"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 25 giugno 2012

Cosecosì. 22 Un gregge che attraversava la strada seguendo un somaro.


A fianco. Sorrento. Teatro Tasso. Un balletto.
 
(…). La voce querula di Signorini, portavoce di Palazzo Chigi, annunciò che il governo aveva decretato l’uscita dall’eurozona e il passaggio alla Bungalira. Le banche sarebbero rimaste chiuse e i conti correnti congelati per permettere un’ordinata transizione. “Splendido!” pensai “Berlusconi ha mantenuto la promessa!” Mi prese un moto di orgoglio per aver eletto uno statista eccezionale. Noi Italiani avremmo recuperato la dignità. Con la sovranità monetaria avremmo svalutato a manetta, magari solo per dispetto alla kulona. Ci saremmo arricchiti come nababbi vendendo scarpe che tutto il mondo ci invidia. La spesa pubblica poteva raddoppiare all’istante, tanto stampando banconote a go go tutto si risolveva. Immaginavo quelle banconote fruscianti traboccare dalle mie tasche. Fu allora che mi si impresse l’immagine. Era un gregge che attraversava la strada seguendo un somaro. Al distributore la benzina era razionata perché le compagnie petrolifere non mandavano le autobotti. Dopo due ore di fila implorando riuscii a mettere 10 litri pagando 50 euro. Ero furibondo ma sapevo che l’indomani con le Bungalire, il ministro dell’Economia Santanchè avrebbe messo tutto a posto. L’indomani, le Bungalire non apparvero. I negozi avevano triplicato i prezzi e nessuno faceva credito. Mi ero portato solo 500 euro, tanto c’era il bancomat e poi il governo diceva che usare il contante è da criminali. I 500 euro finirono in due giorni. Fu un Natale mesto. In piazza, dopo la Messa nessuno parlava. I berluscones irriducibili affettavano entusiasmo. Il 26 da Roma ci avvertirono che benzina e cibo erano introvabili. Il governo aveva bloccato internet per evitare che i comunisti diffondessero il panico e anche i telefoni funzionavano male. Forse con l’apertura delle banche si sarebbe trovata una soluzione. Ma il 27 le banche rimasero chiuse. Sulla CNN un esperto spiegò che per le nuove banconote occorrevano almeno 6 mesi. Chi capiva l’inglese fu colto dal panico che si trasmise anche agli analfabeti. Chi aveva ancora qualche euro lo teneva stretto e comprava solo il minimo indispensabile, a prezzi ormai stratosferici. Ma molti avevano finito anche gli spiccioli ed erano alla fame. I malati che non potevano comprare le medicine si accalcavano negli ospedali, ma anche lì era tutto esaurito. Alla borsa nera si trovavano antibiotici, ma spesso erano taroccati. Il 6 gennaio su ordine dei ministri Santanchè e Scilipoti, le banche emisero assegni di piccolo taglio in Bungalire al tasso di cambio uno a uno con l’euro. La gente sospirando ritirò i Bungassegni. Ma quando cercarono di spenderli nessuno li accettò. Solo alcuni commercianti di fronte a bambini emaciati decisero di cambiare dieci Bungalire per un euro. Stipendi, pensioni e i fornitori vennero pagati dal governo Berlusconi in Bungacambiali della Banca d’Italia depositate su conto correnti bancari. Ma queste cambiali valevano meno di zero e l’inflazione raggiunse il 500% mensile. Tutti i movimenti di capitali con l’estero erano bloccati e il possesso di banconote straniere (euro inclusi) era punita con l’arresto. I fallimenti non si contavano. Le banche pretendevano i pagamenti dei debiti in euro, ma concedevano prestiti in Bungalire. La ministra Santanchè in Tv strillava con sicumera che con il 90% di svalutazione le merci italiane avrebbero invaso i mercati. Ma le imprese non avevano i soldi per pagare le materie prime e agli Italiani nessuno faceva credito. Il governo non era in grado di ripagare Bot e Cct per cui l’Italia era tagliata fuori dai circuiti finanziari. Con un’eccezione: Berlusconi. A sua insaputa aveva trasferito il patrimonio ai Caraibi prima di annunciare l’uscita dall’euro. Ora la gente normale per vivere è costretta al baratto. Gli stipendi sono solo un ricordo sbiadito. Sovrapposto a quell’immagine delle pecore. Un sogno terribile? Ovvero un incubo? Avete appena finito di leggere un “divertissement” a firma di Fabio Scacciavillani pubblicato su “il Fatto Quotidiano” col titolo “Altro che euro, arrivano le Bungalire”.  