“Quellichelasinistra” che dicono che
la “sinistra” non esiste più. “Quellichelasinistra” che si sentono
come presi per i cosiddetti fondelli allorquando il pifferaio di turno blatera
che le riforme in cantiere sono come la “sinistra” non le ha avute mai. “Quellichelasinistra”
che credono che per essere veramente della “sinistra”… “come si può pensare di fare a
meno della Sinistra in una società nella quale il tasso di disoccupazione ha
superato il 12 per cento, la soglia di povertà è sempre più alta, e il senso di
impotenza dei giovani e meno giovani ha effetti deprimenti sull`intera società?
(…). …le sorti possono cambiare (…). Possono cambiare se sappiamo spiegare di
chi sono le responsabilità di questa crisi devastante: sono della Destra non
della Sinistra, del giacobinismo liberistico che ha conquistato il palazzo
d`Inverno prima a Londra e a Washington per poi mettere al bando in pochi anni
la social-democrazia del vecchio Continente e dimostrare che al benessere
diffuso si arrivava meglio e prima scatenando il capitale invece di
responsabilizzarlo e regolarlo. Si tratta ora di deviare da questo percorso: la
sfida non è facile, ma non utopistica (…). Certo, ci vuole coraggio.
Ci vuole
la determinazione a recuperare il linguaggio e gli ideali che danno senso a
questa sfida, la giustificano e, soprattutto, richiedono un soggetto politico
che operi nel solco della tradizione socialdemocratica. Gli ideali sono gli
stessi che erano alla base della costruzione delle democrazie europee nel
secondo dopoguerra, e che la reazione neo-liberista ha sminuito; tre in
particolare: 1) l`eguaglianza, non solo delle opportunità legali ma anche delle
condizioni sociali che consentono ai cittadini di intraprendere le loro scelte
di vita con responsabilità; 2) il senso di sé delle persone, la fiducia nelle
proprie forze progettuali che nasce dalla libertà dal bisogno; e 3) la dignità
delle persone per ciò che sono, comunque esse siano. Tre ideali sono contenuti
nella nostra Costituzione e hanno spesso avuto come protagonisti attivi i
cittadini che stanno ai margini, le minoranze morali e culturali appunto;
coloro che hanno sperimentato e mostrato il valore del movimento e della
partecipazione politica, spesso spontanea e non rappresentata dai partiti
parlamentari: i movimenti femminili contro la violenza, per il lavoro e la non
discriminazione nella carriera; quei cittadini che comprendono l`importanza di
difendere beni comuni fondamentali, come la scuola e l`ambiente; gli
omosessuali chi ha differenze di stili di vita e di fede rispetto alla
maggioranza - tutti questi protagonisti interpellano la collettività e la
politica istituzionale nel nome di ciò che la democrazia promette: eguaglianza
di considerazione e delle condizioni di partenza per poter esprimere se stessi;
libertà dal bisogno che umilia la responsabilità individuale e rende passivi;
libertà dall`offesa e dall`umiliazione che deriva dall`essere penalizzati per
non appartenere alla parte giusta o alla maggioranza. Restituire alla Sinistra
il significato progressista di emancipazione dalla servitù del bisogno - e per
questo riportare al centro l`attenzione alle condizioni sociali della
cittadinanza. (…). La cittadinanza lancia un progetto ambizioso contro la
povertà perché la tratta come un male non da lenire ma da sradicare. Alla
povertà, la democrazia sociale del dopoguerra ha dato un nome preciso: assenza
di lavoro, disoccupazione. Perché questo sistema politico si regge sulla
possibilità di ciascuno di pensare a se stesso e alla cura dei figli; di farlo
con dignità e per mezzo di un`attività che non umilia: il lavoro in cambio di
un salario dignitoso e di diritti ad esso associati, da quello alla scuola,
alla salute e alla sicurezza sociale. Mettere il lavoro alla base del sistema
politico comporta rivederne il significato, il valore, il senso: significa
emanciparlo dallo stigma della sofferenza facendone una condizione di
possibilità ed emancipazione. (…). “Quellichelasinistra” che hanno
letto e riflettuto su queste righe che Nadia Urbinati ha scritto per il
quotidiano la Repubblica il 7 di novembre dell’anno 2013. “Quellichelasinistra” che
non vedono all’orizzonte nessun programma di quelli che si sentono della
“sinistra” o stanno a “sinistra” tanto per occupare un posto. “Quellichelasinistra”
che, leggendo Nadia Urbinati, vi ritrovano i valori che erano della
“sinistra” e che sono stati cancellati dallo scenario della politica del bel
paese. “Quellichelasinistra” che vengono assaliti da crisi nostalgiche
al ri-sentire parlare della “partecipazione politica”, che pre-suppone una
responsabilità politica, dei singoli e della collettività, dismessa da sì lungo
tempo. “Quellichelasinistra” che hanno un sussulto a ri-leggere Miriam
Mafai che il 23 di giugno dell’anno 2011 scriveva ne’ “Le mille piazze dove costruimmo la nostra identità”: (...).
