Non mi sento di scrivere oggi un qualsivoglia
panegirico dell’Uomo del quale ricordiamo in questa data la perdita. L’Uomo non
ne ha bisogno, per il solo motivo che ha informato e uniformato la Sua vita alla
concretezza, lontano essendo il Suo stile di vita dalle rappresentazioni e
dalle autocelebrazioni. La Sua proverbiale riservatezza mi spinge ad accostare
il ricordo dell’Uomo a quanto di più caro io conservi nella mia memoria, mio
padre. Cantava con il Suo fare quasi scanzonato Giorgio Gaber : “Qualcuno
era comunista perché Berlinguer era una brava persona. Qualcuno era comunista
perché Andreotti non era una brava persona”. È tra questi estremi che
si è consumata la vita di quell’Uomo. È che quell’Uomo, che ricordiamo
ancor’oggi con struggimento quasi, è andato sempre fino in fondo nell’inverare nelle
Sue parole e nei Suoi atti le cose nelle quali aveva riposto il modo Suo
d’essere. Oggi che lo ricordiamo con inconsolabile nostalgia mi va di accostare
alla Sua figura ed alla Sua memoria una riflessione che, fosse stato in vita “il
compagno Enrico”, avrebbe di certo sottoscritto. Quell’Uomo che, pur
provenendo da un ceto sociale d’agiatezza, comprendeva come fosse illusoria la
scomparsa di quel binomio “destra/sinistra” che nella tempesta
ideologica susseguente al liberismo più sfrenato si era dato per morto
assimilando in una poltiglia sociologica interessi, utopie, sogni e speranze
che restano e resteranno sempre legati a quel binomio che contrappone da sempre
gli uomini senza mediazione alcuna. La riflessione che mi viene di riproporre è
stata scritta da Anthony Giddens sul quotidiano la Repubblica del 15 di gennaio
dell’anno 2013 ed ha per titolo “Destra
e sinistra esistono ancora”.
Ha scritto il sociologo inglese: La
discussione sul presunto superamento di concetti come “destra” e “sinistra” ha (…)
un difetto di fondo: induce a credere che, nel mondo di oggi, ci sia bisogno di
meno politica di quello di una volta, ossia di meno ideologia, meno partiti,
meno governo, come se tutto dipendesse dall’essere disponibili o contrari al
cambiamento, inteso come generale progresso dell’umanità. Al contrario, ritengo
invece che oggi ci sia bisogno di più politica di prima, perché i problemi
globali, dalla drammatica crisi economico-finanziaria all’effetto serra,
dimostrano che solo un intervento collettivo, programmatico, di sana governance
internazionale, può mettere il nostro pianeta sulla strada giusta. (…). Oggi
tutti i Paesi industrializzati sono fortemente indebitati. Tutti, chi più chi
meno, hanno perso competitività sui mercati. Finora sono state indicate e
discusse due vie d’uscita da questa situazione: incoraggiare la crescita
economica con investimenti pubblici, oppure puntare sul rigore, sui tagli alla
spesa pubblica, sugli aumenti delle tasse, in una parola sull’austerità. Ma
riproporre l’alternativa tra il metodo keynesiano e il monetarismo potrebbe non
bastare più. Certo, i tagli sono in qualche misura necessari. A mio parere,
tuttavia, sono come le medicine: se non le prendi, ti ammali, ma se ne prendi
troppe fai un’overdose e rischi di stare ancora peggio. E allora che fare? Ciò
che un autentico riformatore europeo dovrebbe porsi come obiettivo è una
ripresa sostenibile. Una ripresa in grado di preservare un welfare state che
richiede sicuramente tagli e accorgimenti per fare i conti con un nuovo
scenario demografico e sociale; ma che al tempo stesso non indirizzi i
principali benefici della crescita sullo 0,1 per cento della popolazione, sulle
fasce più alte di reddito. Una ripresa sostenibile significa un modello
economico che eviti di distruggere l’ambiente e la classe media: non credo che
l’Occidente uscirà dalla crisi e diventerà più competitivo semplicemente
vendendo sempre più automobili alla Cina, fino a quando i cinesi ne avranno
tante quanto noi, o di più. Né continuando a indebitarsi, per poi aspettarsi
che siano i giovani d’oggi, molti dei quali sono disoccupati, a pagare i nostri
debiti quando saranno diventati adulti: sia i debiti in campo economico che quelli
in campo ambientale. (…). Non sembri irriverente l’accostamento che mi
sento di fare oggi, a trent’anni da quella perdita, tra quel che quell’Uomo ha
detto, ha fatto e l’analisi di Anthony Giddens. Poiché sono convinto che Enrico
Berlinguer, oggi, se fosse stato ancora tra di noi, avrebbe fatte Sue le
