"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 10 ottobre 2014

Cosecosì. 89 "Noi, ricchi o poveri ma schiavi del lusso".



Non so cosa succeda dalle vostre parti. Ma da un bel po’ di tempo è diventata esperienza mortificante ed esasperante al tempo stesso frequentare gli spazi dei cosiddetti centri commerciali delle nostre città. Una volta terminati gli acquisti e spingendo il carrello ben provvisto delle nostre spese alimentari lo sguardo si posa immancabilmente sulle torme dei questuanti che letteralmente affollano gli spazi esterni. Questuano una elemosina che consenta loro di consumare un qualcosa per la sopravvivenza. E da qualche tempo la maggioranza è costituita da persone giovanissime provenienti dai paesi africani. Le scene che sono quotidiane e che dovrebbero turbare profondamente le nostre coscienze mi hanno riportato alla mente quanto di recente ha scritto Umberto Galimberti sul settimanale “D” del 4 di ottobre: (…). …ogni volta che si verifica una tragedia nel mondo noi occidentali dovremmo chiederci se qualche colpa non l'abbiamo anche noi. Se non altro per il fatto che per secoli l'Occidente ha colonizzato il mondo e l'Africa in particolare. Oggi non c'è più il colonialismo territoriale, ma non è venuto meno quello economico, dagli aspetti meno evidenti, ma più sofisticati, più insidiosi e devastanti di quello territoriale.
Scriveva ciò quando la tragedia che oggi incombe sull’Europa e sul mondo intero non si era ancora rivelata: Ebola. Ora è un bel dire che il problema dell’Occidente è nella scarsa capacità di spendere e di acquisire beni materiali. È un bel dire che la “ripresa” che tarda a venire dovrà riportarci alle abitudini dissipatorie che hanno caratterizzato la vita del mondo occidentale progredito e cristianizzato. Non c’è traccia nei discorsi dei leader politici di questo vuoto profondo nelle coscienze occidentali rappresentato dalla condizione di arretratezza che una larghissima fetta del mondo conosce e dalla quale arretratezza le politiche di rapina secolari non hanno risolto alcun problema. Continua a scrivere il professor Galimberti – “Perché Ebola è un flagello che ci riguarda” -: Noi occidentali siamo davvero innocenti di fronte alle epidemie che periodicamente si scatenano nei paesi sottosviluppati? Se è vero (…) che la Sierra Leone è un paese lussureggiante e ricchissimo, con un reddito pro capite tra i più miseri al mondo, non è certo per colpa degli abitanti, semmai dei loro governanti, qualora si siano fatti corrompere dalle multinazionali occidentali che hanno come unico codice di comportamento il loro profitto. E noi, gente comune, che colpa ne abbiamo? Quella che Karl Jaspers, inaugurando l'anno accademico nel 1946 a Heidelberg, imputò ai suoi connazionali, e chiamò "colpa metafisica", diversa da quella politica, da quella giuridica, da quella morale. Una colpa che consiste nel fatto che, dopo quanto era accaduto in Germania con i milioni di morti nei campi di concentramento, «noi tedeschi siamo ancora vivi, questa è la nostra colpa». Lo stesso possiamo dire oggi noi occidentali che, per analogia, nei confronti del resto del mondo, non possiamo non riconoscerci una "colpa metafisica", se appena consideriamo che il nostro benessere è stato in gran parte pagato dalle popolazioni dei Paesi che abbiamo colonizzato, prima territorialmente e oggi economicamente, sfruttando le ricchezze della loro terra senza sollevare di un palmo le condizioni della loro esistenza. Queste popolazioni oggi vengono da noi. Mettono in gioco la loro vita, per avere almeno uno straccio di speranza di vita. La “ripresa”. Avrebbe un senso di grandissima e profondissima umanità se essa venisse intesa come uno sforzo affinché, nei paesi abbandonati a sé stessi, si cominciassero a ridurre le differenze nelle condizioni di vita e si avviasse una redistribuzione planetaria della ricchezza. Si dirà: un discorso velleitario. Bene. Ed allora l’Ebola di oggi non è altro che un primo segnale di ciò che l’Occidente dovrà attendersi nel futuro prossimo. Poiché parlare di “ripresa” vuole anche dire far fronte alle insostenibili disuguaglianze sociali che anche all’interno del mondo occidentale si sono andate rafforzando sempre di più a seguito dell’affermarsi della peggiore forma del capitalismo finanziario. Vogliate cortesemente dare una attenzione maggiore alla foto di questo post. E vi sollecito a leggere con attenzione le didascalie che l’accompagnano. Avete letto? Avete capito tutto? La