La “sfogliatura” proposta è del lunedì
29 di novembre dell’anno 2010. Il personaggio che l’aveva ispirata allora occupa
ancor oggi le cronache del bel paese. Conduce tuttora una vita da “principe
della chiesa” e come un “principe” si assegna prerogative d’interdizione nella
vita pubblica di uno Stato sovrano. La “sfogliatura” quindi: Scrive
Jean-Paul Gouteux alla pagina 220
del Suo “Apologie du blasphème” –
Sillepse, Paris (2006) - : (…). Il
successo evolutivo di qualunque sistema ideologico dipende dalla sua capacità
di generare proselitismo, per combattere, escludere, e rimpiazzare i sistemi
antagonisti. La natura totalitaria dei sistemi religiosi e ideologici di
maggior successo è vincolata a questa implacabile forma di selezione. Le
religioni dolci, tolleranti, umaniste e pacifiche non hanno nessuna opportunità
di alimentarsi. Insistiamo su questa evidenza che talvolta non si vuole vedere:
si riproducono solo i sistemi che sviluppano mezzi efficaci di riproduzione, il
proselitismo, il totalitarismo intellettuale, l’intolleranza, l’assolutismo
delle convinzioni. (…).
Ecco il punto. Trova forza, valore e sostanza, in
queste parole dell’illustre Autore d’oltralpe, la condizione della chiesa di
Roma che fa del “cinismo” la sua
carta vincente. E del resto, una religione fattasi chiesa-stato, con i suoi
apparati, i suoi paludamenti, le sue sontuosità spesso offensive e contraddittorie
dell’insegnamento dell’uomo di Nazareth, non può non avere nel suo “imprinting”, nel suo codice genetico,
se non la massima espressione di quel senso “senso cinico” che, per dirla con le parole di quel grande, la
rendono inequivocabilmente, “una
religione semiatea, mercantile, comoda, i cui effetti negativi penetrano nel
codice genetico, dal cinismo pragmatico alla furberia infingarda. Non una
religione dolce, tollerante, umanista e pacifica è la religione della chiesa di
Roma; è la religione, al pari delle altre monoteiste, dell’intolleranza, della
barbarie delle sue crociate e dei suoi roghi, dell’attaccamento al potere in
qualsivoglia forma esso dovesse esprimersi, che consenta ad essa di affermarsi
con l’esclusione, ideologica e pure fisica, delle altre forme di pensiero che
con essa dovessero entrare in competizione. Me ne ha fatto rammentare, della
mai sopita “essenza integralista”
della chiesa di Roma, la ripetuta visione, avvenuta di recente su di una rete
televisiva nazionale, di quel magnifico lavoro cinematografico che è il “Giordano Bruno” (1973) di Giuliano
Montaldo, con la partecipazione drammaticamente straordinaria di Gian Maria
Volontè. Nelle prime sequenze di quel lavoro il regista immagina un incontro
tra lo scienziato Galileo Galilei ed il filosofo Giordano Bruno al quale, il
primo, rimprovera l’indimostrabilità delle sue argomentazioni filosofiche.
Punto sul vivo, sarà quel martire del rogo voluto dall’intolleranza della
chiesa di Roma, ad accusare lo scienziato di temere più di ogni altra cosa al
mondo il potere temporale di quella chiesa che da lì a poco lo avrebbe
segregato per il resto della sua vita. È il “senso cinico”, proprio di qualsivoglia potere, a condizionare l’atteggiamento, il
comportamento e la vita morale e spirituale della chiesa di Roma, che non ha
remore a intrattenere rapporti ambigui e colpevolmente tolleranti con il “potere politico” del momento. Ne fanno
testimonianza le vicende epistolari di don Aldo Antonelli, parroco di
Antrosano, che di seguito trascrivo. Lettera “riservata” di don Aldo Antonelli,
parroco, al Card. Bagnasco. “Signor
Cardinale, mi rivolgo a Lei come Presidente della Conferenza Episcopale
Italiana per esprimerle il mio disagio e porle delle domande. In questi ultimi
tempi si è andata ingrossando la valanga di volgarità e di oscenità che già da
tempo investe il paese Italia e che sta cancellando, ogni giorno di più, ogni
traccia di pudore, senso del limite, coscienza di dignità, e che ha imposto un
degrado dell’etica pubblica; insomma tutte quelle virtù che con fatica noi
parroci cerchiamo di impiantare e tener vive nell’anima dei nostri fedeli. Da
tempo anche i laici più avvertiti lamentano i pericoli di questa deriva, se già
nel lontano 2007 Eugenio Scalfari su Repubblica denunciava il pericolo di un
andazzo che vellica gli istinti peggiori che ci sono in tutti gli esseri umani.