intuizioni dell’illustre studioso, essendo Enrico Berlinguer un Uomo libero e
scevro dal servilismo ideologico che connota i tanti che approdano alla
politica nel bel paese per la conquista del potere fine a se stesso. E bisogna
dare merito ad Eugenio Scalfari che, nell’oramai lontano tempo della politica,
ha scritto, nel fuoco delle contrapposizioni generate dal nuovo corso della
FIAT in Italia, un pezzo – “La regola di
Marchionne e l'etica di Berlinguer” nel consueto “domenicale” sul quotidiano
la Repubblica del 29 di agosto dell’anno 2010 - che è interessante rileggere oggi e che rende
il dovuto merito alla memoria dell’indimenticabile Uomo. Scriveva allora l’illustre
opinionista: Bisogna riconoscere – (…) – che l´economia globale comporta un trasferimento
di benessere dall´area opulenta all´area emergente e povera. Si potrà
gradualizzare entro certi limiti questo processo, ma è del tutto inutile
cercare di arrestarlo. Il trasferimento può avvenire in vari modi. Uno di essi
è l´immigrazione dall´area povera all´area opulenta, un altro è la
de-localizzazione della produzione e del capitale in senso contrario, un altro
ancora consiste nella ricerca di analoghi trasferimenti di benessere sociale
all´interno dell´area opulenta tra ceti ricchi e ceti poveri, accompagnati da
ritmi di produttività più intensi nelle aree povere affinché la loro dinamica
sociale accorci le distanze con le aree ricche. Siamo cioè – e non certo per
libera scelta – di fronte ad un gigantesco riassetto sociale di dimensioni planetarie,
nel corso del quale bisognerà tenere ben ferma la barra sui due diritti
fondamentali: la libertà e l´eguaglianza. Il riassetto sociale è infatti di
tali proporzioni da mettere a rischio quei due diritti. Può cioè dar luogo a
forme di governo autoritarie nell´illusione che solo in quel modo sia possibile
governare i processi sociali; e può anche dar luogo a discriminazioni
inaccettabili sul piano dell´eguaglianza. Purtroppo in Italia si rischia di
caricare gli oneri del riassetto sociale sulle categorie più deboli e di ferire
in tal modo sia l´eguaglianza sia la libertà. (…) … Berlinguer vide con
trent´anni di anticipo il grande riassetto sociale che stava arrivando, ne
colse alcune implicazioni che riguardavano la politica e le istituzioni, decise
di orientare in modo nuovo la politica del suo partito affinché si ponesse alla
guida di quel riassetto. Non fu soltanto Berlinguer a imboccare quella strada.
Nel Pci a favore d´una politica di austerità si schierò Giorgio Amendola, nel
sindacato Luciano Lama, negli altri partiti Ugo La Malfa, Riccardo Lombardi,
Antonio Giolitti, Gino Giugni e Giorgio Ruffolo, Bruno Visentini. Nella Dc,
Ezio Vanoni e Pasquale Saraceno. Insomma la sinistra di governo e la sinistra
di opposizione. (…) … la sinistra, quella sinistra, aveva capito in anticipo i
tempi e le crisi che si addensavano e ne vide le conseguenze sulla società
italiana. Tremonti però non ha reso esplicito il significato di quella
posizione. Berlinguer voleva che fosse la sinistra a guidare il riassetto sociale
incombente, per garantire che non fossero solo i ceti più deboli a pagarne il
costo. (…) Se si deve attuare una vasta modernizzazione istituzionale e un
trasferimento di benessere sociale dalle economie opulente verso quelle
emergenti; se un così gigantesco riassetto non può essere disgiunto da un
riassetto analogo all´interno delle aree opulente; è evidente che i più deboli
debbono partecipare in primissima fila a questa operazione. I ceti medi e
medio-bassi non possono essere oggetto del riassetto sociale senza esserne al
tempo stesso il principale soggetto. (…) … l´economia politica ha come tema
centrale proprio quello dell´etica, cioè dei diritti e dei doveri, della
felicità e dell´infelicità, della giustizia e del privilegio. Dove sta
che sostenere, per negare, non aver più valore alcuno la contrapposizione “destra/sinistra”
è quanto di più sbagliato si possa pensare, contrapposizione alla quale
quell’Uomo avrebbe continuato a credere sino in fondo.
P.s. Desidero segnalare alla
Vostra cortese attenzione il post del 26 di marzo che ha per titolo “Berlinguer e la politica alta” - http://ilcavalierdelamancia.blogspot.it/2014/03/cosecosi-73-berlinguer-e-la-politica.html
-.
Graz<ie, Aldo Ettore, di questo ricordo. Franca
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