"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 5 ottobre 2014

Oltrelenews. 3



Da “Cambiare tutto senza cambiare nulla” di Tito Boeri, sul quotidiano la Repubblica dell’1 di ottobre 2014: Oggi un datore di lavoro che volesse licenziare un dipendente può addurre sia ragioni di natura disciplinare (legate al comportamento del lavoratore) che economica (legate alla performance dell’impresa). Se il giudice ritiene che queste motivazioni siano infondate (si parla di “manifesta insussistenza” nel caso di licenziamenti economici), può imporre la reintegrazione del lavoratore. Si vuole ora mantenere questa possibilità per i soli licenziamenti disciplinari. Ma il confine fra licenziamenti economici e licenziamenti disciplinari è molto sottile. I datori di lavoro avranno, nel caso in cui questa modifica entrasse in vigore, l’incentivo a perseguire solo la strada dei licenziamenti economici, anche nel caso di comportamenti opportunistici di un proprio dipendente, dato che, almeno sulla carta, i licenziamenti economici costano di meno dei licenziamenti disciplinari. Mentre un lavoratore licenziato per ragioni economiche potrà sempre far valere davanti al giudice il fatto che l’azienda volesse in realtà punirlo per il proprio comportamento. In questo caso, anche se il difetto del lavoratore fosse documentabile, ma l’impresa avesse altri modi di “punire” il lavoratore senza licenziarlo (ad esempio cambiando gli orari di lavoro), il giudice potrà imporre all’azienda il reintegro del dipendente.
Si tratta perciò di una modifica marginale, del tipo di quella imposta dalla Legge Fornero con il principio della “manifesta insussistenza”, che viene peraltro in questo caso introdotta solo per i nuovi assunti, mentre la legge Fornero cambiava le regole per tutti i lavoratori. Per quanto il legislatore possa definire con precisione i licenziamenti disciplinari (“la qualificazione specifica della fattispecie” cui fa riferimento il testo approvato lunedì), con questa mediazione si crea una forte asimmetria fra licenziamenti illegittimi di diversa natura, aprendo lo spazio al contenzioso. Nei paesi Ocse, la norma è quella di trattare tutti i licenziamenti illegittimi allo stesso modo, indipendentemente dalle ragioni inizialmente addotte dalle imprese. Da noi, invece, si mettono paradossalmente in una posizione di vantaggio i lavoratori coinvolti in un procedimento disciplinare rispetto a quelli coinvolti in una crisi aziendale di cui non hanno colpa alcuna. Se il licenziamento viene considerato legittimo, non riceveranno nulla come pure i lavoratori che hanno perso il lavoro per motivi economici. Se, invece, il licenziamento venisse considerato dal giudice senza giusta causa, il lavoratore licenziato per questioni disciplinari potrà essere reintegrato sul posto di lavoro, a differenza di chi ha avuto la sfortuna di trovarsi in un’azienda in crisi. Gli incentivi sono perversi: per aumentare la produttività bisognerebbe proprio scoraggiare i comportamenti opportunistici. A chi oggi deve creare lavoro in Italia importano due cose. Primo, vuole essere rassice curato sul fatto che un eventuale errore nella selezione dei candidati, inevitabile quando si assume per le prestazioni più complesse richieste dalla stragrande maggioranza dei nuovi lavori, questo errore fosse rimediabile con costi certi e contenuti, tipo una compensazione monetaria fissata per legge. Secondo, vuole essere sicuro che il dipendente si impegnerà a svolgere sempre meglio le proprie mansioni “imparando facendo”. Il Jobs act uscito dalla direzione del Pd non cambia nulla su questi due piani. Di più, non viene neanche a sanare la contraddizione introdotta dal decreto Poletti che, permettendo di fatto un periodo di prova di tre anni, scoraggia qualsiasi assunzione a tempo indeterminato e la stessa conversione dei contratti temporanei in contratti permanenti, come certificato dai dati sulle comunicazioni obbligatorie raccolti dal ministero di cui Poletti è titolare. (…). Credevamo che con la nuova politica, l’arte del confronto, della mediazione e della ricerca del consenso, fosse un’altra cosa.

