"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 22 marzo 2016

Sfogliature. 56 “Il governo dei salvataggi non salva i risparmiatori”.



Non abbiano un sussulto improvviso gli incorreggibili ammiratori dell’uomo di Rignano sul’Arno fuorviati dal titolo di questa “sfogliatura”. Non si parlerà affatto di “Banca Etruria” e dintorni. E di tutti i machiavellismi messi in atto per compiacere quei “poteri” che, se non sempre “forti” danno la speranza o la promessa di un sostegno necessario alla carriera politica. Stiano tranquilli, niente di tutto ciò. Si parla – o si scrive – di ben altro ma che ha la stessa natura e lo stesso effetto se riportato ai giorni correnti. La “sfogliatura” risale infatti al 22 di gennaio dell’anno 2005. E se quell’anno 2005 sembra un’altra epoca, quando del “rottamatore” ben poco si conosceva, di quell’anno restano evidenti nelle cronache divenute nel frattempo “storia” – minima, ma pur “storia” - le analogie, i vizi, e le malversazioni che accompagnano ancor oggi il vivere sociale e politico del bel paese. Scrivevo allora che… E se provassimo una volta tanto a dare uno sguardo nel ripostiglio del  (mal)governo, là dove non batte il “sole mediatico” ad illuminare e rendere meno brutte le cose fatte o non fatte dall’egoarca e dalla sua accolita, a spazzare negli angoli dove a nessuno viene le voglia di guardare, tanto le cose là nascoste o riposte di proposito non interessano proprio a nessuno, se non ai diretti interessati, cittadini di un paese disastrato?L’occasione ci è offerta dalla nota di Alberto Statera apparsa sul settimanale “Affari&Finanza” del 17 gennaio, col titolo preso a prestito per questa illuminante rilettura.
Era giusto un anno fa, il 24 gennaio 2004, quando nei fasti della celebrazione del decennale di Forza Italia, tra jingle ossessivi e bandiere azzurre che garrivano persino al chiuso nel palazzo dei congressi di Roma, Berlusconi parlò per 102 minuti esatti, interrotto da 82 ovazioni, quasi una al minuto. Tra gli scrosci più entusiastici, ci fu quello per l'annuncio di un “Risparmiatori day" e di una legge per evitare il ripetersi di un crack come quello Parmalat, appena scoperto. Passati dodici mesi, la riforma del risparmio giace in tardigrado iter in commissione parlamentare, nel generale disinteresse. Gli Stati Uniti, passione del premier, fanno scuola quando vanno in guerra. Meno quando in un batter d'occhio, sull'onda degli scandali finanziari, varano la SarbanesOxley, una legge severa, bollando quelli che ne vogliono ritardare l'iter o ammorbidire le norme come i sostenitori di leggi "Al Capone". Giovedì scorso, pigramente, le Commissioni Finanze e Attività produttive della Camera hanno cominciato a votare il testo del disegno di legge che dovrà approdare all'aula. Un soprassalto probabilmente dovuto all'indignazione per l'offerta pubblica di scambio ai 450 o 600 mila risparmiatori italiani vittime dei Tangobond argentini per un valore di 14 miliardi di euro. Un'offerta ridicola (il 30%) che ha rovinato la festa a Mario Baccini. Ex direttore di uno stabilimento balneare di Ostia (ma qualche maligno dice bagnino) sbardelliano, cioè seguace di Vittorio Sbardella, il defunto ras andreottiano del Lazio, erede di un rilevante pacco di voti in quel di Fiumicino, Baccini era sottosegretario agli Esteri, ma da mesi e mesi covava nel cuore la promessa fattagli da Berlusconi in persona di nominarlo ministro. Ciò che ne aveva fatto una specie di leggenda metropolitana nel Transatlantico di Montecitorio, dove i colleghi, incontrandolo, gli chiedevano continuamente se avesse tolto dalla naftalina l'abito blu per andare a giurare da Ciampi. Arrivata finalmente l'agognata nomina a ministro della Funzione pubblica, il povero Baccini, autore nel frattempo di una preziosa opera intitolata "La diplomazia preventiva. Dal Papa agli U2", si è beccato la croce addosso di tutti i risparmiatori fregati d'Italia. "Il Sole24 Ore" gli ha dedicato un corsivo dal titolo "Argentina, grazie Baccini!", nel quale si narra che nel suo incarico di sottosegretario agli Esteri con (in)competenza  sull'America Latina conduceva una politica di appeasement verso gli argentini mentre i tecnici del ministero dell'Economia si battevano attraverso il G7 e il Fondo monetario per ottenere una linea più dura nei confronti di Buenos Aires, in modo da rafforzare la posizione negoziale dei creditori italiani. Quanto è bastato per farne il capro espiatorio dei risparmiatori vittime del crack argentino e di quelli italiani. Che l'(in)competenza diplomatica di Baccini sia stata premiata con la nomina a ministro non stupisce. La promozione non per competenza, ma per interesse elettorale, di clientela e di equilibri di maggioranza, è la migliore qualità dorotea del governo Berlusconi. Ma fare di Baccini la bestia nera dei risparmiatori italiani è un po' troppo facile. La legge sulla tutela del risparmio langue da un anno e se ammuffirà ancora in Parlamento, come sembra probabile, non sarà di sicuro per gli infelici traffici argentini del neoministro, ma per la scarsa volontà politica e l'inerzia di un esecutivo che ha ripetutamente agito in senso opposto ed è allergico a regole troppo severe in questa materia. Governo e maggioranza, come un sol uomo, hanno pensato bene di depenalizzare il falso in bilancio, con uno slancio etico considerevole.  