Ha scritto ieri, 5 di giugno,
Massimo Giannini sul quotidiano la Repubblica un pezzo che ha per titolo “La Grande Ipocrisia”. È quella
categoria dell’essere, “la grande ipocrisia”, che ben si
attaglia e contraddistingue gli abitatori del bel paese nella loro stragrande
maggioranza. Li catalogherebbe il sommo Poeta tra gli “ignavi”. Indifferenti a
tutto ciò che non rientri nel proprio “particulare”. E sì che gli allarmi
non sono mancati. Anzi. Appena raggiunta la soglia minima della comunicazione,
anticamera della conoscenza, che mal si accompagna quest’ultima alla civica
consapevolezza responsabile, quegli impavidi, catalogati quali allarmisti, venivano
tacitati ed indicati quali mestieranti mestatori. La tranquillità del vivere e
del fare ha sacrificato sul suo rubro altare quanto di meglio la responsabile
civile convivenza avrebbe meritato e richiesto. Ha scritto Massimo Giannini: Il 17
maggio è entrata in vigore la legge numero 67, che introduce la possibilità di
chiedere l'affidamento in prova ai servizi sociali nei procedimenti per delitti
economico-finanziari con pene fino a 4 anni di detenzione. In questi casi, su
richiesta del soggetto incriminato, si sospende il processo e si avvia un
percorso di servizio e risarcimento, di durata massima 2 anni, al termine del
quale il reato si estingue. Nella lista dei delitti per i quali si può ottenere
il beneficio ci sono l'omessa dichiarazione dei redditi, la truffa, il falso in
bilancio e persino il furto. Questo sì, a tutti gli effetti, ha le fattezze di
un "colpo di spugna", studiato proprio per i reati dei "colletti
bianchi". Il Parlamento approva unanime la legge, il 2 aprile scorso,
nell'indifferenza dei più. (…). Delinquere non è poi così compromettente. Alla
fine si può scendere a patti.
Ma lo stato delle cose ha un prima che
non va trascurato. E questo prima lo si ritrova in uno scritto di Curzio
Maltese sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” – “Milano decide tutto: o la svolta italiana o il peggio del peggio” -
del 13 di maggio dell’anno 2011. Allora Milano passava ancora per la “capitale
morale”. Scriveva Curzio Maltese da quell’osservatorio: Milano
è stata, in questi vent'anni, il laboratorio di una truffa ideologica che si è
allargata a tutto il Paese. Attraverso poche e astute mosse. Anzitutto la
rimozione del conflitto sociale, per cui le periferie più povere votano a
destra e il ricco centro è «rosso», con la complicità di una sinistra da
salotti. Quindi l'occupazione militare dei media da parte dei cortigiani del
nuovo potere, un vero e proprio collasso culturale, e più d'ogni altra cosa la
televendita di un mediocre sviluppo ammantato di scintillante progresso.
«Sviluppo senza progresso», non esiste luogo come la Milano di oggi per
verificare la profezia di Pier Paolo Pasolini. Che cosa significa? L'area
milanese rimane una delle più ricche del mondo, sulla carta. Ma nei fatti, la
qualità della vita dei milanesi è precipitata negli ultimi decenni. La città è
soffocata dal cemento e dai più alti livelli d'inquinamento d'Europa, la
corruzione e le mafie dilagano, le differenze sociali si sono moltiplicate e la
disoccupazione giovanile uccide ogni speranza nel futuro. Questo è sviluppo
senza progresso. Ipnotizzati dalla propaganda, i milanesi hanno rimosso questo
malessere da anni, oppure l'hanno rovesciato in risentimento contro gli
immigrati: «Roma ladrona» e altri falsi bersagli. È stato un lungo sonno nel
declino. Se domani Milano si sveglia, si sveglierà tutta l'Italia. Altrimenti,
davvero, prepariamoci a un peggio che, com'è noto, non ha mai fine. E siamo
all’oggi. Laddove si viaggia spensieratamente verso quel “peggio che, com'è noto, non ha
mai fine”. A ben vedere ha scritto oltre Massimo Giannini: Di
fronte a tanto cinismo consociativo, la Grande Speranza si chiama Matteo Renzi.
Solo lui può spazzare via la Grande Ipocrisia chiamata lotta alla corruzione.
Ma le prime mosse del premier non sono confortanti. Nel discorso sulla fiducia
alle Camere, il 22 febbraio, il nuovo presidente del Consiglio non dice una
parola sul tema della legalità e delle strategie di contrasto al malaffare. Un
silenzio che assorda, e che spinge Roberto Saviano a scrivere una lettera
aperta al premier, su "Repubblica" del 28 febbraio. Renzi raccoglie
la sollecitazione, e il giorno dopo annuncia dal salotto di Fabio Fazio, a
"Che tempo che fa", la nomina di Raffaele Cantone alla guida
dell'Autorità anti-corruzione, nata un anno prima e mai formata. È un primo
indizio, che sembra rassicurante. Ma le mosse successive, purtroppo, non
sembrano trasformarlo nella prova che tutti aspettiamo. La vicenda del
Documento di Economia e Finanza, non aiuta a capire qual è la vera strategia
del governo. Il Consiglio dei ministri, riunito a Palazzo Chigi, approva il Def
l'8 aprile. Renzi ne illustra le linee guida, con le solite slide. Il giorno
dopo, sul suo sito, il ministero dell'Economia pubblica il testo integrale. A
pagina 27 del Piano Nazionale delle Riforme, compare un ricco capitolo dedicato
alla giustizia: "Asset reale per lo sviluppo del Paese", è il titolo.
