"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 11 giugno 2014

Strettamentepersonale. 13 Omaggio a Enrico Berlinguer.



Non mi sento di scrivere oggi un qualsivoglia panegirico dell’Uomo del quale ricordiamo in questa data la perdita. L’Uomo non ne ha bisogno, per il solo motivo che ha informato e uniformato la Sua vita alla concretezza, lontano essendo il Suo stile di vita dalle rappresentazioni e dalle autocelebrazioni. La Sua proverbiale riservatezza mi spinge ad accostare il ricordo dell’Uomo a quanto di più caro io conservi nella mia memoria, mio padre. Cantava con il Suo fare quasi scanzonato Giorgio Gaber : “Qualcuno era comunista perché Berlinguer era una brava persona. Qualcuno era comunista perché Andreotti non era una brava persona”. È tra questi estremi che si è consumata la vita di quell’Uomo. È che quell’Uomo, che ricordiamo ancor’oggi con struggimento quasi, è andato sempre fino in fondo nell’inverare nelle Sue parole e nei Suoi atti le cose nelle quali aveva riposto il modo Suo d’essere. Oggi che lo ricordiamo con inconsolabile nostalgia mi va di accostare alla Sua figura ed alla Sua memoria una riflessione che, fosse stato in vita “il compagno Enrico”, avrebbe di certo sottoscritto. Quell’Uomo che, pur provenendo da un ceto sociale d’agiatezza, comprendeva come fosse illusoria la scomparsa di quel binomio “destra/sinistra” che nella tempesta ideologica susseguente al liberismo più sfrenato si era dato per morto assimilando in una poltiglia sociologica interessi, utopie, sogni e speranze che restano e resteranno sempre legati a quel binomio che contrappone da sempre gli uomini senza mediazione alcuna. La riflessione che mi viene di riproporre è stata scritta da Anthony Giddens sul quotidiano la Repubblica del 15 di gennaio dell’anno 2013 ed ha per titolo “Destra e sinistra esistono ancora”.
Ha scritto il sociologo inglese: La discussione sul presunto superamento di concetti come “destra” e “sinistra” ha (…) un difetto di fondo: induce a credere che, nel mondo di oggi, ci sia bisogno di meno politica di quello di una volta, ossia di meno ideologia, meno partiti, meno governo, come se tutto dipendesse dall’essere disponibili o contrari al cambiamento, inteso come generale progresso dell’umanità. Al contrario, ritengo invece che oggi ci sia bisogno di più politica di prima, perché i problemi globali, dalla drammatica crisi economico-finanziaria all’effetto serra, dimostrano che solo un intervento collettivo, programmatico, di sana governance internazionale, può mettere il nostro pianeta sulla strada giusta. (…). Oggi tutti i Paesi industrializzati sono fortemente indebitati. Tutti, chi più chi meno, hanno perso competitività sui mercati. Finora sono state indicate e discusse due vie d’uscita da questa situazione: incoraggiare la crescita economica con investimenti pubblici, oppure puntare sul rigore, sui tagli alla spesa pubblica, sugli aumenti delle tasse, in una parola sull’austerità. Ma riproporre l’alternativa tra il metodo keynesiano e il monetarismo potrebbe non bastare più. Certo, i tagli sono in qualche misura necessari. A mio parere, tuttavia, sono come le medicine: se non le prendi, ti ammali, ma se ne prendi troppe fai un’overdose e rischi di stare ancora peggio. E allora che fare? Ciò che un autentico riformatore europeo dovrebbe porsi come obiettivo è una ripresa sostenibile. Una ripresa in grado di preservare un welfare state che richiede sicuramente tagli e accorgimenti per fare i conti con un nuovo scenario demografico e sociale; ma che al tempo stesso non indirizzi i principali benefici della crescita sullo 0,1 per cento della popolazione, sulle fasce più alte di reddito. Una ripresa sostenibile significa un modello economico che eviti di distruggere l’ambiente e la classe media: non credo che l’Occidente uscirà dalla crisi e diventerà più competitivo semplicemente vendendo sempre più automobili alla Cina, fino a quando i cinesi ne avranno tante quanto noi, o di più. Né continuando a indebitarsi, per poi aspettarsi che siano i giovani d’oggi, molti dei quali sono disoccupati, a pagare i nostri debiti quando saranno diventati adulti: sia i debiti in campo economico che quelli in campo ambientale. (…). Non sembri irriverente l’accostamento che mi sento di fare oggi, a trent’anni da quella perdita, tra quel che quell’Uomo ha detto, ha fatto e l’analisi di Anthony Giddens. Poiché sono convinto