Da “Il Paese
del partito unico” di Franco Cordero, sul quotidiano la Repubblica del 14
di ottobre 2014: MR vanta uno strepitoso 40.8% alle europee, ma da allora sono avvenute
cose influenti sul fronte elettorale. Consideriamole. Veniva alla ribalta sotto
il segno della novità: giovane, dinamico, ricco d’apparenti idee, contro
l’inetta vecchia guardia; trova sèguito nell’area del disgusto, con qualche
riserva sulla figura (boy scout, agonista in tornei televisivi, rampante tra
corridoi e piazza). Sconfitto alle primarie dagli oligarchi, li sbaraglia nella
rivincita: il partito era uscito male dalle urne; sconta una vocazione a
perdere radicata nelle persone; e l’emerso in controtendenza ha gioco comodo
verso il governo. (…). Dovendo definire l’irrompente nuovo leader, lo diremmo
democristiano evoluto con tenui ascendenze savonaroliane-lapiresche: scaltro,
insonne, veloce, famelico, alieno dai dubbi, sicuro d’essere predestinato,
ideologicamente amorfo, quindi pronto a muoversi; sa tutto della politica
brulicante, avendo scalato le nomenclature in provincia e Comune. Rispetto al
governo in penoso marasma, può giocare tre carte: sostenere i tentativi
d’uscire dalla crisi; chiedere una svolta strategica; sostituirsi al premier
evanescente, fermi restando gli equilibri. Scartiamo la prima ipotesi: non fa
del bene gratis; lavora pro se ipso. La seconda mira alle urne, sul presupposto
che, visti i pericoli, gl’italiani riscoprano l’organo pensante, ma implica dei
rischi. (…).
L’insuccesso del Nipote (il Letta del PD n.d.r.) gli apre ampi spazi: prima o poi il vento della crisi cade; non consta che sia economista ferrato, e sentendosi irresistibile, prende sotto gamba le difficoltà. In appeal e disinvoltura tattica nessun concorrente lo supera; gl’italiani amano i numeri da palcoscenico; Re Lanterna patisce gli anni; i notabili Pd hanno mutrie poco sopportabili. L’occasione cade dal cielo. Con questo presumibile interno psichico affoga Letta junior, orfano del sostegno quirinalesco. Bastava una lieve spinta. L’esordio è gaffe sonante, quando dichiara «profonda sintonia» col supremo affarista, formalmente oppositore, i cui disegni viscerali tutti sanno dove mirino. Era sincero. Da allora non è emerso un solo dissenso su questioni capitali. Ante omnia, la giustizia. Era arguibile dai nomi cos’avessero pattuito i due nel colloquio segreto al Nazareno, presente Letta maior: il nuovo ministro, scelto dal Colle, impersona un Pd morbido, leader dei soidisants «giovani turchi» governativi; i due sottosegretari vengono da Arcore (uno s’era distinto a corte affatturando l’espediente del legittimo impedimento nelle cause berlusconiane); e sabato 4 ottobre il guardasigilli ammette che diverse essendo le «sensibilità» nell’équipe, il falso in bilancio non sia incriminabile. Lo sapevamo ma ormai è ufficiale che un corruttore plutocrate abbia autorità dirimente quale patrono del malaffare white collar. (…). …è l’uomo che elettori devoti aspettavano, erede naturale del vecchio monarca, indenne da ripulsioni moralistiche, amicusfamilias del conterraneo Denis Verdini. Nei due partiti, rosa e blu, fermentano dissensi interni e viene fuori l’embrione d’un partito unico. Benestanti in colletto bianco formano un bacino dove pescare. Così esperto della politica brulicante, sente l’erba che cresce. Insomma, ha futuro a destra. Non può riconvertirsi: gli pesa addosso l’accusa d’infedeltà e rischierebbe la fine del predecessore se sfidasse il vecchio diarca, ad esempio su intercettazioni o delitti estinti dal tempo, consegnandosi agli oppositori interni (altrettanto inclini ai patti sotto banco: vedi Bicamerale, D’Alema, Violante ecc.); non sbaglia nella percezione del vento. Ormai esiste in quanto uomo nuovo. I segni lo confermano sulla linea d’una «profonda sintonia». Gli rendono ossequio i soliti panegiristi, particolarmente tra i finti indipendenti attivi nel culto berlusconiano: con tante lodi all’innovatore, diranno che ridisegna la carta politica, essendosi allestito gli strumenti mediante riforme costituzionali; non sono più tempi d’ideologia ossessiva. (…). Votassimo domani, quel 40.8% sarebbe un sogno, a meno che rosa e azzurri convolino sotto la stessa insegna. Il partito più numeroso ha buone probabilità d’essere quello dei non votanti. Ora, sotto l’effetto logorante in Rentium, chi ripiglia quota? Vecchio e segnato dai colpi, l’Olonese ritrova gli spiriti animali: oppositori interni non gli fanno caldo né freddo in aritmetica elettorale; e cooperando all’agenda del governo, recupera i carismi nell’opinione cosiddetta moderata. Lo vedono ascendente, condomino palese. Inutile dire chi vi perda: l’Italia svenata dal malaffare cronico; continuando le cose in tale verso, sotto queste lune non basta mezzo secolo a colmare i ritardi dall’Europa in sviluppo economico e intellettuale.
