Sostiene il novello vescovo di Roma che “all’Inferno
ci andranno gli iniqui, i corrotti, chi vive solo per il denaro e fa male al
prossimo”. È la buona novella tanto attesa. Lo ha sostenuto in vista, forse,
della implorata “scomunica” per i malavitosi. Un bel passo avanti. Ma venendo
al merito ed alla Storia è sempre accaduto che la “scomunica” abbia riguardato
una parte del cosiddetto popolo di Dio, quello non avvezzo alla malavita. La si
è invocata ed irrogata per i più vari motivi, religiosi, politici ed anche per
il vivere coniugale o familiare non in linea con la predicazione della chiesa
di Roma. Non soccorrono occasioni per le quali si sia sentita tuonare quella
chiesa per i malavitosi che abbiano a delinquere nelle più svariate forme. È che
i malavitosi in tutte le forme hanno da sempre rappresentato il potere, la
lusinga del quale ha sempre attratto gli attori di quella religione fattasi
chiesa. Chiesa potente e nel tempo intollerante nei confronti di chi attentasse
alla sua pratica del potere pur se risultasse, quella pratica, distante assai
dall’annunciazione evangelica. E sulla “scomunica” come arma terribile per
soggiogare non già i malavitosi ma, il più delle volte, l’inerme popolo di Dio
riottoso, ne ha scritto il teologo Vito Mancuso sul quotidiano la Repubblica del
23 di giugno col titolo “La scomunica
come arma contro l’eresia criminale”.
L’illustre studioso ha dato di conto
di quell’utilizzo della “scomunica” finalizzato a tacitare le libere coscienze
innanzitutto scrivendo: La
durissima arma del bando dalla comunità ecclesiale fu usata anche contro la
libertà di coscienza in materia di teologia con le scomuniche che colpirono
teologi e predicatori come Ian Hus e Girolamo Savonarola (entrambi finiti sul
rogo), oppure il patriarca di Costantinopoli Michele Cerulario e qualche secolo
dopo Martin Lutero e a seguire tutti i protestanti. A questo proposito penso
sia doveroso ricordare quanto avvenne nel 1561 proprio in Calabria, sempre in
provincia di Cosenza, (…), cioè il massacro di circa 3000 valdesi da parte
delle truppe inviate dal grande inquisitore fra Michele Ghislieri, divenuto in
seguito papa Pio V (anzi san Pio V!). Ed è impossibile non menzionare le
scomuniche che colpirono due sacerdoti come Romolo Murri ed Ernesto Buonaiuti.
(…). Ora io chiedo (…) se sia giusto accostare nella stessa pena criminali che
adorano il male e sinceri credenti che cercano (magari anche forzando i tempi)
di rendere la Chiesa davvero una casa accogliente per tutti. Me lo chiedo e
sento che sia giusto rispondere che non lo è. (…). Una coraggiosa ammissione
dell’improprio utilizzo della “scomunica” da parte di quella chiesa che
vorrebbe essere universale. Ed aggiunge, calando la Sua riflessioni ai tempi
correnti: Un tempo (…) quando un papa lanciava l’anatema della scomunica
succedeva per tutti qualcosa di concretamente serio, all’interessato venivano a
mancare tutti i rapporti sociali necessari all’esercizio del suo ruolo, oppure,
nel caso fosse già nelle mani del potere ecclesiastico, veniva consegnato al
braccio secolare che comminava la pena, non di rado capitale. Ancora nella
prima metà del ‘900 Ernesto Buonaiuti dovette soffrire la fame per essere stato
scomunicato a causa delle sue ricerche storiche e delle sue tesi teologiche,
anche alla luce del fatto che, essendo stato uno dei pochissimi docenti
universitari a non giurare fedeltà al regime fascista, aveva perso anche la
cattedra presso l’università statale. Oggi la scomunica è ben lontana dal
produrre effetti come questi. Oggi essa semplicemente prevede che lo
scomunicato non possa prendere parte alle celebrazioni liturgiche e assumere
incarichi ecclesiali. Fine della trasmissione. Ovvero il massimo della pena per
sinceri credenti (…). (…). …il peso simbolico della scomunica colpirà la narrazione
pseudoreligiosa che la mafia fa di se stessa, aiuterà a recidere i rapporti che
i boss hanno avuto con le chiese locali, metterà parroci e curie davanti alle
loro responsabilità, renderà sempre più difficile il consenso sociale che la
criminalità organizzata cerca di creare intorno a sé. (…). E sarebbero
in verità già dei grossi inattesi risultati. Nel tempo, invece, è avvenuto
tutto il contrario. Ho trovato interessante quanto ha scritto in proposito Attilio
Bolzoni – la Repubblica del 24 di giugno, “Il
Boss e il prete” -: Chiesa e mafia, mafia e chiesa. Tutti
pregano. In tasca hanno sempre un santino. O l'immagine di un Cristo, di una
Madonna. Sono religiosissimi. E ostentano la loro devozione. Siciliani.