Tratto da “Da destra verso destra, Renzi e il modello Reagan” di Furio Colombo, su “il Fatto Quotidiano” del 5 di ottobre 2014: Perché l’Italia, adesso, dovrebbe ispirarsi a un sistema fallito, il capitalismo d’avventura dei ricchi, visto che ha già definitivamente rifiutato l’altro sistema simmetrico e fallito, il comunismo? Nessuno sa dirci chi ha ordinato, o autorevolmente consigliato, di andare sempre un po’ più a destra. Dati i fallimenti paurosi incassati dalla storia (l’ultimo, la finanza americana che ha scosso il mondo nel 2008, e a cui Obama, presidente “di sinistra”, ha posto rimedio nel 2014) può essere il disegno di chi ha a cuore un futuro politico? Eppure i segnali di una clamorosa svolta a destra sono chiari. E non sono (come spesso accade in Italia), vecchia destra fascista. Sono una dichiarazione aperta del capitalismo puro e semplice che rivuole i diritti incontrastati che aveva prima che un secolo di riforme imponessero un minimo di equilibrio. Al punto che il Ministro dei Beni Culturali e il sindaco di Roma, uniscono la forza e il prestigio delle loro immagini e licenziano in tronco, via messaggio telefonico, tutta l’ orchestra e tutto il coro dell’Opera di Roma, che sta dando noie sindacali.   Impossibile non vedere la coincidenza simbolica ma anche politica con il non dimenticato primo atto presidenziale di Ronald Reagan (1980): il licenziamento in tronco di tutti i controllori di volo che erano in sciopero contro gli orari eccessivi e pericolosi, quando Reagan è arrivato alla Casa Bianca. Reagan era un personaggio affabile, simpatico, eccellente comunicatore, e si pensava che avrebbe portato alla presidenza americana poca ideologia e molto buon senso. Invece ha iniziato in modo sistematico il cammino da destra verso destra che nel mondo continua ancora: lo smantellamento del New Deal roosveltiano, una lotta senza quartiere ai sindacati (vilipesi e accusati di tutto nei modi più grotteschi), il prosciugamento dei fondi federali alle università e alle attività culturali, il principio secondo cui hai diritto alle cure mediche se puoi, e se hai una assicurazione privata (che comunque decide sulle tue cure) oppure non entrerai in alcun ospedale (si ricordi, in proposito il documentario di Michael Moore, il regista che racconta e filma i casi di malati gravi americani espulsi dai loro ospedali per insolvenza). Nasce a questo punto, nella visione conservatrice di Reagan, l’idea di rovesciare la credenza socialistoide secondo cui chi ha di più deve dare di più.   Reagan taglia le tasse in modo da stabilire che chi ha di più deve dare di meno. In tal modo, migliorando sempre di più la qualità della vita in alto, ci saranno più incentivi a chiedere servizi a chi sta in basso, e ci sarà più lavoro. Modesto, ma ci sarà. Ciascuno al suo posto. Ma aumenterà la voglia, tipica dei più intraprendenti, di “fare impresa”. Il principio ispiratore era, ed ancora, lo smantellamento progressivo dello Stato che “non risolve il problema perchè è il problema”. Lo Stato, come apparato organizzativo che tutela i cittadini, viene ridotto, “snellito”, se necessario umiliato (perchè blocca lo slancio della nostra iniziativa) in modo da ri-orientare noi tutti, la nostra fiducia, il nostro impegno, il nostro voto, verso il privato e il privatizzato, in nome di una benefica concorrenza che naturalmente non esiste, dati gli incroci di interessi commerciali e finanziari che attraversano il mondo Ecco dunque dove stiamo andando: da destra verso destra. La strada delle “riforme” è ancora lunga.

Da “Sior paron dalle belle brache bianche caccia le palanche”  di Eugenio Scalfari, sul quotidiano la Repubblica del 5 di ottobre 2014: A questo punto si pone il problema, (…), sulla natura del Partito democratico italiano. Il nostro giornale ha dato notizia che gli iscritti al Pd sono attualmente centomila mentre furono cinquecentomila appena un anno fa. I circoli del partito sono praticamente vuoti; i leader di corrente quando vogliono mobilitare i loro amici li riuniscono in luoghi fuori dai circoli dove dovrebbero parlare a tutti anziché soltanto ai loro. Si chiama partito liquido o così lo chiamano e sarebbe appunto basato non sui militanti ma sul popolo e sono tre i partiti o movimenti di questa natura: il Pd guidato da Renzi, Forza Italia guidata da Berlusconi e i 5 Stelle guidati da Grillo. Tre partiti populisti. Può piacere o meno questa definizione ma di questo si tratta e Renzi infatti non sembra affatto preoccupato di questo declino quantitativo; sembra anzi che gli faccia piacere e lo ha anche pubblicamente detto. Lui si rivolge al popolo e naturalmente al popolo di sinistra visto che noi abbiamo aderito per sua iniziativa e come era giusto avvenisse al Partito socialista europeo. Dunque siamo socialisti. Dalle riforme fin qui annunciate (ma pochissimo eseguite) di socialismo non pare ci sia granché. Tant'è che mentre i sindacati battono i piedi e pensano al peggio il presidente della Confindustria è felice della situazione e non è il solo, ce ne sono molti altri come lui altrettanto felici. Non che ricevano favori specifici ma promesse d'incentivi, quelli sì, miglioramento della loro posizione nelle aziende sicuramente e infine l'abolizione di questo articolo 18 che a loro certo non dispiace. In realtà Renzi ha realizzato un piccolo capolavoro, bisogna dargliene atto e per quanto mi riguarda lo faccio con piacere: ha creato un nuovo partito il quale in sede europea aderisce ai socialisti ma poi va molto d'accordo sia con Hollande che certamente socialista è sia con Cameron che è un conservatore della più schietta specie. Il partito Pd trattiene o addirittura recupera dagli astenuti una parte dei votanti ma prende anche molti voti dalla destra berlusconiana o da quegli astenuti che votarono l'ultima volta per Forza Italia e questa volta hanno preferito Renzi. (…). Ripeto: è un piccolo capolavoro ma la natura del partito è completamente cambiata. (…).


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