"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 9 giugno 2014

Storiedallitalia. 55 “Mi manda la cosca”.



Ha lasciato scritto Leonardo Sciascia nel Suo “Il giorno della civetta” (1961): “Tutta l’Italia va diventando Sicilia. Dicono che la linea della palma, il clima propizio, viene su, verso nord, di cinquecento metri ogni anno. Io invece dico: questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali: su su per l’Italia, ed è già oltre Roma…”. Lo scriveva in tempi ben diversi dai nostri che ci son dati da vivere. Ma solamente chi non aveva voglia di vedere e di sentire ha potuto ignorare l’intuizione letteraria dell’uomo di Racalmuto. La miopia voluta ha portato allo stato attuale di disfacimento etico e morale. Hanno ben poco da indignarsi coloro che, investiti da responsabilità istituzionali hanno fatto, come suol dirsi, “orecchio da mercante”. È che con la “linea della palma” si è diffusa dal sud al nord quella cultura del “tengo famiglia” che tanto ha nuociuto e nuoce tuttora alla civile convivenza nel bel paese. Ne scriveva l’8 di dicembre dell’anno 2012 il professor Umberto Galimberti in una riflessione che ha per titolo “Mi manda la cosca”, riflessione pubblicata sul settimanale “D”:
C'è più mafia al Sud o al Nord? Domanda sbagliata: c'è in tutti i posti in cui la famiglia conta più del merito. Non so che importanza abbia stabilire se oggi c'è più mafia al Sud o al Nord. A mio parere la mafia è solo la punta dell'iceberg di una cultura tutta italiana, dove la struttura della parentela ancora prevale su quella della cittadinanza. Se per trovare un lavoro è necessaria una raccomandazione, se per un avanzamento in carriera bisogna dare qualcosa in cambio, magari anche solo la sottomissione e l'acquiescenza, se per vincere un concorso universitario o un primariato in un ospedale occorre avere un padrino, se un politico che vince le elezioni comunali, provinciali, regionali, sceglie gli uomini a cui affidare gli incarichi in base alla loro appartenenza, se la meritocrazia in Italia è una parola vuota, per cui i migliori sono costretti ad andare all'estero, se questo è il tessuto sociale di noi italiani, la mafia è tanto al Sud quanto al Nord, e pensare di estirparla senza aver prima modificato questo tessuto sociale che ci caratterizza è un'impresa impossibile. La parola "famiglia", come suole chiamarsi l'associazione mafiosa, riproduce esattamente quella struttura della parentela dove si privilegiano i figli, i nipoti e i conoscenti ai meritevoli. E così il Paese degrada non solo perché la mafia in senso proprio crea un'economia illegale e violenta che fa concorrenza a quella legale, ma perché, e forse soprattutto, non sono le persone più meritevoli e capaci quelle che ricoprono posizioni di potere, ma amici, parenti e conoscenti. Gli antichi Greci, già nel V secolo a. C. avevano capito che la legge della cittadinanza doveva prevalere sulla legge del sangue, e perciò, come ci racconta Sofocle, Antigone venne condannata a morte per aver sepolto il fratello che aveva tradito la città quando la legge lo impediva. Dopo 2.500 anni noi questa lezione non l'abbiamo ancora imparata. (…). Ecco il punto: bisogna che si allarghi il pensiero per ascrivere al termine “famiglia”, inteso erroneamente nel senso classico, tutte quelle associazioni di persone messesi assieme al fine di conquistare un potere che sia, politica, economico, burocratico, potere che, una volta conquistato, ha da essere difeso strenuamente e con tutti i mezzi da tutti quelli non rientranti nel cerchio della “famiglia”. Ed oggi la corruzione nel bel paese ha assunto l’aspetto più nefasto poiché essa ha inteso sfruttare la montante, inarrestabile ascesa del crimine organizzato per conquistare più rapidamente e difendere più efficacemente il potere politico/economico raggiunto. Ed il binomio risulta essere tanto ben collaudato e strutturato al punto che non sia possibile intraprendere serie e decisive azioni di contenimento e di neutralizzazione della corruzione, di quella corruzione vista da tutte quelle angolature che il crimine riesce a creare ai propri fini. È