"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 30 giugno 2012

Storiedallitalia. 17 L’antipolitica già al potere.


«Per me sono giorni difficili, ore dense di una fatica che non ho mai conosciuto così prolungata e stressante. Ma la politica non ammette pigrizia».
Dell’onorevole Elio Belcastro oggi si ricorda poco. È stato un responsabile della prima ora, anche sottosegretario all’Ambiente voluto da Berlusconi come segno di gratitudine. Belcastro è la punta di diamante del partito del Sud.
«Come una trottola vago tra l’Aspromonte e Gioia Tauro».
Gioiosa Jonica e Lamezia. «Rizziconi, Galatro».
Sta lavorando per dare un futuro a questo partito ancora fragile. «La fragilità intesa come fiore ancora gracile, che tarda a sbocciare, ma i cui petali sono già numerosi ».
Bellissima descrizione. Chi fa politica non ha un’ora libera. Anche quest’anno senza ferie, vero? «Già mi prefiguro i continui spostamenti calabresi, per far crescere i fiori di cui le ho parlato».
Quindi Monti non potrà contare sul suo impegno parlamentare agostano. «Non ci può fregare di meno del governo. Con tutto il rispetto, ma abbiamo altre priorità».
Ma voi siete responsabili ante litteram. E dunque veniva facile immaginarvi disciplinati e cooperanti. «Alt. Ieri era ieri, ma oggi è oggi ».
In effetti in Parlamento c’è fatica senza costrutto. «Ore di attesa, ammassati sui divani. Viene male alle gambe. E tutto quel tempo per fare cosa?».
Meglio a Rizziconi. «Come sa sono stato sindaco di Rizziconi, e adesso impegnato a dare un futuro alla Calabria».
Il partito del Sud è un gran bel sogno. «Le ho detto del fiore appena spuntato, ci siamo capiti».
Potrà essere, anche se l’ipotesi le appare sciagurata, che il voto non vi premi come è giusto attendersi. «Siamo pronti a fare la nostra parte, ma anche a rinunciare al seggio»
Il movimento di Grillo macina consensi e ruba un po’ a tutti. «Abbiamo molte cose in comune».
Ci sono trattative in vista? «E con chi parli? Amico mio, nessuno sa niente, neanche un nome…».
Si potrebbe tentare di approfondire… «Mancano gli interlocutori, ma c’è disponibilità assoluta al confronto»
Mica detto che a Grillo i responsabili non piacciano? «Siamo aperti a ogni scenario»
Sono certo che in agosto lei non sarà a Roma. «Non vedo perché dovrei stare qui».
Si diceva che i parlamentari sono dei vacanzieri smodati. «Prima, quand’ero avvocato, nessuno mi toglieva i 50 giorni di vacanza. Adesso non c’è un momento di pace»
Lei in estate girerà per l’Aspromonte, altro che Parlamento! «Ad agosto Monti vuole disturbare proprio me? Non sa che siamo all’opposizione oramai?».