Pier Carlo Padoan, dai tempi dell'Ocse, ha bastonato duramente l'Italia,
proprio per i ritardi sulla corruzione. Per questo, nel Def, il ministro scrive
parole chiarissime, non solo sulla giustizia civile e amministrativa, ma
proprio sulla lotta alla corruzione: occorre "rivedere la disciplina del
processo penale, con particolare riferimento all'istituto della prescrizione,
ferma restando l'esigenza di assicurare la certezza e ragionevolezza dei
tempi". Più avanti: "Introduzione dei reati di autoriciclaggio e
autoimpiego, anche rafforzando il 41 bis". E infine: "È necessario
affrontare in modo incisivo il rapporto tra gruppi di interesse e istituzioni e
disciplinare i conflitti di interesse e rafforzare la normativa penale del
falso in bilancio". (…). Finalmente una dichiarazione programmatica
impegnativa. Il segno che "cambiare si può". Ma sei giorni dopo,
quando il Def arriva alle Camere per l'avvio dell'iter parlamentare, il testo è
sorprendentemente cambiato. Il capitolo Giustizia rimane, alle pagine 29 e 30,
e poi a pagina 63, nel capitolo II.10 intitolato "Una giustizia più
efficiente". Si parla di tutto, dalla riforma della giustizia civile al
sovraffollamento carcerario, dalle leggi già varate sul voto di scambio a
quelle contenute nella Severino. Si propone la "mediazione obbligatoria"
e la "depenalizzazione dei reati minori", la "difesa dei
soggetti più deboli" e la "tutela dei minori". Ma per quanto li
si cerchi, i paragrafi sulle modifiche al processo penale, dalla prescrizione
all'autoriciclaggio, dall'autoimpiego al falso in bilancio, non ci sono più.
Chi e perché le ha cancellate? (…). Il 16 aprile, durante il dibattito in
Commissione Giustizia della Camera, i deputati Cinquestelle almeno per una
volta fanno bene il loro mestiere. Alfonso Bonafede "ritiene che sia
estremamente grave che nella formulazione presentata alle Camere del Def in
data 9 aprile 2014 venga fatto espressamente riferimento all'esigenza di
affrontare definitivamente entro giugno 2014 il problema dei tempi di
prescrizione e che ieri, martedì 15 aprile, dopo che nella serata di lunedì 14
aprile il presidente del Consiglio si sia incontrato con Silvio Berlusconi, sia
pervenuta alle Camere una "errata corrige" da parte della presidenza
del Consiglio, nella quale è stato cancellato ogni riferimento alla questione
della prescrizione". (…). …l'anomalia resta. E se a
"sbianchettare" i paragrafi sul programmato giro di vite per la
prescrizione, l'autoriciclaggio e il falso in bilancio è stato il ministro
Orlando, e non Renzi, che differenza fa? Di nuovo: che segnale si vuol mandare
al Paese? (…). È “la grande ipocrisia” che sovrana regna nel bel paese.
Sostiene Natalia Aspesi – la Repubblica di oggi, “Quei soldi rubati a noi cittadini” – che (…). …in Italia ci sono due tipi
ben diversi di ricchi. Quelli che pagano le tasse e sono quindi molto meno
ricchi, e quelli che hanno scoperto i vantaggi della mazzetta: essendo un
crimine pretenderla e accettarla, è come se non ci fosse, è ricchezza
invisibile, quindi non tassabile. Comodissima. Poi si sa, il tesoro fantasma si
concretizza, insomma lo si spende, come dei veri ricchi di famiglia: se non si
è ereditato come loro il palazzo sul Canal Grande, un po’ di Tintoretto, i
lampadari antichi di cristallo, si può sempre tentare di imitarli. (…). Un
tempo c’era quasi la certezza che della destra si poteva dubitare, ma della
sinistra mai: ora il piacere, la necessità, l’abitudine, l’improntitudine, il
senso di sicurezza che deriva dalla complicità, ha livellato tutti: e
bisognerebbe capire se si arriva al posto giusto perché si è già ladri o ladri
si diventa quando ci si trova al posto giusto. (…). Queste drammatiche,
vergognose storie, ci rivelano ciò che non sapevamo: che siamo un paese
ricchissimo, dove lo Stato può finanziare opere da 7 miliardi come il Mose, e
disperderne una bella quantità non per risolvere la crisi del Paese, ma per
rendere più rosea la vita di qualche signorile mascalzone. Il cittadino
qualsiasi, che se mai non volesse pagare il canone tv verrebbe immediatamente
beccato e punito, si chiede cose semplici ma teme di non averne risposte certe:
se ritenuti colpevoli, questi signori delle tangenti finiranno in galera o la
condanna si limiterà a inviarli una volta al mese a leggere fiabe agli orfanelli?
E poi, in qualche modo questa montagna di denaro rubata allo Stato, al fisco, a
tutti noi, verrà in qualche modo recuperata e restituita allo Stato, al fisco,
a tutti noi, oppure quel che è stato è stato e tutto continuerà come sempre?
È “la grande ipocrisia” di sempre.
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