Manca ancora il “pigolio” dell’uomo di Rignano sull’Arno.
Ma sono certo che non ci sarà. Poiché a quell’uomo che diserta impegni di governo
o istituzionali per abbracciare sportivi e non che facciano però notizia di “Mimmu
‘u curdu” non importa proprio nulla. Ha scritto infatti Alessia Candito sul
quotidiano la Repubblica di ieri - “Il sindaco calabrese tra i potenti della
Terra. Grazie ai migranti il mio paese è rinato" - nella interessante
intervista a “Mimmu ‘u curdu”, che al secolo risponde al nome di Domenico
Lucano, sindaco di Riace, il paese dei “Bronzi”, che il modello d’accoglienza
messo in atto da “Mimmu ‘curdu”, per come scrive anche la rivista Fortune che
lo ha indicato tra le 50 persone più influenti al mondo, "ha messo contro Lucano la
mafia e lo Stato, ma è stato studiato come possibile soluzione alla crisi dei
rifugiati in Europa".Allora è inutile attendere il “pigolio” di
cui sopra. Ho ascoltato la bella voce di “Mimmu ‘u curdu” stamane alle ore 10
nel programma radiofonico “Tutta la
città ne parla” su RadioRai3 e mi sono sentito riconciliare con il mondo
intero. Tale e tanta è la voglia di sapere e di conoscere esseri umani semplici
e di grande valore morale e civico. Afferma “Mimmu ‘u curdu” nella intervista: "Da
militante del movimento studentesco pensavo di poter partecipare alla
costruzione di un mondo migliore. Poi quella via in Italia si è smarrita, ma a
me è rimasta la voglia di fare qualcosa di concreto. Provarci non è stato
semplice: la prima volta che mi sono candidato, non mi ha votato neanche mio
papà. Poi, nel '98, sulle nostre coste è sbarcato un veliero pieno di
richiedenti asilo curdi. E quell'esperienza ha cambiato tutto".Ho
capito così da quale mondo “Mimmu ‘curdu” provenga e quali strade della
speranza abbia battuto. Non meriterà pertanto il “pigolio” dell’uomo di Rignano
sull’Arno.
“Mimmu ‘u curdu” “si è guadagnato il 40esimo posto nella
classifica delle persone più influenti al mondo della rivista Fortune, fianco a
fianco con Angela Merkel, papa Francesco e l'ad di Apple, Tim Cook. In passato,
aveva fatto innamorare un regista come Wim Wenders, che a Riace ha dedicato il
film Il Volo”. E lui, nell’intervista sostiene: "Qui non ci sono centri
d'accoglienza, qui ai migranti diamo una casa vera". Ed ancora: Lei è
l'unico italiano in classifica . Si è chiesto perché? "Non so neanche chi
mi abbia candidato. Forse una studentessa statunitense che ha lavorato su
Riace, o una tv che si è occupata di noi. Io l'ho saputo da chi mi chiamava per
farmi i complimenti, ma per me non è cambiato niente. Sono solo un sindaco che
ci mette l'anima. Nonostante le difficoltà di un territorio condizionato dalle
mafie, da problemi economici, dalla disoccupazione e dall'isolamento
istituzionale, è un lavoro appassionante". Qual era, prima, la vita di
Mimmo Lucano? "Per anni, sono stato un insegnante del laboratorio di
chimica. Ora sono in aspettativa, ma non ho mai vissuto di politica né intendo
farlo in futuro. Sono stato anche io un emigrante a Torino, a Roma. Tornare in
Calabria è stata la scelta più difficile: come tanti, avrei potuto costruire la
mia vita al Nord, ma la voglia di tornare era troppo forte". (…). Cos'è
successo? "Anche con l'appoggio di monsignor Bregantini, allora vescovo di
Locri, che invitò ad aprire i conventi per accogliere i migranti, ci venne
l'idea di usare le case abbandonate del centro storico per ospitare un popolo
in fuga. In paese non erano rimaste più di 400 persone, una comunità che si
spegneva giorno dopo giorno. Poi, Riace ha aderito al Programma nazionale asilo
ed è diventata luogo di transito di tantissimi migranti. Questo ha dato speranza
a chi è arrivato, ma anche a chi ha accolto".Questa esperienza è servita
da modello in Calabria? "Quando discutono di immigrazione in Regione
neanche mi chiamano. Pensavo che il governatore Mario Oliverio, che come me
viene da una tradizione di sinistra, sarebbe stato più aperto al confronto. Nel
2009, l'ex presidente della Regione Loiero fece approvare una legge nota come
"Modello Riace". La presidente della Camera Laura Boldrini è nostra
cittadina onoraria. Oggi non riusciamo più a farci ascoltare". Si è
pentito di essere tornato? "No, ma non è stato facile. Qui sono solo: mia
moglie è a Siena, i miei figli studiano a Roma. Ma quest'esperienza, per quanto
non pretenda di risolvere i problemi del Sud, dà un contributo. Dimostra che un
altro modo di agire è possibile". Ha scritto in “Il nostro grido