Calabresi. Campani. Capi, sottocapi, soldati. Il confine è ed è sempre stato
invisibile. Per secoli. Dove si riunisce ogni anno il 2 settembre la crema
della 'ndrangheta? Al Santuario della Madonna dei Polsi, 865 metri d'altezza in
una vallata dell'Aspromonte dove il torrente Bonamico sfiora il paese di San
Luca e poi si tuffa nel Mar Jonio. Lì la Santa prende decisioni strategiche,
ordina delitti, stringe alleanze e - raccontano - custodisce le 12 Tavole della
'ndrangheta. Che cos'è la mafia? «Una marca di formaggio», rispondeva Sua
Eminenza Ernesto Ruffini, arcivescovo di Palermo che benediceva notabili e boss
mentre stavano facendo brutta una delle città più belle del mondo. Che cos'è la
mafia? «È un'invenzione dei comunisti», urlava il capo della chiesa siciliana
alle folle. E intanto taceva sulle Giuliette imbottite di tritolo, le
"sparatine", sulle centinaia di morti che si raccoglievano per le
strade. Come si difendeva in aula nel 1951 a Viterbo - dove si celebrava il
processo per la strage di Portella della Ginestra - Gaspare Pisciotta, cugino
traditore del bandito Salvatore Giuliano? «Siamo un corpo solo: banditi,
polizia e mafia, come il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo». Più chiaro di
così. «Gesù Gesù, anche un parrino in Cosa Nostra», esclamò stupefatto Antonino
Calderone guardando suo fratello Giuseppe quando gli presentarono come uomo
d'onore padre Agostino Coppola, parroco di Carini. Nella sagrestia nascondeva i
soldi dei sequestri di persona dell'"Anonima Liggio", qualche anno
prima aveva sposato in gran segreto - insieme altri due preti della diocesi di
Monreale rimasti sconosciuti - Totò e Ninetta, Salvatore Riina e Antonina
Bagarella. Parrino in siciliano vuole dire prete ma anche padrino. «Io non
faccio parte della chiesa ma i parrini li ho sempre rispettati», sussurrava
l'assessore regionale Vincenzo Lo Giudice ai boss dell'Agrigentino prima che
l'arrestassero per le sue complicità. La chiesa intesa come mafia, i parrini
come mafiosi. Nei primi anni '80 abbiamo conosciuto a Palermo un prete, Fra'
Giacinto - il suo vero nome era Stefano Castronovo - che andava in giro con una
pistola a tamburo che però non gli servì a niente quando gli scivolarono alle
spalle per "astutarlo", spegnerlo per sempre. Prima di noi, negli
anni '60, i cronisti siciliani frequentavano ogni giorno le aule di giustizia
del Tribunale di Caltanissetta dove venivano processati quattro cappuccini che
terrorizzavano con le estorsioni gli abitanti di Mazzarino. I diavoli del
convento, li chiamavano. In tempi più recenti, un segno inequivocabile della
sua venerazione ce l'ha lasciato Bernardo Provenzano in quel suo miserabile
covo di Montagna dei Cavalli. Inventario degli oggetti sequestrati al vecchio
Bernardo: tre santini di carta raffiguranti Maria SS Addolorata-Santuario di
Corleone; un santino di carta raffigurante Maria SS delle Grazie di Corleone;
un santino di carta raffigurante Sacro Cuore di Gesù; un santino di carta
raffigurante Cardinale Pietro Marcellino Corradini; un quadro con cornice in
legno di colore marrone raffigurante e con la scritta "La Madonna delle
Lacrime di Siracusa"; un quadretto, privo di cornice, in cartone
raffigurante una donna e con la scritta "Maria Regina dei cuori Maria
Regina delle famiglie"; due santini raffiguranti rispettivamente uno Maria
SS del Rosario di Tagliavia e l'altro B. Bernardo Da Corleone Cappuccino;
settantatre santini raffiguranti il Cristo con la scritta "Gesù confido in
te". Ogni lettera di Provenzano spedita alla moglie cominciava con una
frase: "Io con il volere di Dio...". Esiste un Dio dei mafiosi?
Esiste ed è un Dio cattivo, piegato alle loro regole, un Dio che trasforma il
bene in male. Così non c'è mai conflitto fra la fede e l'adesione ai principi
dell'organizzazione. (…). Ci sono preti e preti. I mafiosi sono tutti uguali. (…).
Come ha difeso Antonina Brusca suo figlio Giovanni accusato della strage di
Capaci? «Dio sa bene come stanno le cose, io Giovanni l'ho tirato su con la
religione, io sono una dama di carità, una vincenziana, io sono una persona
umana e lo Spirito Santo illuminerà la mente dei giudici». Il più razionale -
cartesiano - di tutti i mafiosi è senza dubbio Giuseppe Guttadauro, medico e
capomandamento di Brancaccio. A proposito di mafia e chiesa diceva a un amico:
«Il peccato di mafia non esiste. Dove sta scritto questo peccato? Trovati un
prete intelligente che capisca queste cose ». È che l’annuncio nuovo
del vescovo di Roma trova un’eco diffusa sui media. Che prova ad avvolgere la
realtà storica nel rapporto chiesa/malavita dietro una nebbiosa cortina. Riporta
il professor Umberto Galimberti sull’ultimo numero del 21 di giugno del
settimanale “D”: (…). …visitando una chiesa alla periferia di Roma, Papa Francesco
chiese alla folla che si era adunata: «Perché siete venuti in chiesa così
numerosi? Immagino per incontrare Dio. Ma Dio non abita qui. Abita presso i
bisognosi, i poveri, i sofferenti, gli indigenti». Ecco la grande novità di
questo Papa, la cui intenzione, in questo tempo di accentuata secolarizzazione,
non è quella di riaccogliere tutti per ripopolare la Chiesa, ma di aver più
cura delle persone che della dottrina. E questo in conformità al messaggio
evangelico dove leggiamo che, ai Farisei che biasimavano i discepoli perché,
contro la norma, coglievano spighe di sabato, Gesù risponde: «Il sabato è fatto
per l'uomo, non l'uomo per il sabato» (Marco 2, 23-28). Ritroviamo lo stesso
motivo nella morale kantiana costruita sulla sola ragione, là dove il filosofo
dice: «La morale è fatta per l'uomo, non l'uomo per la morale». (…). Fin
qui le enunciazioni che nella vita più che millenaria della chiesa di Roma sono
sempre rimaste ben distanti dal reale vissuto e testimoniato.
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