Avete appena finito di leggere l’interessante, e per tanti versi illuminante assai, intervista all’onorevole avvocato Elio Belcastro, un “responsabile” alla “scilipoti” della prim’ora, eletto alla camera dei deputati in forza all’Mpa – un sedicente movimento per l’autonomia, autonomia da che cosa poi? Terribile ed imbarazzante domanda – ed impegnato nella fondazione di un partito nuovo, il Partito del Sud. Straordinario! L’intervista è stata concessa al quotidiano la Repubblica a firma di Antonello Caporale. Sullo stesso numero del quotidiano venivano riportate le seguenti rilevazioni: nei primi sei mesi dell’anno la Camera dei cosiddetti onorevoli deputati ha svolto solamente 80 – scrivo ottanta – sedute. Nello stesso periodo il monte ore complessivo dedicato alle sedute della Camera dai cosiddetti onorevoli deputati è stato di 380 ore – scrivo trecentottanta -. Il Senato della Repubblica ha fatto di meglio: nello stesso periodo ha tenuto ben (sic!) 99 sedute per un monte ore complessivo di 285 ore. Molte più sedute sì, ma più brevi, per carità. Figurati! Titolo della intervista: “Ore d’attesa ammassati sui divani del governo non mi frega di meno”. Illuminante. E sì che si era alla vigilia del vertice europeo durante il quale si sarebbero prese importantissime e delicatissime decisioni che avrebbero riguardato la vita ed ilo futuro di milioni di italiani. Ma a quel figuro non “mi frega di meno” del governo e di tutto ciò che si sarebbe deciso in quella sede. “Abbiamo altre priorità”. Bellissimo! Intanto un ministro della Repubblica dichiara, e smentisce, che il lavoro non è un “diritto”. Ha poi cercato di chiarire che si riferisse, nella sua dichiarazione, al mito del “posto”. Lo sprovveduto ministro – seppur tecnico – avrebbe voluto significare con il suo criptico messaggio che è contro ogni “posto” che non comporti un “lavoro”. Ha ragione. Ed allora, come metterla con i cosiddetti onorevoli deputati che occupano un “posto” quasi fisso con quella miseria di “lavoro” che svolgono? Non andrebbero mandati a casa? Ma chi dovrebbe farlo? Tanto per capirci; è il ministro della “paccata” di miliardi da concedere in cambio della riforma del mercato del lavoro, altrimenti “nisba”. Come fossero soldi suoi! Per non dire di quel tale Polillo – sottosegretario tecnico in corso – che ha inveito per l’interminabile lunghezza delle vacanze degli italiani. Parlava, anzi straparlava, sproloquiava, di mesi interminabili di vacanze degli italiani. E tutto ciò prima ancora della calura portata da “Caronte”. È che non se ne può più. “Bene mio che trovo”, staranno a strabenedire quelli dell’antipolitica. Poiché l’antipolitica è di già al potere. E della confusione e dello smarrimento collettivo si nutre e si pasce a piacimento. Non per niente ci fu un tale, primo ministro, che propose che a votare nel Parlamento, reso a quel tempo un unitile parlatorio, fossero solamente i capigruppo, considerata l’inutilità di tante ingombranti presenze di figuranti con tante «ore di attesa, ammassati sui divani. Viene male alle gambe. E tutto quel tempo per fare cosa?». Giusto. Giustissimo. Per fare che cosa? Se solo lo potessimo sapere! Ha scritto una importante riflessione sull’argomento Michele Prospero sul quotidiano l’Unità. Titolo: “L’antipolitica già al potere”. Vero. Verissimo. Con figuranti vecchi e nuovi. Capipopolo e capobastone. Come sempre. Ed è così che dall’antipolitica non se ne esce per un’”altra politica”.

(…). La rivolta contro l’èlite al potere in Italia c’è già stata e ha portato al governo proprio i campioni dell’antipolitica, che oggi sono travolti dai disgustosi episodi di malcostume. Nel duello tra la società civile riflessiva, che voleva abbattere la vecchia nomenclatura dei partiti con il mito di Westminster, e la rude microimpresa padana, che sognava un denaro senza gli obblighi del fisco, vinse la miscela avvelenata preparata dal magnate di Arcore. Egli arruolò, a fianco del suo partito di plastica, le truppe di terra assoldate nel rurale mondo periferico del nord, dove le sensibilità più elementari garantivano una maggiore disposizione al nuovo, all’inaudito, al folklorismo politico. Oggi è in crisi proprio l’antipolitica che ha sostituito i partiti con le due forze irregolari (Forza Italia e Lega) che avevano inopinatamente preso il potere in nome del nuovo. (…). Se non ricostruisce partiti dall’elevato profilo ideale, un Paese civile è condannato alla lenta marginalizzazione e al collasso storico. La forma del partito personale, che la destra ha inventato e imposto sulla scena come un segno della postmodernità, appare cadaverica. Non poteva essere altrimenti. L’usura del corpo del capo mette in discussione la sopravvivenza stessa del partito sprovvisto di quella «dignità che non muore» di cui parlavano i giuristi medievali come peculiarità del politico. Un partito di plastica o carismatico muore con il corpo del capo che declina o è ammaccato. Questo scostamento dai cardini della modernità politica occidentale ha ostacolato il funzionamento delle istituzioni, occultato il principio di legalità. (…). Come vent’anni fa, i persuasori palesi cavalcano l’antipolitica per abbattere tutti i partiti. La videopolitica lancia i fantasmi del partito del comico, del professore, del sindaco, del magistrato o le liste civiche di protesta. Una sciagura. Il verbo antipolitico e le metafore ultrademocratiche diventano il veicolo di una rivoluzione passiva che nel deserto impone un nuovo capo a un pubblico disorientato, demotivato, scoraggiato dagli scandali. La ricetta è quella di sempre: scaldare il cuore dell’indignazione per sparigliare anche a sinistra il nesso tra capi e popolo, e poi incassare a destra il via libera per la prosecuzione del piccolo mondo antico abitato da governatori celesti, politicanti senza pathos politico, miliardari divorati dal conflitto di interessi. Con una crisi sociale drammatica, la destra e i media dell’antipolitica a reti unificate preparano il suicidio della democrazia.

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