Ha lasciato scritto Leonardo
Sciascia nel Suo “Il giorno della
civetta” (1961): “Tutta l’Italia va diventando Sicilia.
Dicono che la linea della palma, il clima propizio, viene su, verso nord,
di cinquecento metri ogni anno. Io invece dico: questa linea della palma, del
caffè forte, degli scandali: su su per l’Italia, ed è già
oltre Roma…”. Lo scriveva in tempi ben diversi dai nostri che ci son
dati da vivere. Ma solamente chi non aveva voglia di vedere e di sentire ha
potuto ignorare l’intuizione letteraria dell’uomo di Racalmuto. La miopia
voluta ha portato allo stato attuale di disfacimento etico e morale. Hanno ben
poco da indignarsi coloro che, investiti da responsabilità istituzionali hanno
fatto, come suol dirsi, “orecchio da mercante”. È che con la “linea
della palma” si è diffusa dal sud al nord quella cultura del “tengo
famiglia” che tanto ha nuociuto e nuoce tuttora alla civile convivenza
nel bel paese. Ne scriveva l’8 di dicembre dell’anno 2012 il professor Umberto
Galimberti in una riflessione che ha per titolo “Mi manda la cosca”, riflessione pubblicata sul settimanale “D”:
C'è
più mafia al Sud o al Nord? Domanda sbagliata: c'è in tutti i posti in cui la
famiglia conta più del merito. Non so che importanza abbia stabilire se oggi
c'è più mafia al Sud o al Nord. A mio parere la mafia è solo la punta
dell'iceberg di una cultura tutta italiana, dove la struttura della parentela
ancora prevale su quella della cittadinanza. Se per trovare un lavoro è necessaria
una raccomandazione, se per un avanzamento in carriera bisogna dare qualcosa in
cambio, magari anche solo la sottomissione e l'acquiescenza, se per vincere un
concorso universitario o un primariato in un ospedale occorre avere un padrino,
se un politico che vince le elezioni comunali, provinciali, regionali, sceglie
gli uomini a cui affidare gli incarichi in base alla loro appartenenza, se la
meritocrazia in Italia è una parola vuota, per cui i migliori sono costretti ad
andare all'estero, se questo è il tessuto sociale di noi italiani, la mafia è
tanto al Sud quanto al Nord, e pensare di estirparla senza aver prima
modificato questo tessuto sociale che ci caratterizza è un'impresa impossibile.
La parola "famiglia", come suole chiamarsi l'associazione mafiosa,
riproduce esattamente quella struttura della parentela dove si privilegiano i
figli, i nipoti e i conoscenti ai meritevoli. E così il Paese degrada non solo
perché la mafia in senso proprio crea un'economia illegale e violenta che fa
concorrenza a quella legale, ma perché, e forse soprattutto, non sono le
persone più meritevoli e capaci quelle che ricoprono posizioni di potere, ma
amici, parenti e conoscenti. Gli antichi Greci, già nel V secolo a. C. avevano
capito che la legge della cittadinanza doveva prevalere sulla legge del sangue,
e perciò, come ci racconta Sofocle, Antigone venne condannata a morte per aver
sepolto il fratello che aveva tradito la città quando la legge lo impediva.
