Non so cosa succeda dalle vostre parti. Ma da un
bel po’ di tempo è diventata esperienza mortificante ed esasperante al tempo
stesso frequentare gli spazi dei cosiddetti centri commerciali delle nostre
città. Una volta terminati gli acquisti e spingendo il carrello ben provvisto
delle nostre spese alimentari lo sguardo si posa immancabilmente sulle torme dei
questuanti che letteralmente affollano gli spazi esterni. Questuano una
elemosina che consenta loro di consumare un qualcosa per la sopravvivenza. E da
qualche tempo la maggioranza è costituita da persone giovanissime provenienti
dai paesi africani. Le scene che sono quotidiane e che dovrebbero turbare profondamente
le nostre coscienze mi hanno riportato alla mente quanto di recente ha scritto Umberto
Galimberti sul settimanale “D” del 4 di ottobre: (…). …ogni volta che si verifica
una tragedia nel mondo noi occidentali dovremmo chiederci se qualche colpa non
l'abbiamo anche noi. Se non altro per il fatto che per secoli l'Occidente ha
colonizzato il mondo e l'Africa in particolare. Oggi non c'è più il
colonialismo territoriale, ma non è venuto meno quello economico, dagli aspetti
meno evidenti, ma più sofisticati, più insidiosi e devastanti di quello
territoriale.
Scriveva ciò quando la tragedia che oggi incombe sull’Europa
e sul mondo intero non si era ancora rivelata: Ebola. Ora è un bel dire che il
problema dell’Occidente è nella scarsa capacità di spendere e di acquisire beni
materiali. È un bel dire che la “ripresa” che tarda a venire dovrà riportarci
alle abitudini dissipatorie che hanno caratterizzato la vita del mondo occidentale
progredito e cristianizzato. Non c’è traccia nei discorsi dei leader politici
di questo vuoto profondo nelle coscienze occidentali rappresentato dalla
condizione di arretratezza che una larghissima fetta del mondo conosce e dalla
quale arretratezza le politiche di rapina secolari non hanno risolto alcun
problema. Continua a scrivere il professor Galimberti – “Perché Ebola è un flagello che ci riguarda” -: Noi
occidentali siamo davvero innocenti di fronte alle epidemie che periodicamente
si scatenano nei paesi sottosviluppati? Se è vero (…) che la Sierra Leone è un
paese lussureggiante e ricchissimo, con un reddito pro capite tra i più miseri
al mondo, non è certo per colpa degli abitanti, semmai dei loro governanti,
qualora si siano fatti corrompere dalle multinazionali occidentali che hanno
come unico codice di comportamento il loro profitto. E noi, gente comune, che
colpa ne abbiamo? Quella che Karl Jaspers, inaugurando l'anno accademico nel
1946 a Heidelberg, imputò ai suoi connazionali, e chiamò "colpa
metafisica", diversa da quella politica, da quella giuridica, da quella
morale. Una colpa che consiste nel fatto che, dopo quanto era accaduto in
Germania con i milioni di morti nei campi di concentramento, «noi tedeschi
siamo ancora vivi, questa è la nostra colpa». Lo stesso possiamo dire oggi noi
occidentali che, per analogia, nei confronti del resto del mondo, non possiamo
non riconoscerci una "colpa metafisica", se appena consideriamo che
il nostro benessere è stato in gran parte pagato dalle popolazioni dei Paesi
che abbiamo colonizzato, prima territorialmente e oggi economicamente,
sfruttando le ricchezze della loro terra senza sollevare di un palmo le condizioni
della loro esistenza. Queste popolazioni oggi vengono da noi. Mettono in gioco
la loro vita, per avere almeno uno straccio di speranza di vita. La “ripresa”.
Avrebbe un senso di grandissima e profondissima umanità se essa venisse intesa
come uno sforzo affinché, nei paesi abbandonati a sé stessi, si cominciassero a
ridurre le differenze nelle condizioni di vita e si avviasse una redistribuzione
planetaria della ricchezza. Si dirà: un discorso velleitario. Bene. Ed allora l’Ebola
di oggi non è altro che un primo segnale di ciò che l’Occidente dovrà attendersi
nel futuro prossimo. Poiché parlare di “ripresa” vuole anche dire far fronte
alle insostenibili disuguaglianze sociali che anche all’interno del mondo
occidentale si sono andate rafforzando sempre di più a seguito dell’affermarsi
della peggiore forma del capitalismo finanziario. Vogliate cortesemente dare
una attenzione maggiore alla foto di questo post. E vi sollecito a leggere con
attenzione le didascalie che l’accompagnano. Avete letto? Avete capito tutto?