Impastando insieme illusorie promesse, munificenza, bugie elette a sistema,
tentazioni corruttrici, potere mediatico. Una miscela esplosiva, capace di
manipolare e modificare in peggio l’antropologia di un intero paese’ (Eugenio
Scalari su La Repubblica del 25.11.2007). Il disagio di fronte a questo stato
di cose è ancor più esacerbato dalle cene allegre del segretario di Stato,
dalle parole equivoche di Mons. Fisichella e dal silenzio correo di Lei,
presidente della CEI. Soprattutto le parole di contestualizzazione di mons.
Fisichella che mirano a giustificare ciò che invece bisognerebbe condannare, e
i Suoi silenzi prudenziali che tendono a coprire ciò che non si può più tacere,
appaiono a noi, parroci di periferia, inequivocabilmente immorali e omicidi.
Noi, cui le bestemmie dei violenti fanno meno paura che il silenzio degli
onesti. Cosa altro deve avvenire perché finalmente si oda il Vostro grido e la
Vostra condanna? Quale maledizione perché Voi Vescovi finalmente parliate? Il
disagio, alla base, è grande. E in questo disagio si fa strada lo smarrimento,
lo sconcerto, la desertificazione degli orizzonti, il dubbio di non essere più
all’altezza delle problematiche che la realtà impone. E sorgono delle domande,
grosse e gravi come macigni. Sinteticamente, per non trattenerla oltre il
dovuto, ne enumero tre: 1) Circa le parole di mons. Fisichella, le chiedo: ci
possono essere situazioni nelle quali la bestemmia diventa lecita? E, nel caso,
quali sono? Noi parroci vorremmo conoscerle queste situazioni, individuare
questi contesti, anche per risparmiare ai nostri fedeli inutili rimorsi di
coscienza… 2) Sempre in tema di ‘contestualizzazione’ le chiedo: perché questa
accortezza cautelativa è stata usata per Berlusconi mentre è stata accantonata
per casi ben più gravi e drammatici come per Welby ed Eluana Englaro? Forse che
nell’applicazione della legge morale, anche nella Chiesa esistono corsie
preferenziali per l’imperatore ed impraticabili ai comuni mortali? 3) Ricordo
che per i funerali religiosi di Welby, vergognosamente vietati dalla chiesa,
fui contattato dai familiari per una benedizione in aperta piazza; declinai
l’invito, ricorrendo quel giorno la Domenica della Palme, ma anche per una
mancanza di coraggio di cui oggi mi vergogno. Quanto ai suoi silenzi, che
sembrano programmati al fine di barattarli con vantaggi corposi circa, per es.,
il finanziamento delle scuole cattoliche, le
chiedo: che differenza c’è tra una prostituta che vende il corpo per
danaro ed una chiesa che, sempre per danaro, svende l’anima? Nella mia
sensibilità morale una differenza c’è: una donna povera ha comunque il diritto
a vivere, mentre la chiesa, per vivere, memore delle parole del suo Maestro,
deve pur saper morire. Questa lettera, signor Cardinale, la invio, per
conoscenza, anche al mio Vescovo, e resterà fraternamente riservata. Voglio
sperare in una sua pronta risposta. In caso contrario mi sentirò libero di
farla conoscere ai miei parrocchiani e a quanti frequentano la chiesa per la
quale svolgo servizio. Don Aldo Antonelli – parroco Antrosano 4 Novembre 2010”.