Dopo 2.500 anni noi questa lezione non l'abbiamo ancora imparata. (…). Ecco
il punto: bisogna che si allarghi il pensiero per ascrivere al termine “famiglia”,
inteso erroneamente nel senso classico, tutte quelle associazioni di persone messesi
assieme al fine di conquistare un potere che sia, politica, economico, burocratico,
potere che, una volta conquistato, ha da essere difeso strenuamente e con tutti
i mezzi da tutti quelli non rientranti nel cerchio della “famiglia”. Ed oggi la
corruzione nel bel paese ha assunto l’aspetto più nefasto poiché essa ha inteso
sfruttare la montante, inarrestabile ascesa del crimine organizzato per
conquistare più rapidamente e difendere più efficacemente il potere
politico/economico raggiunto. Ed il binomio risulta essere tanto ben collaudato
e strutturato al punto che non sia possibile intraprendere serie e decisive
azioni di contenimento e di neutralizzazione della corruzione, di quella
corruzione vista da tutte quelle angolature che il crimine riesce a creare ai
propri fini. È un continuo annaspare nello sforzo continuo di creare un argine alla
criminalità penetrata nelle istituzioni, argine che se robusto contribuirebbe
ad reinserire il bel paese nel novero delle società più civili e progredite e
considerate. Oggigiorno l’ennesimo scandalo politico/economico sollecita i
responsabili della cosa pubblica ad emettere proclami altisonanti e ad avanzare
proposte di risanamento che lasciano stupefatti i più. Eppure i fatti non sono
mancati e le occasioni per evitare proclami inutili e promesse fasulle si sono
perdute. Ce lo ricorda Roberto Saviano nel Suo editoriale di domenica 8 di
giugno – sul quotidiano la Repubblica - che ha per titolo “La mafia al nord che nessuno voleva vedere”. Che è come ripartire
dalla domanda del professor Galimberti: “c’è più mafia al Sud o al Nord?”. Ha
scritto Roberto Saviano: La 'ndrangheta comanda al nord. È una
sentenza storica (…) della Cassazione che conferma le condanne e tutto
l'impianto accusatorio del processo Infinito. Quando ne parlai, in prima serata
tv, nel novembre del 2010, su Raitre, le mie accuse generarono una reazione
incredibile. Raccontare come la 'ndrangheta comandasse nel nord Italia sembrò
un'accusa insopportabile: ancor più, svelare che la criminalità interloquiva
con tutti i poteri politici. Una bestemmia, per di più pronunciata all'ora di
cena in tv, nella casa di ogni italiano. Quando, poi, l'inchiesta smentì la
diversità della Lega, che anzi era spesso complice o nel silenzio o nella
connivenza - come si vedrà con il caso Belsito anni dopo - la scoperta scatenò
tutti i pretoriani del governo Berlusconi - e un impegno diretto dell'allora
ministro dell'Interno. Roberto Maroni si precipitò a smentire in ogni angolo
delle tv, cercando di far passare la presenza criminale al nord come una cosa
minore, anzi scontata: lo sapevano tutti, e poi la Lega non c'entrava. I
professionisti del fango iniziarono a raccogliere firme contro di me che osavo
dare "del mafioso al nord". Finì così anche la mia esperienza in Rai:
dopo aver raccontato come imprenditoria criminale e politica si saldano in una esponenziale
crescita economica corrotta. (…). Oggi siamo di fronte a una sentenza di
Cassazione e questa sentenza è chiara: l'inchiesta Infinito è confermata, al
nord la 'ndrangheta comanda con una sua struttura unitaria. Ecco perché questa
sentenza sta alla lotta della mafia come la scoperta dell'atomo alla ricerca
fisica. (…). …questa sentenza non mostra semplicemente che c'è una presenza
mafiosa al Nord: questo lo sapevamo dagli anni Settanta e a dimostrarlo c'erano
già state diverse sentenze. No, questa sentenza dimostra invece che la presenza
della 'ndrangheta non è più frutto di "invasioni", di cellule che
vagano e arrivano ovunque anche al nord. Dimostra che la Lombardia, e più in
generale il nord Italia, sono ormai diventati territorio di mafia. Questa
sentenza fa cadere anche l'ultimo finto sillogismo: "Se è vero che tutti i
meridionali non sono mafiosi, è vero però che tutti i mafiosi sono
meridionali". Non è così: non è più così. I rapporti strutturali con il
territorio e i meccanismi scoperti smontano l'idea che si sia trattato di
invasione. Ma suggeriscono, al contrario, la formazione a livello locale di
meccanismi e di cultura mafiosa. Di più. L'inchiesta dimostra che
l'imprenditoria e una parte delle istituzioni lombarde si connettevano alle organizzazioni
criminali per rafforzarsi, per consolidare potere economico. I livelli di
responsabilità sono diversi, ovviamente: ma non v'è stata, da parte della
politica, una vera scelta di contrasto al segmento economico mafioso. (…).
Quali firme raccoglieranno, quali bugie racconteranno i professionisti del
fango? Da oggi è ufficiale: le mafie non riguardano più solo il Sud.
Ecco per quale motivo sia da definire quella cultura della “famiglia” quale cultura
vincente, cultura vincente ma assai nefasta, che ha assoggettato alla pratica
criminale le istituzioni del bel paese a tutti i livelli, a quel potere
criminale che concorre spietatamente ad impoverire il bel paese.
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