La ditta Taffo di Roma propone un affare: la cremazione, a dipartita avvenuta,
e la trasformazione delle nostre poveri ceneri in un “diamante”. La ditta Taffo,
che propone al mondo occidentale la nuova pratica per ricordare ed onorare i
nostri cari defunti, si è fatta una buona pubblicità comparendo nell’ultimo
film di Pupi Avati “Il ragazzo d’oro”;
una garanzia, dunque. Ebbene, non vi ha scosso quella pubblicità? Non vi ha
scosso pensare alle migliaia di morti di Ebola probabilmente abbandonati o
seppelliti in fosse comuni? E l’Occidente cristianizzato cosa propone? Le ceneri
trasformate in “diamanti”. Bene. Propongo alla vostra lettura e riflessione un
estratto dall’intervista "Noi,
ricchi o poveri ma schiavi del lusso" che il sociologo Vanni Codeluppi
ha rilasciato a Simonetta Fiori sul quotidiano la Repubblica del 30 di agosto
ultimo: «Si sconfigge la morte sognando il lusso» (…). Gli oggetti preziosi ci
illudono di riconquistare le certezze perdute e quindi allontanano la fine. E
al richiamo di queste sirene gli italiani sono oggi particolarmente sensibili».
Il Pil arretra, il ceto medio immiserisce, i
poveri sono sempre più poveri, e noi veniamo abbagliati dalla voluttà della
borsa griffata o dell'accessorio di grido? «Sì, è l'unico settore che non
conosce crisi, anche grazie all'invenzione del "lusso democratico",
accessibile a più tasche. Siamo attratti dall'idea di esclusività: l'illusione
di appartenere a un mondo privilegiato. E poi incide la mitologia romantica del
genio, ossia dello stilista che ha creato la cintura o le scarpe: noi siamo
maestri nel rendere gli oggetti pregiati e belli».
Il lusso come compensazione della perdita di
status? «In un certo senso sì. Il sociologo tedesco Werner Sombart spiega come
nel passaggio dalla piccola comunità alla vita urbana siano affiorate nuove
paure, solitudini e insicurezze, cui sopperisce l'oggetto di lusso come fonte
di gratificazione e stabilità. Il nostro poi è sempre stato un paese fragile,
privo di una forte identità nazionale, dunque più esposto all'innamoramento
facile e alla delusione. Il consumatore italiano si lascia facilmente
affascinare da luccichio dei venditori».
Perché siamo più ingenui di altri? «Il
nostro rapporto con il mondo dei consumi è recente: è arrivato negli anni
Ottanta, in ritardo rispetto al boom economico. In Italia è mancata una grande
rivoluzione industriale paragonabile a quella di altri paesi europei. E questo
spiega anche la nostra debolezza di consumatori. Non siamo consapevoli dei
nostri diritti».
A parte il lusso, in che direzione si
muovono i nostri desideri? «Siamo attratti dalla novità. Il consumatore è un
"cercatore di emozioni", come lo definisce Bauman, e l'emozione più
forte arriva sempre da ciò che è nuovo. Ora a questa richiesta è in grado di
rispondere solo la tecnologia, che è diventata l'unica grande terra promessa. È
uno dei pochi settori che riesce a colpire il nostro immaginario ». (…).
L'immaginario italiano sembra ancora molto
legato alla tradizione: la campagna, i mulini, le cose fatte in casa. «Direi il
contrario: il mondo rurale è scomparso dalle pubblicità alimentari. Le nostre
grandi aziende sono state annesse dalle multinazionali che oggi decidono a
livello internazionale le strategie».
Ma noi riusciamo a fare di Banderas un
mugnaio impolverato di farina. «Sì, ma non è credibile. Quella è Hollywood, non
è campagna. Se prima Barilla trasferiva la famiglia in un casolare toscano, ora
recluta una celebre star che interpreta se stessa. Il mulino bianco era nato
negli anni Settanta, quando la società italiana era attraversata da sensi di
colpa nei confronti della natura e dell'ambiente, distrutti da un'industria
divenuta sempre più pervasiva. Basti pensare alle denunce di Pasolini. Oggi
questo senso di colpa s'è completamente perduto. Anzi, le industrie ci fanno
capire che possono migliorare la natura, nel trionfo di integratori, vitamine,
componenti farmaceutici che rendono miracolosi yogurt e bevande». (…).
Ma quali sono le strategie di seduzione? Da
cosa restiamo affascinati? «Dall'illusione di essere diversi dagli altri. Il
trend più forte è rappresentato oggi dall'offerta che consente la
personalizzazione. Perfino Nutella, tipico marchio italiano, dà la possibilità
di differenziare il prodotto mettendo l'etichetta sul barattolo. La merce che
si presenta massificata viene rifiutata perché nessuno di noi vuole essere
considerato massa». (…).
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