Scriveva Umberto Galimberti in “La
Chiesa come agenzia etica” del 3 di novembre dell’anno 2012: (…). La
Chiesa ha rinunciato al potere temporale nel senso del possesso dei territori,
ma non a quel potere temporale che consiste nell'intervenire, a partire dai
suoi "principi non negoziabili", su questioni etiche, come la
fecondazione eterologa, l'aborto, il fine vita, il riconoscimento delle coppie di
fatto, i matrimoni gay, la scuola privata e altre questioni che ogni società
civile, può tranquillamente regolamentare da sé. Qualcosa di analogo alle
potenze coloniali che hanno rinunciato al possesso dei territori, ma non al
condizionamento economico di quelle nazioni che hanno guadagnato la loro
indipendenza. In questo modo la Chiesa, come già avvertiva Gianni Baget Bozzo
nel suo libro L'anticristo (Mondadori), rinuncia ad essere una religione, per
ridursi ad agenzia etica, dimenticando il richiamo di Kiekegaard che in Timore
e tremore sottolineava con forza che lo stadio religioso oltrepassa di gran
lunga lo stadio etico. Non si spigherebbe altrimenti come nell'Antico
Testamento, Dio ordini ad Abramo il sacrificio del figlio Isacco, e tantomeno
la risposta che Dio dà a Giobbe che gli chiedeva dove mai fosse la sua
giustizia. La risposta di Dio non lascia dubbi sull'inopportunità di una simile
domanda: "Dov'eri tu quando io mettevo le basi alla terra? Dimmelo se hai
tanta scienza" (Giobbe, 38,4). Dio, infatti, è al di là delle regole che
governano la morale che calcola debiti e crediti, colpe e pene come prevede la
giustizia umana. E questo principio è ribadito anche dal Nuovo Testamento dove
Dio è come il padre che accoglie festosamente il figliol prodigo "perché questo
tuo fratello era morto ed è ritornato in vita, era perduto e si è
ritrovato" (Luca, 15, 32); che dà, a chi è giunto sul lavoro all'ultima
ora, la stessa mercede pattuita con chi ha lavorato l'intero giorno: "così
gli ultimi saranno i primi, e i primi gli ultimi" (Matteo, 25, 15-16); che
loda il fattore che pratica sconti sui debiti a quanti li hanno contratti col
suo padrone (Luca, 16, 8); che va alla ricerca della pecorella smarrita e,
ritrovatala, dice: "Vi sarà in cielo una gioia maggiore per un solo
peccatore che si pente che per novantanove giusti" (Luca, 15, 7); che ai
grandi Sacerdoti del Tempio e agli Anziani del popolo dice che: "I
pubblicani e le prostitute andranno innanzi a voi nel regno dei cieli"
(Matteo 21, 31); che analoga promessa annuncia sulla croce al ladrone: "In
verità ti dico: oggi sarai in paradiso con me" (Luca, 23, 42).
L'imperscrutabilità del giudizio di Dio, sul significato che ai suoi occhi
assume ogni "singola esistenza" non dovrebbe tradursi in una legge
morale "valida per tutti", con la conseguenza di impossessarsi del
principio del bene e del male, che Dio aveva vietato ad Adamo ed Eva di
conoscere e che il serpente aveva promesso di svelare. Ne discende che per
tornare ad essere una religione che custodisce il mistero di Dio, la Chiesa
dovrebbe rinunciare a legiferare in sede morale, lasciando all'umana ragione il
compito di formulare una morale valida per tutti, credenti e non credenti, i
quali, per convivere nel modo meno conflittuale possibile, hanno bisogno di una
norma da tutti condivisa, che non la fede, ma come diceva Kant, solo la ragione
è in grado di formulare. Solo allora potremo dire che la Chiesa ha abbandonato
il suo potere temporale, per parlare del regno di Dio che, secondo il Vangelo:
"Non è di questo mondo" (Giovanni, 18, 36).
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