Poi hanno pensato alle rogatorie internazionali, alla salvaPreviti, alla salvaDell'Utri e via salvando. I risparmiatori possono aspettare. Su una sola cosa governo e maggioranza sono sveltissimi: sulle leggi "Al Capone", come direbbero a Washington. Ecco, è quanto si scriveva  in quel lontano tempo andato. E tanto per tornare al tempo dell’oggi, che è il tempo della “rottamazione” non certo dei “poteri forti”, interessante è leggere una nota di quell’illustre opinionista pubblicata sul settimanale “Affari&Finanza” del 26 di gennaio dell’anno 2015 che ha per titolo “Solo i comunisti della Casa Bianca all’attacco delle disuguaglianze”: Tutti conoscono le loro facce: da Michele Ferrero a Miuccia Prada, da Leonardo del Vecchio a Giorgio Armani, da Luciano Benetton a Stefano Pessina, da Silvio Berlusconi a Gianfelice Rocca, ai fratelli Perfetti, fino a Renzo Rosso. Questi signori, messi insieme, hanno un patrimonio di 98 miliardi di euro, cioè due miliardi in più del patrimonio complessivo di 18 milioni di italiani, secondo quanto pubblicato da Repubblica sulla base di dati ufficiali. Ma c'è un altro milione e 600 mila italiani che non dispone delle mostruose ricchezze dei dieci sullodati, ma ha patrimoni milionari. Di questi, cui vengono accreditati 2,7 milioni di dollari ciascuno, nessuno conosce il volto, spesso compreso il fisco che, anche quando li ha nei suoi file, li tratta con empatia. L'ultimo rapporto Oxfam (Oxford committeee for famine relief), la confederazione di 17 organizzazioni non governative che lavora in 100 paesi, rivela che quelli che definisce gli happy few, i pochi felici, sono circa 35 milioni, di cui 14 americani, 2,7 giapponesi, 2,4 francesi, 2 tedeschi e inglesi e, per l'appunto, 1,6 milioni italiani. Abbiamo cioè il quinto posto al mondo per numero di ricchi e, parallelamente, il record europeo di evasione fiscale, preceduti soltanto dalla Grecia. La settimana scorsa a Davos i grandi si sono accorti finalmente che i ricchi continuano ad arricchirsi e i poveri a impoverirsi, tanto che le diseguaglianze aumenteranno nel 2016, con l'1 per cento della popolazione più ricco del restante 99 per cento, mettendo a rischio la cosiddetta coesione sociale. Ma sulle politiche di equità siamo praticamente all'anno zero, dilaniati da preconcetti 'ideologici'. La diseguaglianza fa bene perché incentiva le persone a lavorare sodo e premia le capacità imprenditoriali, dice la cantilena 'liberista'. E forse così sarebbe davvero se tutti avessero la possibilità di muovere da una linea di partenza comune e se le ricchezze possedute dai super- ricchi e dagli happy few fossero tutte meritate in base a un criterio verificato di meritocrazia. Ma non è così neanche nelle democrazie consolidate, dove gran parte degli investimenti in lobbying è destinata proprio a favorire regimi fiscali favorevoli, e tanto meno in Italia, dove la distribuzione di redditi e ricchezze più che al merito è spesso legata a privilegi, clientela, corruzione e, per l'appunto, evasione ed elusione fiscale. 'Poca diseguaglianza fa bene - ha riassunto efficacemente la questione Mohamed El-Erian, che è chief economic advisor del colosso tedesco Allianz, ma anche consigliere di Barack Obama - molta diseguaglianza fa male, priva alcuni segmenti della società dei loro diritti ed erode il tessuto sociale'. E l'Obama in nuova versione 'socialista' o addirittura 'comunista', come dicono i repubblicani che hanno tutte le intenzioni e le possibilità di bloccarlo, promette di soccorrere quella classe media negletta che soffre mentre pochi si arricchiscono a ritmi supersonici. Minori deduzioni fiscali e maggiori tasse sui guadagni di capitale, limiti ai 'trust ereditari' dei ricchi e deduzioni per il ceto medio a cominciare da uno sconto di 3 mila dollari per ogni figlio. 320 miliardi di maggiori entrate dai ricchi e 175 miliardi in meno per il ceto medio. 'Farò i due anni che mi restano all'attacco', ha detto il presidente 'comunista'. Peccato che da noi il presidente presunto 'post-post comunista' sia paralizzato in difesa. La “continuità” politica ed ideologica tra l’uomo di Arcore ed il giovine uomo di Rignano sull’Arno.

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