Non abbiano un sussulto
improvviso gli incorreggibili ammiratori dell’uomo di Rignano sul’Arno fuorviati
dal titolo di questa “sfogliatura”. Non si parlerà affatto di “Banca Etruria” e
dintorni. E di tutti i machiavellismi messi in atto per compiacere quei “poteri”
che, se non sempre “forti” danno la speranza o la promessa di un sostegno
necessario alla carriera politica. Stiano tranquilli, niente di tutto ciò. Si parla
– o si scrive – di ben altro ma che ha la stessa natura e lo stesso effetto se
riportato ai giorni correnti. La “sfogliatura” risale infatti al 22 di gennaio
dell’anno 2005. E se quell’anno 2005 sembra un’altra epoca, quando del “rottamatore”
ben poco si conosceva, di quell’anno restano evidenti nelle cronache divenute
nel frattempo “storia” – minima, ma pur “storia” - le analogie, i vizi, e le
malversazioni che accompagnano ancor oggi il vivere sociale e politico del bel paese.
Scrivevo allora che… E se provassimo una
volta tanto a dare uno sguardo nel ripostiglio del (mal)governo, là dove non batte il “sole
mediatico” ad illuminare e rendere meno brutte le cose fatte o non fatte
dall’egoarca e dalla sua accolita, a spazzare negli angoli dove a nessuno viene
le voglia di guardare, tanto le cose là nascoste o riposte di proposito non
interessano proprio a nessuno, se non ai diretti interessati, cittadini di un
paese disastrato?L’occasione ci è offerta dalla nota di Alberto Statera apparsa
sul settimanale “Affari&Finanza” del 17 gennaio, col titolo preso a
prestito per questa illuminante rilettura.
Era
giusto un anno fa, il 24 gennaio 2004, quando nei fasti della celebrazione del
decennale di Forza Italia, tra jingle ossessivi e bandiere azzurre che
garrivano persino al chiuso nel palazzo dei congressi di Roma, Berlusconi parlò
per 102 minuti esatti, interrotto da 82 ovazioni, quasi una al minuto. Tra gli
scrosci più entusiastici, ci fu quello per l'annuncio di un “Risparmiatori
day" e di una legge per evitare il ripetersi di un crack come quello
Parmalat, appena scoperto. Passati dodici mesi, la riforma del risparmio giace
in tardigrado iter in commissione parlamentare, nel generale disinteresse. Gli
Stati Uniti, passione del premier, fanno scuola quando vanno in guerra. Meno
quando in un batter d'occhio, sull'onda degli scandali finanziari, varano la SarbanesOxley, una
legge severa, bollando quelli che ne vogliono ritardare l'iter o ammorbidire le
norme come i sostenitori di leggi "Al Capone". Giovedì scorso, pigramente, le
Commissioni Finanze e Attività produttive della Camera hanno cominciato a
votare il testo del disegno di legge che dovrà approdare all'aula. Un
soprassalto probabilmente dovuto all'indignazione per l'offerta pubblica di
scambio ai 450 o 600 mila risparmiatori italiani vittime dei Tangobond
argentini per un valore di 14 miliardi di euro. Un'offerta ridicola (il 30%)
che ha rovinato la festa a Mario Baccini. Ex direttore di uno stabilimento
balneare di Ostia (ma qualche maligno dice bagnino) sbardelliano, cioè seguace
di Vittorio Sbardella, il defunto ras andreottiano del Lazio, erede di un
rilevante pacco di voti in quel di Fiumicino, Baccini era sottosegretario agli
Esteri, ma da mesi e mesi covava nel cuore la promessa fattagli da Berlusconi
in persona di nominarlo ministro. Ciò che ne aveva fatto una specie di leggenda
metropolitana nel Transatlantico di Montecitorio, dove i colleghi, incontrandolo,
gli chiedevano continuamente se avesse tolto dalla naftalina l'abito blu per
andare a giurare da Ciampi. Arrivata finalmente l'agognata nomina a ministro
della Funzione pubblica, il povero Baccini, autore nel frattempo di una
preziosa opera intitolata "La diplomazia preventiva. Dal Papa agli
U2", si è beccato la croce addosso di tutti i risparmiatori fregati
d'Italia. "Il Sole24 Ore" gli ha dedicato un corsivo dal titolo
"Argentina, grazie Baccini!", nel quale si narra che nel suo incarico
di sottosegretario agli Esteri con (in)competenza sull'America Latina conduceva una politica di
appeasement verso gli argentini mentre i tecnici del ministero dell'Economia si
battevano attraverso il G7 e il Fondo monetario per ottenere una linea più dura
nei confronti di Buenos Aires, in modo da rafforzare la posizione negoziale dei
creditori italiani. Quanto è bastato per farne il capro espiatorio dei
risparmiatori vittime del crack argentino e di quelli italiani. Che
l'(in)competenza diplomatica di Baccini sia stata premiata con la nomina a
ministro non stupisce. La promozione non per competenza, ma per interesse
elettorale, di clientela e di equilibri di maggioranza, è la migliore qualità
dorotea del governo Berlusconi. Ma fare di Baccini la bestia nera dei risparmiatori
