A fianco. Sorrento. Teatro Tasso. Un balletto.
(…). La voce querula di
Signorini, portavoce di Palazzo Chigi, annunciò che il governo aveva decretato
l’uscita dall’eurozona e il passaggio alla Bungalira. Le banche sarebbero
rimaste chiuse e i conti correnti congelati per permettere un’ordinata
transizione. “Splendido!” pensai “Berlusconi ha mantenuto la promessa!” Mi
prese un moto di orgoglio per aver eletto uno statista eccezionale. Noi
Italiani avremmo recuperato la dignità. Con la sovranità monetaria avremmo
svalutato a manetta, magari solo per dispetto alla kulona. Ci saremmo
arricchiti come nababbi vendendo scarpe che tutto il mondo ci invidia. La spesa
pubblica poteva raddoppiare all’istante, tanto stampando banconote a go go tutto
si risolveva. Immaginavo quelle banconote fruscianti traboccare dalle mie
tasche. Fu allora che mi si impresse l’immagine. Era un gregge che attraversava
la strada seguendo un somaro. Al distributore la benzina era razionata perché
le compagnie petrolifere non mandavano le autobotti. Dopo due ore di fila
implorando riuscii a mettere 10
litri pagando 50 euro. Ero furibondo ma sapevo che
l’indomani con le Bungalire, il ministro dell’Economia Santanchè avrebbe messo
tutto a posto. L’indomani, le Bungalire non apparvero. I negozi avevano
triplicato i prezzi e nessuno faceva credito. Mi ero portato solo 500 euro,
tanto c’era il bancomat e poi il governo diceva che usare il contante è da
criminali. I 500 euro finirono in due giorni. Fu un Natale mesto. In piazza,
dopo la Messa nessuno parlava. I berluscones irriducibili affettavano
entusiasmo. Il 26 da Roma ci avvertirono che benzina e cibo erano introvabili.
Il governo aveva bloccato internet per evitare che i comunisti diffondessero il
panico e anche i telefoni funzionavano male. Forse con l’apertura delle banche
si sarebbe trovata una soluzione. Ma il 27 le banche rimasero chiuse. Sulla CNN
un esperto spiegò che per le nuove banconote occorrevano almeno 6 mesi. Chi
capiva l’inglese fu colto dal panico che si trasmise anche agli analfabeti. Chi
aveva ancora qualche euro lo teneva stretto e comprava solo il minimo
indispensabile, a prezzi ormai stratosferici. Ma molti avevano finito anche gli
spiccioli ed erano alla fame. I malati che non potevano comprare le medicine si
accalcavano negli ospedali, ma anche lì era tutto esaurito. Alla borsa nera si
trovavano antibiotici, ma spesso erano taroccati. Il 6 gennaio su ordine dei
ministri Santanchè e Scilipoti, le banche emisero assegni di piccolo taglio in
Bungalire al tasso di cambio uno a uno con l’euro. La gente sospirando ritirò i
Bungassegni. Ma quando cercarono di spenderli nessuno li accettò. Solo alcuni
commercianti di fronte a bambini emaciati decisero di cambiare dieci Bungalire
per un euro. Stipendi, pensioni e i fornitori vennero pagati dal governo
Berlusconi in Bungacambiali della Banca d’Italia depositate su conto correnti
bancari. Ma queste cambiali valevano meno di zero e l’inflazione raggiunse il
500% mensile. Tutti i movimenti di capitali con l’estero erano bloccati e il
possesso di banconote straniere (euro inclusi) era punita con l’arresto. I
fallimenti non si contavano. Le banche pretendevano i pagamenti dei debiti in
euro, ma concedevano prestiti in Bungalire. La ministra Santanchè in Tv
strillava con sicumera che con il 90% di svalutazione le merci italiane
avrebbero invaso i mercati. Ma le imprese non avevano i soldi per pagare le
materie prime e agli Italiani nessuno faceva credito. Il governo non era in
grado di ripagare Bot e Cct per cui l’Italia era tagliata fuori dai circuiti
finanziari. Con un’eccezione: Berlusconi. A sua insaputa aveva trasferito il
patrimonio ai Caraibi prima di annunciare l’uscita dall’euro. Ora la gente
normale per vivere è costretta al baratto. Gli stipendi sono solo un ricordo
sbiadito. Sovrapposto a quell’immagine delle pecore. Un sogno
terribile? Ovvero un incubo? Avete appena finito di leggere un “divertissement”
a firma di Fabio Scacciavillani pubblicato su “il Fatto Quotidiano” col titolo “Altro che euro, arrivano le Bungalire”. Ma siamo proprio sicuri che le situazioni
rappresentate nel “divertissement” non si possano verificare una volta scacciata
la moneta europea dalle tasche degli intronati del bel paese? Domanda più che
legittima alla quale non è stata data risposta alcuna dai sedicenti esperti in
materia. È tutto un rincorrersi di voci concitate che cercano di zittirsi
vicendevolmente. A farne le spese sono la credibilità di persone ed istituzioni
ridotte a macerie fumanti e la razionalità che dovrebbe essere fortemente
utilizzata proprio nei momenti cruciali di confusione dei singoli e della
collettività. Nulla di tutto questo. È giocoforza che in simili circostanze i
furbi ed i demagoghi abbiano lo spazio insperato. Offerto loro
dall’obnubilamento delle menti e delle coscienze. Si giustifica così e si gusta
appieno il pregevole “divertissement”. Poiché è nei
momenti di massima difficoltà e di confusione che il demagogo di turno, o i
demagoghi di turno - ché anche questo primato ci spetta, annoverandovene due in
contemporanea – trovano la via facile per raggiungere la “pancia” della “ggente”
benpensante che, come nel “divertissement”, se ne fa una
ragione di recupero della “dignità” perduta o mai avuta. Se ne
fa una ragione, invece, e seriosamente, Eugenio Scalfari nell’ultimo Suo
editoriale che ha per titolo “Grillo e
Berlusconi all’assalto del potere”
quando scrive: (…). …molti italiani - a
cominciare da Beppe Grillo e da Berlusconi
- sono convinti che per l’Italia
è più opportuno tornare alla lira. Sono forme di collettiva follia che si
stanno purtroppo diffondendo. Ma che cosa ne pensano veramente gli italiani?