che Enrico Berlinguer, oggi, se fosse stato ancora tra di noi, avrebbe fatte Sue le intuizioni dell’illustre studioso, essendo Enrico Berlinguer un Uomo libero e scevro dal servilismo ideologico che connota i tanti che approdano alla politica nel bel paese per la conquista del potere fine a se stesso. E bisogna dare merito ad Eugenio Scalfari che, nell’oramai lontano tempo della politica, ha scritto, nel fuoco delle contrapposizioni generate dal nuovo corso della FIAT in Italia, un pezzo – “La regola di Marchionne e l'etica di Berlinguer” nel consueto “domenicale” sul quotidiano la Repubblica del 29 di agosto dell’anno 2010 -  che è interessante rileggere oggi e che rende il dovuto merito alla memoria dell’indimenticabile Uomo. Scriveva allora l’illustre opinionista: Bisogna riconoscere – (…) – che l´economia globale comporta un trasferimento di benessere dall´area opulenta all´area emergente e povera. Si potrà gradualizzare entro certi limiti questo processo, ma è del tutto inutile cercare di arrestarlo. Il trasferimento può avvenire in vari modi. Uno di essi è l´immigrazione dall´area povera all´area opulenta, un altro è la de-localizzazione della produzione e del capitale in senso contrario, un altro ancora consiste nella ricerca di analoghi trasferimenti di benessere sociale all´interno dell´area opulenta tra ceti ricchi e ceti poveri, accompagnati da ritmi di produttività più intensi nelle aree povere affinché la loro dinamica sociale accorci le distanze con le aree ricche. Siamo cioè – e non certo per libera scelta – di fronte ad un gigantesco riassetto sociale di dimensioni planetarie, nel corso del quale bisognerà tenere ben ferma la barra sui due diritti fondamentali: la libertà e l´eguaglianza. Il riassetto sociale è infatti di tali proporzioni da mettere a rischio quei due diritti. Può cioè dar luogo a forme di governo autoritarie nell´illusione che solo in quel modo sia possibile governare i processi sociali; e può anche dar luogo a discriminazioni inaccettabili sul piano dell´eguaglianza. Purtroppo in Italia si rischia di caricare gli oneri del riassetto sociale sulle categorie più deboli e di ferire in tal modo sia l´eguaglianza sia la libertà. (…) … Berlinguer vide con trent´anni di anticipo il grande riassetto sociale che stava arrivando, ne colse alcune implicazioni che riguardavano la politica e le istituzioni, decise di orientare in modo nuovo la politica del suo partito affinché si ponesse alla guida di quel riassetto. Non fu soltanto Berlinguer a imboccare quella strada. Nel Pci a favore d´una politica di austerità si schierò Giorgio Amendola, nel sindacato Luciano Lama, negli altri partiti Ugo La Malfa, Riccardo Lombardi, Antonio Giolitti, Gino Giugni e Giorgio Ruffolo, Bruno Visentini. Nella Dc, Ezio Vanoni e Pasquale Saraceno. Insomma la sinistra di governo e la sinistra di opposizione. (…) … la sinistra, quella sinistra, aveva capito in anticipo i tempi e le crisi che si addensavano e ne vide le conseguenze sulla società italiana. Tremonti però non ha reso esplicito il significato di quella posizione. Berlinguer voleva che fosse la sinistra a guidare il riassetto sociale incombente, per garantire che non fossero solo i ceti più deboli a pagarne il costo. (…) Se si deve attuare una vasta modernizzazione istituzionale e un trasferimento di benessere sociale dalle economie opulente verso quelle emergenti; se un così gigantesco riassetto non può essere disgiunto da un riassetto analogo all´interno delle aree opulente; è evidente che i più deboli debbono partecipare in primissima fila a questa operazione. I ceti medi e medio-bassi non possono essere oggetto del riassetto sociale senza esserne al tempo stesso il principale soggetto. (…) … l´economia politica ha come tema centrale proprio quello dell´etica, cioè dei diritti e dei doveri, della felicità e dell´infelicità, della giustizia e del privilegio. Dove sta che sostenere, per negare, non aver più valore alcuno la contrapposizione “destra/sinistra” è quanto di più sbagliato si possa pensare, contrapposizione alla quale quell’Uomo avrebbe continuato a credere sino in fondo. 

P.s. Desidero segnalare alla Vostra cortese attenzione il post del 26 di marzo che ha per titolo “Berlinguer e la politica alta” - http://ilcavalierdelamancia.blogspot.it/2014/03/cosecosi-73-berlinguer-e-la-politica.html -.

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