di dolore che il mondo non vuol sentire” Enaiatollah Akbari, ragazzo afgano
arrivato in Italia come profugo, pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 5
di settembre dell’anno 2015: Chissà che cosa sarebbe diventato, il
piccolo Alan. Magari un bravo avvocato, o un grande chirurgo. Invece il destino
l’ha fatto morire troppo presto, sulle coste della Turchia, dopo esser fuggito
assieme ai genitori dal suo Paese e aver abbandonato il suo nido, distrutto
dalle bombe. In questi mesi, purtroppo, la sfortuna si accanisce su tanti altri
bimbi, che magari non riescono neanche ad avvicinarsi all’Europa, perché
falciati prima dalla fame o dalla sete. Altri piccoli, e sono molti di più di
quanto non si creda, muoiono al settimo o all’ottavo mese nella pancia di una
madre così stremata da non riuscire a portare a termine la gravidanza. Noi
rifugiati siamo gente molto fragile. E tra gli umani apparteniamo alla
categoria più debole. Già nel nostro Paese d’origine non abbiamo diritti, e
subiamo le peggiori ingiustizie. Imploriamo aiuto al resto del mondo, ma non
c’è quasi mai nessuno che ascolti il nostro dolore, nessuno che senta il nostro
grido. Lo stesso accade quando siamo all’estero. Che esistono i diritti
dell’infanzia e i diritti dell’uomo l’ho scoperto dopo essere approdato in
Italia, quando ho cominciato a leggere e studiare. Prima, non me n’ero accorto
che c’erano delle leggi internazionali sancite al solo scopo di proteggere
l’essere umano, come non se ne accorgono i migranti in viaggio da Siria,
Afghanistan o Nigeria. I diritti dell’uomo vengono forse rispettati al di qua
del muro europeo, sicuramente non al di fuori. Perciò, per la maggior parte dei
profughi sono un concetto molto astratto, di cui non vedono mai l’applicazione
e nei quali hanno difficoltà a credere. Ora, senza l’applicazione di questi
diritti, che ne è dei principi fondamentali degli Stati che li hanno firmati? La
mia esperienza di guerra, vissuta quando vivevo in Afghanistan, mi ha insegnato
che i bambini sono sempre i primi a morire. Ciò accade perché quando si trovano
davanti a un campo minato, anche se i genitori li hanno messi in guardia e
anche se ci sono dei cartelli che ne indicano il perimetro, loro non sono in
grado di valutarne la pericolosità. Ci vanno ugualmente e saltano per aria.
Oppure, quando una casa viene bombardata, sono loro i primi a morire, perché i
più lenti. Io ce l’ho fatta, perché sono stato più fortunato di altri, e non
più forte di loro. Per riuscire ho attraversato due guerre: quella nel mio
Paese, dal quale era difficilissimo e pericolosissimo uscire; e quella per
arrivare in Europa, dopo un viaggio interminabile, con pochissimo cibo e
pochissima acqua. Lo stesso succede in questi giorni ai profughi che arrivano
in Ungheria. Hanno attraversato mari, deserti e montagne, e quando arrivano lì,
la prima cosa che trovano è il filo spinato che gli blocca la cammino. Vorrei
solo che i popoli d’Europa capissero perché tanta gente s’ammassa alle sue
porte. La maggior parte di chi fugge lo fa perché in patria è perseguitato. Che
significa essere perseguitato? Significa che se ti trovano a casa tua, siano
essi poliziotti, nemici o islamisti, ti ammazzano. Ho come l’impressione che
questo concetto di persecuzione non sia chiaro a tanti. I siriani, per esempio,
sono perseguitati dalle falangi dello Stato islamico, che torturano, chiudono
le persone nella gabbie e gli danno fuoco, decapitano. Ora, le vittime di
queste barbarie sono persone come noi, ma che hanno solo avuto la sfortuna di
nascere in un Paese in guerra. Sono esseri umani come noi. Sono nostri
fratelli, ai quali nessuno dovrebbe sbattere la porta in faccia. Mi fanno
ridere coloro che temono l’arrivo di terroristi, travestiti da profughi.
Infatti, tra i migranti siriani non ci sono uomini dello Stato islamico, né tra
quelli afgani dei Taliban o tra i nigeriani dei guerriglieri di Boko Haram. Oggi
ho 27 anni, e studio Scienze politiche e cooperazione all’Università di Torino.
Sono pronto a qualsiasi lavoro mi verrà offerto, ma il mio sogno è di lavorare
per le Nazioni Unite. Per poter al più presto aiutare le persone che stanno
vivendo adesso l’odissea che fu la mia. Chi ricorda più il piccolo Alan
morto su di una spiaggia turca? Non merita più un “tweet”, è passato di “moda”.
Figurarsi se lo meriti “Mimmu ‘u curdu”. “Mimmu ‘u curdu” e la Sua gente di
Calabria hanno ascoltato quel “grido di dolore che il mondo non vuol
sentire”.
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