L’insuccesso del Nipote (il Letta del PD n.d.r.) gli apre ampi spazi: prima o poi il vento della crisi cade; non consta che sia economista ferrato, e sentendosi irresistibile, prende sotto gamba le difficoltà. In appeal e disinvoltura tattica nessun concorrente lo supera; gl’italiani amano i numeri da palcoscenico; Re Lanterna patisce gli anni; i notabili Pd hanno mutrie poco sopportabili. L’occasione cade dal cielo. Con questo presumibile interno psichico affoga Letta junior, orfano del sostegno quirinalesco. Bastava una lieve spinta. L’esordio è gaffe sonante, quando dichiara «profonda sintonia» col supremo affarista, formalmente oppositore, i cui disegni viscerali tutti sanno dove mirino. Era sincero. Da allora non è emerso un solo dissenso su questioni capitali. Ante omnia, la giustizia. Era arguibile dai nomi cos’avessero pattuito i due nel colloquio segreto al Nazareno, presente Letta maior: il nuovo ministro, scelto dal Colle, impersona un Pd morbido, leader dei soidisants «giovani turchi» governativi; i due sottosegretari vengono da Arcore (uno s’era distinto a corte affatturando l’espediente del legittimo impedimento nelle cause berlusconiane); e sabato 4 ottobre il guardasigilli ammette che diverse essendo le «sensibilità» nell’équipe, il falso in bilancio non sia incriminabile. Lo sapevamo ma ormai è ufficiale che un corruttore plutocrate abbia autorità dirimente quale patrono del malaffare white collar. (…). …è l’uomo che elettori devoti aspettavano, erede naturale del vecchio monarca, indenne da ripulsioni moralistiche, amicusfamilias del conterraneo Denis Verdini. Nei due partiti, rosa e blu, fermentano dissensi interni e viene fuori l’embrione d’un partito unico. Benestanti in colletto bianco formano un bacino dove pescare. Così esperto della politica brulicante, sente l’erba che cresce. Insomma, ha futuro a destra. Non può riconvertirsi: gli pesa addosso l’accusa d’infedeltà e rischierebbe la fine del predecessore se sfidasse il vecchio diarca, ad esempio su intercettazioni o delitti estinti dal tempo, consegnandosi agli oppositori interni (altrettanto inclini ai patti sotto banco: vedi Bicamerale, D’Alema, Violante ecc.); non sbaglia nella percezione del vento. Ormai esiste in quanto uomo nuovo. I segni lo confermano sulla linea d’una «profonda sintonia». Gli rendono ossequio i soliti panegiristi, particolarmente tra i finti indipendenti attivi nel culto berlusconiano: con tante lodi all’innovatore, diranno che ridisegna la carta politica, essendosi allestito gli strumenti mediante riforme costituzionali; non sono più tempi d’ideologia ossessiva. (…). Votassimo domani, quel 40.8% sarebbe un sogno, a meno che rosa e azzurri convolino sotto la stessa insegna. Il partito più numeroso ha buone probabilità d’essere quello dei non votanti. Ora, sotto l’effetto logorante in Rentium, chi ripiglia quota? Vecchio e segnato dai colpi, l’Olonese ritrova gli spiriti animali: oppositori interni non gli fanno caldo né freddo in aritmetica elettorale; e cooperando all’agenda del governo, recupera i carismi nell’opinione cosiddetta moderata. Lo vedono ascendente, condomino palese. Inutile dire chi vi perda: l’Italia svenata dal malaffare cronico; continuando le cose in tale verso, sotto queste lune non basta mezzo secolo a colmare i ritardi dall’Europa in sviluppo economico e intellettuale.
