"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 20 giugno 2014

Quellichelasinistra. 4 “Le mille piazze dove costruimmo la nostra identità”.



“Quellichelasinistra” che dicono che la “sinistra” non esiste più. “Quellichelasinistra” che si sentono come presi per i cosiddetti fondelli allorquando il pifferaio di turno blatera che le riforme in cantiere sono come la “sinistra” non le ha avute mai. “Quellichelasinistra” che credono che per essere veramente della “sinistra”… “come si può pensare di fare a meno della Sinistra in una società nella quale il tasso di disoccupazione ha superato il 12 per cento, la soglia di povertà è sempre più alta, e il senso di impotenza dei giovani e meno giovani ha effetti deprimenti sull`intera società? (…). …le sorti possono cambiare (…). Possono cambiare se sappiamo spiegare di chi sono le responsabilità di questa crisi devastante: sono della Destra non della Sinistra, del giacobinismo liberistico che ha conquistato il palazzo d`Inverno prima a Londra e a Washington per poi mettere al bando in pochi anni la social-democrazia del vecchio Continente e dimostrare che al benessere diffuso si arrivava meglio e prima scatenando il capitale invece di responsabilizzarlo e regolarlo. Si tratta ora di deviare da questo percorso: la sfida non è facile, ma non utopistica (…). Certo, ci vuole coraggio.
Ci vuole la determinazione a recuperare il linguaggio e gli ideali che danno senso a questa sfida, la giustificano e, soprattutto, richiedono un soggetto politico che operi nel solco della tradizione socialdemocratica. Gli ideali sono gli stessi che erano alla base della costruzione delle democrazie europee nel secondo dopoguerra, e che la reazione neo-liberista ha sminuito; tre in particolare: 1) l`eguaglianza, non solo delle opportunità legali ma anche delle condizioni sociali che consentono ai cittadini di intraprendere le loro scelte di vita con responsabilità; 2) il senso di sé delle persone, la fiducia nelle proprie forze progettuali che nasce dalla libertà dal bisogno; e 3) la dignità delle persone per ciò che sono, comunque esse siano. Tre ideali sono contenuti nella nostra Costituzione e hanno spesso avuto come protagonisti attivi i cittadini che stanno ai margini, le minoranze morali e culturali appunto; coloro che hanno sperimentato e mostrato il valore del movimento e della partecipazione politica, spesso spontanea e non rappresentata dai partiti parlamentari: i movimenti femminili contro la violenza, per il lavoro e la non discriminazione nella carriera; quei cittadini che comprendono l`importanza di difendere beni comuni fondamentali, come la scuola e l`ambiente; gli omosessuali chi ha differenze di stili di vita e di fede rispetto alla maggioranza - tutti questi protagonisti interpellano la collettività e la politica istituzionale nel nome di ciò che la democrazia promette: eguaglianza di considerazione e delle condizioni di partenza per poter esprimere se stessi; libertà dal bisogno che umilia la responsabilità individuale e rende passivi; libertà dall`offesa e dall`umiliazione che deriva dall`essere penalizzati per non appartenere alla parte giusta o alla maggioranza. Restituire alla Sinistra il significato progressista di emancipazione dalla servitù del bisogno - e per questo riportare al centro l`attenzione alle condizioni sociali della cittadinanza. (…). La cittadinanza lancia un progetto ambizioso contro la povertà perché la tratta come un male non da lenire ma da sradicare. Alla povertà, la democrazia sociale del dopoguerra ha dato un nome preciso: assenza di lavoro, disoccupazione. Perché questo sistema politico si regge sulla possibilità di ciascuno di pensare a se stesso e alla cura dei figli; di farlo con dignità e per mezzo di un`attività che non umilia: il lavoro in cambio di un salario dignitoso e di diritti ad esso associati, da quello alla scuola, alla salute e alla sicurezza sociale. Mettere il lavoro alla base del sistema politico comporta rivederne il significato, il valore, il senso: significa emanciparlo dallo stigma della sofferenza facendone una condizione di possibilità ed emancipazione. (…). “Quellichelasinistra” che hanno letto e riflettuto su queste righe che Nadia Urbinati ha scritto per il quotidiano la Repubblica il 7 di novembre dell’anno 2013. “Quellichelasinistra” che non vedono all’orizzonte nessun programma di quelli che si sentono della “sinistra” o stanno a “sinistra” tanto per occupare un posto. “Quellichelasinistra” che, leggendo Nadia Urbinati, vi ritrovano i valori che erano della “sinistra” e che sono stati cancellati dallo scenario della politica del bel paese. “Quellichelasinistra” che vengono assaliti da crisi nostalgiche al ri-sentire parlare della “partecipazione politica”, che pre-suppone una responsabilità politica, dei singoli e della collettività, dismessa da sì lungo tempo. “Quellichelasinistra” che hanno un sussulto a ri-leggere Miriam Mafai che il 23 di giugno dell’anno 2011 scriveva ne’ “Le mille piazze dove costruimmo la nostra identità”: (...). …la prima piazza che ricordo con emozione – avevo appena 14 anni – è una piazza, anche quella straordinariamente affollata, che esplode in un urlo di fiducia e di entusiasmo quando Mussolini annuncia che l’Italia, finalmente, entra in guerra. Era il 10 giugno del 1940. La ricordo, quella piazza perché l’ho vissuta, umiliata e preoccupata, da adolescente che era stata cacciata da tutte le scuole del Regno (…) perché nata da una madre ebrea. Ma tutti ricordiamo, anche senza averle vissute, altre piazze che in Europa in quegli anni si raccoglievano in un delirio di ammirazione per il padrone di turno. La piazza può essere infatti ed è stata sempre il sostegno, il luogo privilegiato delle dittature. Tutti i dittatori del XX secolo, Mussolini Hitler Stalin, hanno stabilito con la piazza un rapporto che all’osservatore lontano, nel tempo o nello spazio, può apparire irrazionale, quasi mistico. Ma la piazza è mutevole. La stessa piazza e tutte le piazze d’Italia che avevano applaudito alla dichiarazione di guerra, solo tre anni dopo, nel luglio del 1943, rovesceranno, con rabbia dovunque, i simboli del regime. (…). La piazza non si identifica con la democrazia, ma non c’è democrazia senza il sostegno della piazza, un sostegno che va e viene, che si concede e si rifiuta, a seconda delle scelte e delle decisioni di chi governa. La democrazia, è oggi nel nostro paese una “religione stanca”. Ma il disincanto democratico può essere rivitalizzato dall’intervento della piazza. Siamo oggi, forse, esattamente in questa fase. La piazza è un luogo nel quale ognuno smarrisce qualcosa di sé e partecipa di una identità, di un sentimento collettivo. “La natura dell’identità” cito questa volta da un testo di Bodei “non è quella di un unico filo, quanto piuttosto di una corda lentamente e pazientemente intrecciata, è composta dall’avvolgimento di più fili…”.  Non credo di tradire il pensiero di Bodei se penso alla piazza come al luogo, uno dei luoghi, nel quale le nostre identità si intrecciano, possono intrecciarsi a formare la corda dei una identità collettiva. La piazza, insomma, come il luogo nel quale si forma e di definisce, nel rapporto con gli altri la nostra identità che è in continuo divenire, non è mai una volta definita per tutte.(…). “Quellichelasinistra” che pensano alla “partecipazione” come costrutto essenziale alla formazione di quell’essere pensante e cosciente che, per dirlo con la grande Miriam, “smarrisce qualcosa di sé e partecipa di una identità, di un sentimento collettivo”. “Quellichelasinistra” che pensano che dovrebbero tornare ad udirsi parole divenute nel tempo mostruose, “identità collettive”, che non ammettono compromessi e mescolanze per quelle “grandi intese” che non portano verso orizzonti diversi da quelli già scrutati. “Quellichelasinistra” che si commuovono al racconto di Andrea Camilleri intervistato da Silvia Truzzi su “il Fatto Quotidiano” del 15 di giugno - “Sono diventato comunista con un calcio nei coglioni” -: A Firenze ebbi un incidente con il ministro della cultura popolare, Alessandro Pavolini. Il convegno era al Teatro comunale, pienissimo. Avevo stretto amicizia con una ragazza ungherese: pensi che ci parlavamo in latino, visto che nessuno conosceva la lingua dell’altro. Comunque sul palco c’era un’enorme bandiera nazista: io ero seduto in platea, avevo accanto a me Gaspare Giudice e Luigi Giglia. Mi alzai in piedi e chiesi di mettere la nostra bandiera: ‘Qui siamo in Italia’. Non sapevo – l’avrei scoperto dopo – di aver suscitato un applauso muto da parte di tutti i ragazzi non tedeschi. Si chiuse il sipario e alla riapertura c’erano entrambi i vessilli; quello tedesco e quello italiano. Pavolini, mentre usciva, mi fece cenno di seguirlo nella hall. Senza dire una parola, si girò di scatto e mi diede un violentissimo calcio nel bassoventre con quei suoi stivali schifosi da fascista. Caddi a terra, senza riuscire più a muovermi. Lì nella hall c’era un giovane che aveva assistito alla scena: mi portarono subito all’ospedale, non camminavo dal dolore. Ma Luigi Giglia avvisò il prefetto di Firenze, che sapeva essere amico di mio padre. Due ore dopo il prefetto mi venne a prendere di persona e mi portò in una clinica, temendo che i fascisti tornassero a colpire. Sono diventato comunista con un calcio nei coglioni -. “Quellichelasinistra” che dicono che la “sinistra” non esiste più. “Quellichelasinistra” che credono davvero, nel profondo di sé stessi, come non sia possibile oggi dirsi a “sinistra”, della “sinistra”, o della stare a “sinistra”, tanto per starci, senza che tornino a primeggiare e vincere le parole-chiave ed intramontabili di “quellichelasinistra” hanno pensato sempre di non poter abbandonare, costi quel che costi: “l`eguaglianza, il senso di sé delle persone, la dignità delle persone per ciò che sono”. E non tanto per quel che hanno.

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