Ritrovo di Enzo Costa un
“Giro d’Italia in 38 aforismi”, pubblicato
sul quotidiano l’Unità tanto tempo addietro, l’anno 2010 almeno, quando ancora
il quotidiano che fu dell’Antonio Gramsci rappresentava il mondo della “sinistra”
e detestava il mondo del pressapochismo inventato dall’uomo di Arcore e ben
impiantato nel ventre molle del bel paese dal suo degno epigono tuttora in
carica: In Italia si brancola nelle emergenze. In Italia si fa di necessità
vizio. In Italia si parcheggia in doppia fila, ma il sogno proibito resta la
terza. In Italia il qualunquismo non paga: vince gratis. In Italia non c’è più
il popolo, però trionfa il populismo. In Italia siamo disponibilissimi a
lottare contro il clientelismo: in cambio chiediamo solo un posto al ministero.
In Italia la maggioranza vince e i cocci sono suoi. In Italia ogni tanto ci si
affida all’Uomo della Provvidenza, dove la Provvidenza sta nel fatto che capita
solo ogni tanto. In Italia i pochi che hanno schifo dello schifo li chiamano
snob, e li snobbano pure. In Italia a un certo punto si riabilita una
schifezza. In Italia a un certo punto hanno riabilitato il trash. In Italia a
un certo punto è divampato l’allarme immondizia. In Italia a un certo punto si
è spento, insieme alle telecamere. In Italia i carnefici sono spietati, ma i
vittimisti feroci. In Italia si punta sempre alla qualità, all’eccellenza, al
merito, e poi si fa fuoco. In Italia non si finanzia la ricerca perché se si
ricerca troppo alla fine ti scoprono. In Italia gli estremisti di ieri sono i
moderati di oggi ed i reazionari di domani, ma con il fanatismo di sempre. In
Italia si salta sempre sul carro della cosca vincente. In Italia ci infuriamo
con i politici corrotti: è inconcepibile che si facciano beccare. In Italia ci
si indigna a sentenze alterne. In Italia non ci fidiamo delle ricette facili:
ci fidiamo di quelle facilissime. In Italia abbiamo una buona memoria, solo che
non ricordiamo dove l’abbiamo messa. In Italia teniamo famiglia. In Italia
teniamo più famiglie. In Italia teniamo il Family Day. In Italia dovremmo
temere la famiglia. In Italia non ce la raccontano: basta che ce la sussurrino.
In Italia pensiamo così poco all’interesse generale che quest’ultimo ci
ricambia. In Italia l’etica pubblica è morta e anche l’estetica privata non si
sente troppo bene. In Italia siamo furbi. In Italia siamo furbetti. In Italia
siamo furbissimi. In Italia quelli che non sono furbi, furbetti o furbissimi ci
sono: sarebbero anticorpi, ma passano per anti-italiani. In Italia gli stadi
ribollivano di slogan incivili, frasi oscene ed insulti razzisti: poi i
talkshow politici gli hanno fregato il format. In Italia c’è poco sentimento e
molto sentimentalismo, poco pentimento e molto pentitismo, poco talento e molti
talent show. In Italia siamo nei reality show fino al collo. In Italia ci si
guarda poco allo specchio e molto alla tv, che è uno splendido specchio
deformante. In Italia leggiamo poco, di conseguenza ci beviamo tutto.
Aggiungo
di mio l’aforisma numero 39: in Italia… si “chiagne e si fotte”. L’aforisma degli
aforismi. Il massimo. Del resto, “niente”. E questo “niente”,
allocuzione o vezzo verbale che dir si voglia, con la quale una infinità di abitatori
della italiche ubertose contrade iniziano i loro discorsi – discorsi si fa per
dire – è lo specchio fedele, è la rappresentazione verbale di una condizione
antropologica al limite del patologico. “Niente” e basta. Che poi è il “niente”
che riguarda la cosa pubblica, ché laddove si ha a che fare con il “privato”
è tutto un altro discorso. “Niente”. Il “niente” del pubblico non
rientra nella sfera degli interessi di milioni di esseri resisi
autonomamente “privati” e che della
filosofia del “privato” permeano tutta la loro esistenza sino a quando il “pubblico”,
anche il più miserevole, non appaia essere la “mucca grassa” da
spolpare convenientemente e scientemente. Per il resto, “niente”. Si scriveva sul
settimanale “Famiglia cristiana” del
10 di agosto dell’anno del signore 2010: Un paese maturo, che deve mirare allo
sviluppo e alla pacifica convivenza dei cittadini, non può continuare con
uomini che hanno scelto la politica per sistemare se stessi e le proprie
pendenze. Misericordiosa bontà cristiana! È che “un paese maturo” non
esiste proprio. Ché ci saremmo ridotti in queste miserevoli condizioni? Ha
scritto Piero Ottone in “La caduta del
paese”: (…). I sociologi dicono che si è aperta l' era del populismo. Può
darsi. Fatto sta che da tre lustri un uomo governa il paese a modo suo, senza