Da “Alla ricerca di una scossa” di Federico Fubini,
sul quotidiano la Repubblica del 14 di ottobre 2014: (…). …nella stessa grandezza
della manovra lorda è racchiuso un messaggio di anche maggiore urgenza: il 2015
è l’anno in cui l’Italia ritrova dopo anni un suo equilibrio come economia
avanzata capace di stare sui mercati globali, o rischia di scivolare verso una
situazione molto più difficile. Non c’è neppure bisogno di molte parole, a
questo punto. I numeri stessi della legge di bilancio in preparazione dicono
(…) che questa è la posta in gioco (…). Là dentro conteranno certamente le
fonti di contenimento del deficit. I 13 miliardi di tagli, circa lo 0,8% del
Pil, non saranno facili da trovare e ancora più duri da trasformare in fatti
sul tessuto sclerotico dello Stato italiano. I cinque miliardi e mezzo di
aumento delle entrate includono poi molte voci controverse: una nuova tassa sui
monopoli del gioco d’azzardo, la fine di molte deduzioni e detrazioni e (…) ben
tre miliardi dalla lotta all’evasione fiscale. Ma conterà ancora di più il modo
in cui saranno impiegate quelle risorse e le altre, quelle ricavate emettendo
sui mercati internazionali 11,5 miliardi di titoli di Stato in più. È qui il
cuore della scommessa (…), il tentativo di togliere l’Italia dall’equilibrio
instabile che minaccia sempre di più di ribaltare i suoi assetti finanziari.
Posto che resteranno i 10 miliardi di bonus fiscale per le famiglie a
medio-basso reddito, benché non sembrino funzionare granché, ci sarà un
tentativo di rivitalizzare la competitività del settore produttivo e la
creazione di posti di lavoro con contratti a tempo indeterminato. Le imprese
dovrebbero ricevere varie forme di detassazione, che nel complesso valgono 7,5
miliardi di euro. (…). Se neanche la prossima primavera dovesse arrivare la
ripresa su cui conta il governo, se il Paese non dovesse crescere dello 0,6%
appena iscritto nel Documento di economia e finanza, il disavanzo dell’Italia è
destinato a saltare. Questo pone un problema politico immediato: non è escluso
che la Commissione europea o gli altri governi di Eurolandia chiedano una
revisione di questa Legge di stabilità (…). C’è però qualcosa che conta persino
di più delle regole europee sui conti pubblici, ed è la stabilità finanziaria.
L’Italia non è sull’orlo di una nuova crisi di fiducia dei mercati oggi, ma
negli ultimi due mesi i saldi fotografati dal sistema europeo delle banche
centrali mostrano una fuoriuscita di capitali dal Paese per la (notevole) cifra
di 67 miliardi di euro: un caso unico in Europa. Il deflusso è avvenuto quando
si è capito che la recessione è di nuovo qui. Ciò significa che l’Italia ha disperatamente
bisogno di competitività e crescita economica per far salire, e subito, il
prodotto interno lordo contro cui si misura il debito pubblico. Non è detto che
questo Paese si possa permettere un’ulteriore caduta dell’economia nel 2015
senza rischiare molto: al contrario. (…). Sarà interessante vedere se gli
imprenditori italiani saranno in grado di cogliere l’occasione, e neanche
questo è scontato. Di recente il governo ha offerto a loro e ai sindacati di
rafforzare molto la negoziazione dei contratti in azienda, una misura che
ovunque in Europa ha rafforzato la competitività delle imprese, eppure
Confindustria in proposito è parsa timida e indecisa. Anche l’associazione
degli industriali deve decidere qual è il suo ruolo in questo secolo: mantenere
il monopolio della contrattazione centralizzata, e giustificare la sua stessa
esistenza vecchio stile, oppure fare l’interesse dei suoi associati e della
creazione di posti di lavoro. Dopo tre anni di caduta continua dell’economia è
davvero il momento della verità e delle scelte. Ma vale per tutti gli italiani
(…).
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