…la prima piazza che ricordo con emozione – avevo appena 14 anni – è una
piazza, anche quella straordinariamente affollata, che esplode in un urlo di
fiducia e di entusiasmo quando Mussolini annuncia che l’Italia, finalmente,
entra in guerra. Era il 10 giugno del 1940. La ricordo, quella piazza perché
l’ho vissuta, umiliata e preoccupata, da adolescente che era stata cacciata da
tutte le scuole del Regno (…) perché nata da una madre ebrea. Ma tutti
ricordiamo, anche senza averle vissute, altre piazze che in Europa in quegli
anni si raccoglievano in un delirio di ammirazione per il padrone di turno. La
piazza può essere infatti ed è stata sempre il sostegno, il luogo privilegiato
delle dittature. Tutti i dittatori del XX secolo, Mussolini Hitler Stalin,
hanno stabilito con la piazza un rapporto che all’osservatore lontano, nel
tempo o nello spazio, può apparire irrazionale, quasi mistico. Ma la piazza è
mutevole. La stessa piazza e tutte le piazze d’Italia che avevano applaudito
alla dichiarazione di guerra, solo tre anni dopo, nel luglio del 1943,
rovesceranno, con rabbia dovunque, i simboli del regime. (…). La piazza non si
identifica con la democrazia, ma non c’è democrazia senza il sostegno della
piazza, un sostegno che va e viene, che si concede e si rifiuta, a seconda
delle scelte e delle decisioni di chi governa. La democrazia, è oggi nel nostro
paese una “religione stanca”. Ma il disincanto democratico può essere
rivitalizzato dall’intervento della piazza. Siamo oggi, forse, esattamente in
questa fase. La piazza è un luogo nel quale ognuno smarrisce qualcosa di sé e
partecipa di una identità, di un sentimento collettivo. “La natura
dell’identità” cito questa volta da un testo di Bodei “non è quella di un unico
filo, quanto piuttosto di una corda lentamente e pazientemente intrecciata, è
composta dall’avvolgimento di più fili…”.
Non credo di tradire il pensiero di Bodei se penso alla piazza come al
luogo, uno dei luoghi, nel quale le nostre identità si intrecciano, possono
intrecciarsi a formare la corda dei una identità collettiva. La piazza,
insomma, come il luogo nel quale si forma e di definisce, nel rapporto con gli
altri la nostra identità che è in continuo divenire, non è mai una volta
definita per tutte.(…). “Quellichelasinistra” che pensano
alla “partecipazione”
come costrutto essenziale alla formazione di quell’essere pensante e cosciente
che, per dirlo con la grande Miriam, “smarrisce qualcosa di sé e partecipa di una
identità, di un sentimento collettivo”. “Quellichelasinistra” che
pensano che dovrebbero tornare ad udirsi parole divenute nel tempo mostruose, “identità
collettive”, che non ammettono compromessi e mescolanze per quelle
“grandi intese” che non portano verso orizzonti diversi da quelli già scrutati.
“Quellichelasinistra”
che si commuovono al racconto di Andrea Camilleri intervistato da Silvia Truzzi
su “il Fatto Quotidiano” del 15 di giugno - “Sono diventato comunista con un calcio nei coglioni” -: A
Firenze ebbi un incidente con il ministro della cultura popolare, Alessandro
Pavolini. Il convegno era al Teatro comunale, pienissimo. Avevo stretto
amicizia con una ragazza ungherese: pensi che ci parlavamo in latino, visto che
nessuno conosceva la lingua dell’altro. Comunque sul palco c’era un’enorme
bandiera nazista: io ero seduto in platea, avevo accanto a me Gaspare Giudice e
Luigi Giglia. Mi alzai in piedi e chiesi di mettere la nostra bandiera: ‘Qui
siamo in Italia’. Non sapevo – l’avrei scoperto dopo – di aver suscitato un
applauso muto da parte di tutti i ragazzi non tedeschi. Si chiuse il sipario e
alla riapertura c’erano entrambi i vessilli; quello tedesco e quello italiano.
Pavolini, mentre usciva, mi fece cenno di seguirlo nella hall. Senza dire una
parola, si girò di scatto e mi diede un violentissimo calcio nel bassoventre
con quei suoi stivali schifosi da fascista. Caddi a terra, senza riuscire più a
muovermi. Lì nella hall c’era un giovane che aveva assistito alla scena: mi
portarono subito all’ospedale, non camminavo dal dolore. Ma Luigi Giglia avvisò
il prefetto di Firenze, che sapeva essere amico di mio padre. Due ore dopo il
prefetto mi venne a prendere di persona e mi portò in una clinica, temendo che
i fascisti tornassero a colpire. Sono diventato comunista con un calcio nei
coglioni -. “Quellichelasinistra” che dicono che la “sinistra” non esiste
più. “Quellichelasinistra”
che credono davvero, nel profondo di sé stessi, come non sia possibile oggi
dirsi a “sinistra”, della “sinistra”, o della stare a “sinistra”, tanto per
starci, senza che tornino a primeggiare e vincere le parole-chiave ed
intramontabili di “quellichelasinistra” hanno pensato sempre di non poter
abbandonare, costi quel che costi: “l`eguaglianza, il senso di sé delle
persone, la dignità delle persone per ciò che sono”. E non tanto per quel
che hanno.
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