un continuo annaspare nello sforzo continuo di creare un argine alla criminalità penetrata nelle istituzioni, argine che se robusto contribuirebbe ad reinserire il bel paese nel novero delle società più civili e progredite e considerate. Oggigiorno l’ennesimo scandalo politico/economico sollecita i responsabili della cosa pubblica ad emettere proclami altisonanti e ad avanzare proposte di risanamento che lasciano stupefatti i più. Eppure i fatti non sono mancati e le occasioni per evitare proclami inutili e promesse fasulle si sono perdute. Ce lo ricorda Roberto Saviano nel Suo editoriale di domenica 8 di giugno – sul quotidiano la Repubblica - che ha per titolo “La mafia al nord che nessuno voleva vedere”. Che è come ripartire dalla domanda del professor Galimberti: “c’è più mafia al Sud o al Nord?”. Ha scritto Roberto Saviano: La 'ndrangheta comanda al nord. È una sentenza storica (…) della Cassazione che conferma le condanne e tutto l'impianto accusatorio del processo Infinito. Quando ne parlai, in prima serata tv, nel novembre del 2010, su Raitre, le mie accuse generarono una reazione incredibile. Raccontare come la 'ndrangheta comandasse nel nord Italia sembrò un'accusa insopportabile: ancor più, svelare che la criminalità interloquiva con tutti i poteri politici. Una bestemmia, per di più pronunciata all'ora di cena in tv, nella casa di ogni italiano. Quando, poi, l'inchiesta smentì la diversità della Lega, che anzi era spesso complice o nel silenzio o nella connivenza - come si vedrà con il caso Belsito anni dopo - la scoperta scatenò tutti i pretoriani del governo Berlusconi - e un impegno diretto dell'allora ministro dell'Interno. Roberto Maroni si precipitò a smentire in ogni angolo delle tv, cercando di far passare la presenza criminale al nord come una cosa minore, anzi scontata: lo sapevano tutti, e poi la Lega non c'entrava. I professionisti del fango iniziarono a raccogliere firme contro di me che osavo dare "del mafioso al nord". Finì così anche la mia esperienza in Rai: dopo aver raccontato come imprenditoria criminale e politica si saldano in una esponenziale crescita economica corrotta. (…). Oggi siamo di fronte a una sentenza di Cassazione e questa sentenza è chiara: l'inchiesta Infinito è confermata, al nord la 'ndrangheta comanda con una sua struttura unitaria. Ecco perché questa sentenza sta alla lotta della mafia come la scoperta dell'atomo alla ricerca fisica. (…). …questa sentenza non mostra semplicemente che c'è una presenza mafiosa al Nord: questo lo sapevamo dagli anni Settanta e a dimostrarlo c'erano già state diverse sentenze. No, questa sentenza dimostra invece che la presenza della 'ndrangheta non è più frutto di "invasioni", di cellule che vagano e arrivano ovunque anche al nord. Dimostra che la Lombardia, e più in generale il nord Italia, sono ormai diventati territorio di mafia. Questa sentenza fa cadere anche l'ultimo finto sillogismo: "Se è vero che tutti i meridionali non sono mafiosi, è vero però che tutti i mafiosi sono meridionali". Non è così: non è più così. I rapporti strutturali con il territorio e i meccanismi scoperti smontano l'idea che si sia trattato di invasione. Ma suggeriscono, al contrario, la formazione a livello locale di meccanismi e di cultura mafiosa. Di più. L'inchiesta dimostra che l'imprenditoria e una parte delle istituzioni lombarde si connettevano alle organizzazioni criminali per rafforzarsi, per consolidare potere economico. I livelli di responsabilità sono diversi, ovviamente: ma non v'è stata, da parte della politica, una vera scelta di contrasto al segmento economico mafioso. (…). Quali firme raccoglieranno, quali bugie racconteranno i professionisti del fango? Da oggi è ufficiale: le mafie non riguardano più solo il Sud. Ecco per quale motivo sia da definire quella cultura della “famiglia” quale cultura vincente, cultura vincente ma assai nefasta, che ha assoggettato alla pratica criminale le istituzioni del bel paese a tutti i livelli, a quel potere criminale che concorre spietatamente ad impoverire il bel paese.

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