italiani è un po' troppo facile. La legge sulla tutela del risparmio langue da
un anno e se ammuffirà ancora in Parlamento, come sembra probabile, non sarà di
sicuro per gli infelici traffici argentini del neoministro, ma per la scarsa
volontà politica e l'inerzia di un esecutivo che ha ripetutamente agito in
senso opposto ed è allergico a regole troppo severe in questa materia. Governo
e maggioranza, come un sol uomo, hanno pensato bene di depenalizzare il falso
in bilancio, con uno slancio etico considerevole. Poi hanno pensato alle rogatorie
internazionali, alla salvaPreviti, alla salvaDell'Utri e via salvando. I
risparmiatori possono aspettare. Su una sola cosa governo e maggioranza sono
sveltissimi: sulle leggi "Al Capone", come direbbero a Washington. Ecco,
è quanto si scriveva in quel lontano tempo
andato. E tanto per tornare al tempo dell’oggi, che è il tempo della “rottamazione”
non certo dei “poteri forti”, interessante è leggere una nota di quell’illustre
opinionista pubblicata sul settimanale “Affari&Finanza” del 26 di gennaio
dell’anno 2015 che ha per titolo “Solo i
comunisti della Casa Bianca all’attacco delle disuguaglianze”: Tutti
conoscono le loro facce: da Michele Ferrero a Miuccia Prada, da Leonardo del
Vecchio a Giorgio Armani, da Luciano Benetton a Stefano Pessina, da Silvio
Berlusconi a Gianfelice Rocca, ai fratelli Perfetti, fino a Renzo Rosso. Questi
signori, messi insieme, hanno un patrimonio di 98 miliardi di euro, cioè due
miliardi in più del patrimonio complessivo di 18 milioni di italiani, secondo
quanto pubblicato da Repubblica sulla base di dati ufficiali. Ma c'è un altro
milione e 600 mila italiani che non dispone delle mostruose ricchezze dei dieci
sullodati, ma ha patrimoni milionari. Di questi, cui vengono accreditati 2,7
milioni di dollari ciascuno, nessuno conosce il volto, spesso compreso il fisco
che, anche quando li ha nei suoi file, li tratta con empatia. L'ultimo rapporto
Oxfam (Oxford committeee for famine relief), la confederazione di 17
organizzazioni non governative che lavora in 100 paesi, rivela che quelli che
definisce gli happy few, i pochi felici, sono circa 35 milioni, di cui 14
americani, 2,7 giapponesi, 2,4 francesi, 2 tedeschi e inglesi e, per l'appunto,
1,6 milioni italiani. Abbiamo cioè il quinto posto al mondo per numero di ricchi
e, parallelamente, il record europeo di evasione fiscale, preceduti soltanto
dalla Grecia. La settimana scorsa a Davos i grandi si sono accorti finalmente
che i ricchi continuano ad arricchirsi e i poveri a impoverirsi, tanto che le
diseguaglianze aumenteranno nel 2016, con l'1 per cento della popolazione più
ricco del restante 99 per cento, mettendo a rischio la cosiddetta coesione
sociale. Ma sulle politiche di equità siamo praticamente all'anno zero,
dilaniati da preconcetti 'ideologici'. La diseguaglianza fa bene perché
incentiva le persone a lavorare sodo e premia le capacità imprenditoriali, dice
la cantilena 'liberista'. E forse così sarebbe davvero se tutti avessero la
possibilità di muovere da una linea di partenza comune e se le ricchezze
possedute dai super- ricchi e dagli happy few fossero tutte meritate in base a
un criterio verificato di meritocrazia. Ma non è così neanche nelle democrazie
consolidate, dove gran parte degli investimenti in lobbying è destinata proprio
a favorire regimi fiscali favorevoli, e tanto meno in Italia, dove la
distribuzione di redditi e ricchezze più che al merito è spesso legata a
privilegi, clientela, corruzione e, per l'appunto, evasione ed elusione
fiscale. 'Poca diseguaglianza fa bene - ha riassunto efficacemente la questione
Mohamed El-Erian, che è chief economic advisor del colosso tedesco Allianz, ma
anche consigliere di Barack Obama - molta diseguaglianza fa male, priva alcuni
segmenti della società dei loro diritti ed erode il tessuto sociale'. E l'Obama
in nuova versione 'socialista' o addirittura 'comunista', come dicono i
repubblicani che hanno tutte le intenzioni e le possibilità di bloccarlo,
promette di soccorrere quella classe media negletta che soffre mentre pochi si
arricchiscono a ritmi supersonici. Minori deduzioni fiscali e maggiori tasse
sui guadagni di capitale, limiti ai 'trust ereditari' dei ricchi e deduzioni
per il ceto medio a cominciare da uno sconto di 3 mila dollari per ogni figlio.
320 miliardi di maggiori entrate dai ricchi e 175 miliardi in meno per il ceto
medio. 'Farò i due anni che mi restano all'attacco', ha detto il presidente
'comunista'. Peccato che da noi il presidente presunto 'post-post comunista'
sia paralizzato in difesa. La “continuità” politica ed ideologica tra l’uomo
di Arcore ed il giovine uomo di Rignano sull’Arno.
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