alcun rispetto per le regole. Corruzione? C' era anche prima. Ma si cercava di
salvare le apparenze. Adesso siamo al ridicolo. Quell'uomo, sostenuto da una
valanga di voti, dotato di grande potere, è convinto che non ci siano limiti ai
suoi desideri e alle sue trovate, ha perso ogni ritegno: leggi fatte su misura
per non rendere conto alla giustizia, sfida aperta agli altri poteri dello
Stato, e intanto ragazze di vita sugli aerei militari, festini come nelle
satrapie dell'Oriente, fino alla ragazza incontrata per caso e infilata in un
convegno di capi di Stato, mentre un tale è fatto ministro, palesemente, solo
per sfuggire a un processo. Gli stranieri, adesso, ci guardano increduli. Le
leggi, i provvedimenti necessari per fronteggiare le grandi crisi, intanto,
languiscono. Ministri senza una guida altercano fra loro. Non si sa se sia più
grave l' umiliazione inflitta al paese da un uomo di governo che ha perso il
senso della misura, circondato da una corte di seguaci disposti a tutto, o l'acquiescenza
di tante persone fondamentalmente per bene, che fino a ieri hanno supinamente
accettato il suo stile di governo, senza fiatare. A chi non lo accettava
dicevano: ce l'avete con lui perché è ricco? O perché è anticomunista? Siete
invidiosi? Solo adesso qualcuno fra questi personaggi dà segni, per altro
timidi, di resipiscenza. Era necessario aspettare tanto? La supinità di tanta
gente che conta, più ancora delle stravaganze del personaggio, ha dato la
misura dell' abisso. Temo che sia vero: non eravamo mai caduti così in basso.” Ora che incombe la pasqua cristiana sarebbe
cosa buona e giusta rileggere quel che Francesco papa ha scritto sui corrotti,
dei quali il bel paese abbonda a dismisura, nel Suo “Il nome di Dio è misericordia” – Piemme editore (2016) –, brano pubblicato
sul quotidiano la Repubblica del 10 di gennaio 2016 col titolo “Il vizio dei corrotti incapaci di pentirsi”:
La
corruzione è il peccato che invece di essere riconosciuto come tale e di
renderci umili, viene elevato a sistema, diventa un abito mentale, un modo di
vivere. Non ci sentiamo più bisognosi di perdono e di misericordia, ma
giustifichiamo noi stessi e i nostri comportamenti. Gesù dice ai suoi
discepoli: se anche un tuo fratello ti offende sette volte al giorno e sette
volte al giorno torna da te a chiederti perdono, tu perdonalo. Il peccatore
pentito, che poi cade e ricade nel peccato a motivo della sua debolezza, trova
nuovamente perdono, se si riconosce bisognoso di misericordia. Il corrotto,
invece, è colui che pecca e non si pente, colui che pecca e finge di essere
cristiano, e con la sua doppia vita dà scandalo. Il corrotto non conosce
l'umiltà, non si ritiene bisognoso di aiuto, conduce una doppia vita. (…). Non
bisogna accettare lo stato di corruzione come se fosse soltanto un peccato in
più: anche se spesso si identifica la corruzione con il peccato, in realtà si
tratta di due realtà distinte, seppure legate tra loro. Il peccato, soprattutto
se reiterato, può portare alla corruzione, non però quantitativamente – nel
senso che un certo numero di peccati fanno un corrotto – quanto piuttosto
qualitativamente: si generano abitudini che limitano la capacità di amare e
portano all'autosufficienza. Il corrotto si stanca di chiedere perdono e finisce
per credere di non doverlo più chiedere. Non ci si trasforma di colpo in
corrotti, c'è un declino lungo, nel quale si scivola e che non si identifica
semplicemente con una serie di peccati. Uno può essere un grande peccatore e
ciononostante può non essere caduto nella corruzione. Guardando al Vangelo
penso ad esempio alle figure di Zaccheo, di Matteo, della samaritana, di
Nicodemo, del buon ladrone: nel loro cuore peccatore tutti avevano qualcosa che
li salvava dalla corruzione. Erano aperti al perdono, il loro cuore avvertiva
la propria debolezza, e questo è stato lo spiraglio che ha fatto entrare la
forza di Dio. Il peccatore, nel riconoscersi tale, in qualche modo ammette che
ciò a cui ha aderito, o aderisce, è falso. Il corrotto, invece, nasconde ciò che
considera il suo vero tesoro, ciò che lo rende schiavo, e maschera il suo vizio
con la buona educazione, facendo sempre in modo di salvare le apparenze. È un
lungo declino nel quale si affonda cercando di salvare soltanto le apparenze.
Ecco. Il “niente”. È il caso di chiudere così, così come tanti iniziano
i loro discorsi: - Niente, volevo dire…-. “Niente”,
per l’appunto.
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