Questa domanda è capitale perché non riguarda solo i nostri destini nazionali.
(…). Non siamo una dittatura ma una democrazia. Fragile quanto si vuole, spesso
percorsa da tentazioni populiste, soggetta al fascino di demagoghi incantatori,
rappresentata da una classe dirigente non sempre (anzi quasi mai) all’altezza
dei compiti che dovrebbe svolgere. Siamo comunque una democrazia basata sulle
scelte del popolo sovrano. Ma il popolo sovrano procede a corrente alternata.
Se esercita la sua sovranità tenendo conto degli interessi generali tutto andrà
per il meglio; ma se privilegia tentazioni, seduzioni, clientele, voti di
scambio, allora lo sfascio diventerà inevitabile. (…). Nell’intervista che
Mario Monti ha dato a Repubblica nel quadro del nostro “meeting” bolognese, ad
una domanda sul nostro futuro così ha risposto: “Quando mi si fa questa domanda
mi viene da pensare all’ammontare eccezionalmente elevato del nostro debito
pubblico. Sono 2 mila miliardi di euro, il 120 per cento del reddito nazionale,
accumulato durante il decennio 1975-1985 e da allora mai diminuito. Che cosa è
stato fatto con quella mole immensa di ricchezza che i risparmiatori hanno prestato
allo Stato? Sono state costruite nuove e necessarie infrastrutture? È stata
trasformata la pubblica amministrazione? È stata aperta la via alle giovani
generazioni? È stato insomma fatto dell’Italia un Paese veramente europeo? A me
non pare. Forse è venuto il momento che gli italiani si pongano questo
problema”. Mentre Monti diceva quelle parole anch’io ho cercato di rispondere a
quella domanda: che cosa abbiamo fatto noi italiani, noi cittadini elettori,
noi popolo sovrano? Quante volte da allora il popolo sovrano è andato a votare?
Si è mai posto quella domanda? Ha mai punito quella classe dirigente che adesso
è definita la casta? Se è una casta, come mai è lì da trent’anni? Ma sbaglio il
conto: se una casta c’è, essa ci governa dai tempi della Dc. Quarant’anni ha
governato quel partito senza soluzioni di continuità, associando al governo,
man mano che diventava necessario, i partiti laici prima e poi il Partito
socialista. Il debito pubblico, l’immenso debito pubblico raggiunse il massimo
ai tempi del duopolio tra Dc e Psi, Forlani, Andreotti, Craxi. Si chiamò
“l’Italia da bere”. Il popolo sovrano prestava i soldi e ne riceveva pingui
interessi ma anche elevata inflazione. “La nave va” si diceva. In realtà gli
italiani di allora lasciarono il debito ai figli e ai nipoti e gli lasciarono
anche la casta da loro votata e confermata. Adesso scaricare sul futuro il
debito pubblico è diventato impossibile. La nave non va più, la zavorra va
buttata fuori bordo. E che cosa fa il popolo sovrano? Si innamora del demagogo
di turno che promette di cacciar via il primo governo che sta tentando di
riportarci a galla. (…). Il demagogo di turno utilizza la rabbia proveniente
dai sacrifici ma anche la faziosità di chi si frega le mani col tanto peggio
tanto meglio. E finisce col trovare convergenze con il demagogo che fu messo in
libera uscita otto mesi fa ed ora cerca di riemergere inalberando la bandiera
dell’anti-euro e del ritorno alla lira. Due demagoghi, quello di ieri che vuole
tornare al timone e quello di oggi che se ne vuole impadronire con le stesse
ricette. Il primo ci ha condotto al punto in cui siamo, il secondo per ora ha
conquistato il Comune di Parma un mese fa e non è ancora riuscito a fare la
giunta. (…). La rabbia bisogna saperla indirizzare. La rabbia può servire a
costruire scegliendo la saggezza e la responsabilità civile, oppure a
distruggere affidandosi ancora una volta alla demagogia. Questa è la sfida cui
il popolo sovrano dovrà rispondere. Il “divertissement” è
assicurato a pochi. Agli altri il mugugno. Che non è rabbia.
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