ditta Taffo di Roma propone un affare: la cremazione, a dipartita avvenuta, e la trasformazione delle nostre poveri ceneri in un “diamante”. La ditta Taffo, che propone al mondo occidentale la nuova pratica per ricordare ed onorare i nostri cari defunti, si è fatta una buona pubblicità comparendo nell’ultimo film di Pupi Avati “Il ragazzo d’oro”; una garanzia, dunque. Ebbene, non vi ha scosso quella pubblicità? Non vi ha scosso pensare alle migliaia di morti di Ebola probabilmente abbandonati o seppelliti in fosse comuni? E l’Occidente cristianizzato cosa propone? Le ceneri trasformate in “diamanti”. Bene. Propongo alla vostra lettura e riflessione un estratto dall’intervista "Noi, ricchi o poveri ma schiavi del lusso" che il sociologo Vanni Codeluppi ha rilasciato a Simonetta Fiori sul quotidiano la Repubblica del 30 di agosto ultimo: «Si sconfigge la morte sognando il lusso» (…). Gli oggetti preziosi ci illudono di riconquistare le certezze perdute e quindi allontanano la fine. E al richiamo di queste sirene gli italiani sono oggi particolarmente sensibili».
Il Pil arretra, il ceto medio immiserisce, i poveri sono sempre più poveri, e noi veniamo abbagliati dalla voluttà della borsa griffata o dell'accessorio di grido? «Sì, è l'unico settore che non conosce crisi, anche grazie all'invenzione del "lusso democratico", accessibile a più tasche. Siamo attratti dall'idea di esclusività: l'illusione di appartenere a un mondo privilegiato. E poi incide la mitologia romantica del genio, ossia dello stilista che ha creato la cintura o le scarpe: noi siamo maestri nel rendere gli oggetti pregiati e belli».
Il lusso come compensazione della perdita di status? «In un certo senso sì. Il sociologo tedesco Werner Sombart spiega come nel passaggio dalla piccola comunità alla vita urbana siano affiorate nuove paure, solitudini e insicurezze, cui sopperisce l'oggetto di lusso come fonte di gratificazione e stabilità. Il nostro poi è sempre stato un paese fragile, privo di una forte identità nazionale, dunque più esposto all'innamoramento facile e alla delusione. Il consumatore italiano si lascia facilmente affascinare da luccichio dei venditori».
Perché siamo più ingenui di altri? «Il nostro rapporto con il mondo dei consumi è recente: è arrivato negli anni Ottanta, in ritardo rispetto al boom economico. In Italia è mancata una grande rivoluzione industriale paragonabile a quella di altri paesi europei. E questo spiega anche la nostra debolezza di consumatori. Non siamo consapevoli dei nostri diritti».
A parte il lusso, in che direzione si muovono i nostri desideri? «Siamo attratti dalla novità. Il consumatore è un "cercatore di emozioni", come lo definisce Bauman, e l'emozione più forte arriva sempre da ciò che è nuovo. Ora a questa richiesta è in grado di rispondere solo la tecnologia, che è diventata l'unica grande terra promessa. È uno dei pochi settori che riesce a colpire il nostro immaginario ». (…).
L'immaginario italiano sembra ancora molto legato alla tradizione: la campagna, i mulini, le cose fatte in casa. «Direi il contrario: il mondo rurale è scomparso dalle pubblicità alimentari. Le nostre grandi aziende sono state annesse dalle multinazionali che oggi decidono a livello internazionale le strategie».
Ma noi riusciamo a fare di Banderas un mugnaio impolverato di farina. «Sì, ma non è credibile. Quella è Hollywood, non è campagna. Se prima Barilla trasferiva la famiglia in un casolare toscano, ora recluta una celebre star che interpreta se stessa. Il mulino bianco era nato negli anni Settanta, quando la società italiana era attraversata da sensi di colpa nei confronti della natura e dell'ambiente, distrutti da un'industria divenuta sempre più pervasiva. Basti pensare alle denunce di Pasolini. Oggi questo senso di colpa s'è completamente perduto. Anzi, le industrie ci fanno capire che possono migliorare la natura, nel trionfo di integratori, vitamine, componenti farmaceutici che rendono miracolosi yogurt e bevande». (…).
Ma quali sono le strategie di seduzione? Da cosa restiamo affascinati? «Dall'illusione di essere diversi dagli altri. Il trend più forte è rappresentato oggi dall'offerta che consente la personalizzazione. Perfino Nutella, tipico marchio italiano, dà la possibilità di differenziare il prodotto mettendo l'etichetta sul barattolo. La merce che si presenta massificata viene rifiutata perché nessuno di noi vuole essere considerato massa». (…).

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