Ma siamo proprio sicuri che le situazioni rappresentate nel “divertissement” non si possano verificare una volta scacciata la moneta europea dalle tasche degli intronati del bel paese? Domanda più che legittima alla quale non è stata data risposta alcuna dai sedicenti esperti in materia. È tutto un rincorrersi di voci concitate che cercano di zittirsi vicendevolmente. A farne le spese sono la credibilità di persone ed istituzioni ridotte a macerie fumanti e la razionalità che dovrebbe essere fortemente utilizzata proprio nei momenti cruciali di confusione dei singoli e della collettività. Nulla di tutto questo. È giocoforza che in simili circostanze i furbi ed i demagoghi abbiano lo spazio insperato. Offerto loro dall’obnubilamento delle menti e delle coscienze. Si giustifica così e si gusta appieno il pregevole “divertissement”. Poiché è nei momenti di massima difficoltà e di confusione che il demagogo di turno, o i demagoghi di turno - ché anche questo primato ci spetta, annoverandovene due in contemporanea – trovano la via facile per raggiungere la “pancia” della “ggente” benpensante che, come nel “divertissement”, se ne fa una ragione di recupero della “dignità” perduta o mai avuta. Se ne fa una ragione, invece, e seriosamente, Eugenio Scalfari nell’ultimo Suo editoriale che ha per titolo “Grillo e Berlusconi all’assalto del potere”  quando scrive: (…). …molti italiani  -  a cominciare da Beppe Grillo e da Berlusconi  -  sono convinti che per l’Italia è più opportuno tornare alla lira. Sono forme di collettiva follia che si stanno purtroppo diffondendo. Ma che cosa ne pensano veramente gli italiani? Questa domanda è capitale perché non riguarda solo i nostri destini nazionali. (…). Non siamo una dittatura ma una democrazia. Fragile quanto si vuole, spesso percorsa da tentazioni populiste, soggetta al fascino di demagoghi incantatori, rappresentata da una classe dirigente non sempre (anzi quasi mai) all’altezza dei compiti che dovrebbe svolgere. Siamo comunque una democrazia basata sulle scelte del popolo sovrano. Ma il popolo sovrano procede a corrente alternata. Se esercita la sua sovranità tenendo conto degli interessi generali tutto andrà per il meglio; ma se privilegia tentazioni, seduzioni, clientele, voti di scambio, allora lo sfascio diventerà inevitabile. (…). Nell’intervista che Mario Monti ha dato a Repubblica nel quadro del nostro “meeting” bolognese, ad una domanda sul nostro futuro così ha risposto: “Quando mi si fa questa domanda mi viene da pensare all’ammontare eccezionalmente elevato del nostro debito pubblico. Sono 2 mila miliardi di euro, il 120 per cento del reddito nazionale, accumulato durante il decennio 1975-1985 e da allora mai diminuito. Che cosa è stato fatto con quella mole immensa di ricchezza che i risparmiatori hanno prestato allo Stato? Sono state costruite nuove e necessarie infrastrutture? È stata trasformata la pubblica amministrazione? È stata aperta la via alle giovani generazioni? È stato insomma fatto dell’Italia un Paese veramente europeo? A me non pare. Forse è venuto il momento che gli italiani si pongano questo problema”. Mentre Monti diceva quelle parole anch’io ho cercato di rispondere a quella domanda: che cosa abbiamo fatto noi italiani, noi cittadini elettori, noi popolo sovrano? Quante volte da allora il popolo sovrano è andato a votare? Si è mai posto quella domanda? Ha mai punito quella classe dirigente che adesso è definita la casta? Se è una casta, come mai è lì da trent’anni? Ma sbaglio il conto: se una casta c’è, essa ci governa dai tempi della Dc. Quarant’anni ha governato quel partito senza soluzioni di continuità, associando al governo, man mano che diventava necessario, i partiti laici prima e poi il Partito socialista. Il debito pubblico, l’immenso debito pubblico raggiunse il massimo ai tempi del duopolio tra Dc e Psi, Forlani, Andreotti, Craxi. Si chiamò “l’Italia da bere”. Il popolo sovrano prestava i soldi e ne riceveva pingui interessi ma anche elevata inflazione. “La nave va” si diceva. In realtà gli italiani di allora lasciarono il debito ai figli e ai nipoti e gli lasciarono anche la casta da loro votata e confermata. Adesso scaricare sul futuro il debito pubblico è diventato impossibile. La nave non va più, la zavorra va buttata fuori bordo. E che cosa fa il popolo sovrano? Si innamora del demagogo di turno che promette di cacciar via il primo governo che sta tentando di riportarci a galla. (…). Il demagogo di turno utilizza la rabbia proveniente dai sacrifici ma anche la faziosità di chi si frega le mani col tanto peggio tanto meglio. E finisce col trovare convergenze con il demagogo che fu messo in libera uscita otto mesi fa ed ora cerca di riemergere inalberando la bandiera dell’anti-euro e del ritorno alla lira. Due demagoghi, quello di ieri che vuole tornare al timone e quello di oggi che se ne vuole impadronire con le stesse ricette. Il primo ci ha condotto al punto in cui siamo, il secondo per ora ha conquistato il Comune di Parma un mese fa e non è ancora riuscito a fare la giunta. (…). La rabbia bisogna saperla indirizzare. La rabbia può servire a costruire scegliendo la saggezza e la responsabilità civile, oppure a distruggere affidandosi ancora una volta alla demagogia. Questa è la sfida cui il popolo sovrano dovrà rispondere. Il “divertissement” è assicurato a pochi. Agli altri il mugugno. Che non è rabbia.

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