ma a guardare bene i modelli sociali e
politici con cui si risponde abitualmente alle situazioni di crisi,
nell'attuale emergenza immigrati, ci sono poche novità. Fin dall'inizio della
modernità fuggiaschi dalla brutalità delle guerre e dei dispotismi, dalla vita
senza speranza, hanno bussato alle nostre porte. Per la gente da qua della
porta, queste persone sono sempre state estranei, altri".
Quindi ne abbiamo paura. Per quale motivo? "Perché
sembrano spaventosamente imprevedibili nei loro comportamenti, a differenza
delle persone con cui abbiamo a che fare nella nostra quotidianità e da cui
sappiamo cosa aspettarci. Gli stranieri potrebbero distruggere le cose che ci
piacciono e mettere a repentaglio i nostri modi di vita. Degli stranieri
sappiamo troppo poco per essere in grado di leggere i loro modi di comportarsi,
di indovinare quali sono le loro intenzioni e cosa faranno domani. La nostra ignoranza
su che cosa fare in una situazione che non controlliamo è il maggior motivo
della nostra paura".
La paura porta a creare capri espiatori? E
per questo che si parla degli immigrati come portatori di malattie? E le
malattie sono metafore del nostro disagio sociale? "In tempi di accentuata
mancanza di certezze esistenziali, della crescente precarizzazione, in un mondo
in preda alla deregulation, i nuovi immigrati sono percepiti come messaggeri di
cattive notizie. Ci ricordano quanto avremmo preferito rimuovere: ci rendono
presente quanto forze potenti, globali, distanti di cui abbiamo sentito
parlare, ma che rimangono per noi ineffabili, quanto queste forze misteriose,
siano in grado di determinare le nostre vite, senza curarsi e anzi e ignorando
le nostre autonome scelte. Ora, i nuovi nomadi, gli immigrati, vittime
collaterali di queste forze, per una sorta di logica perversa finiscono per
essere percepiti invece come le avanguardie di un esercito ostile, truppe al
servizio delle forze misteriose appunto, che sta piantando le tende in mezzo a
noi. Gli immigrati ci ricordano in un modo irritante, quanto sia fragile il
nostro benessere, guadagnato, ci sembra, con un duro lavoro. E per rispondere
alla questione del capro espiatorio: è un'abitudine, un uso umano, troppo
umano, accusare e punire il messaggero per il duro e odioso messaggio di cui è
il portatore. Deviamo la nostra rabbia nei confronti delle elusive e distanti
forze di globalizzazione verso soggetti, per così dire vicari, verso gli immigrati,
appunto".
(…). Una volta, in Europa, era la sinistra a
integrare gli immigrati, attraverso le organizzazioni sul territorio,
sindacati, lavoro politico... "Intanto non ci sono più quartieri degli
operai, mancano le istituzioni e le forme di aggregazione dei lavoratori. Ma
soprattutto, la sinistra, o l'erede ufficiale di quella che era la sinistra,
nel suo programma, ammicca alla destra con una promessa: faremo quello che fate
voi, ma meglio. Tutte queste reazioni sono lontane dalle cause vere della
tragedia cui siamo testimoni. Sto parlando infatti di una retorica che non ci
aiuta a evitare di inabissarci sempre più profondamente nelle torbide acque
dell'indifferenza e della mancanza dell'umanità. Tutto questo è il contrario
all'imperativo kantiano di non fare ad altro ciò che non vogliamo sia fatto a
noi".
E allora che fare? "Siamo chiamati a
unire e non dividere. Qualunque sia il prezzo della solidarietà con le vittime
collaterali e dirette della forze della globalizzazione che regnano secondo il principio
Divide et Impera, qualunque sia il prezzo dei sacrifici che dovremo pagare
nell'immediato, a lungo termine, la solidarietà rimane l'unica via possibile
per dare una forma realistica alla speranza di arginare futuri disastri e di
non peggiorare la catastrofe in corso".
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