Ha scritto il professor Umberto Galimberti sul
settimanale “D” del 10 di gennaio 2015 “Di
cosa parliamo quando parliamo di Dio”, che di seguito propongo. Un tema
arduo, un’impresa improba. Non certo per l’illustre Autore avvezzo a sì
scottanti argomenti dell’esistenza umana. Io la prendo alla larga. E racconto
una storiella sentita – come altre - da G. B. È bene immaginarne lo scenario.
La collocazione più rispondente sarebbe di un giardino pubblico all’interno del
quale si aggirano i protagonisti della storiella. Li indicherò, per obiettiva
convenienza ed opportunità, come l’“uomouno” e l’“uomodue”. “Uomouno” si è
appena sollevato dalla panchina sulla quale ha provato, stravaccato, a dare uno
sguardo fuggevole al suo quotidiano sportivo consueto. Sollevatosi stancamente
dalla panchina si avvia con passo tardo per gli stretti sentieri del giardino
pubblico. Nell’incedere suo, quasi indolente, scorge in lontananza “uomodue”,
amico carissimo da tanto tempo non più incontrato. Lo attira il gesticolare di
“uomodue” che, avanzando per lo stesso stretto sentiero, agita forsennatamente
in alto ambedue gli arti superiori. Giunti “uomouno” ed “uomodue” ad una più
ravvicinata distanza, “uomouno” s’avvede come “uomodue” descriva per l’aere
circostante archi divergenti di circonferenze con ambedue gli arti superiori
puntando entrambi gli indici in alto come ad indicare un qualcosa, un cielo,
solamente a lui resisi visibili. “Uomouno” è preso da un ragionevole
sbigottimento. Quell’agitarsi di braccia per l’aere mette “uomouno” in una inevitabile, vivissima
agitazione. Vie d’uscite da quella imbarazzante situazione non si intravedono.
Come suol dirsi, “il dado è tratto”. Giunti “uomouno” ed “uomodue” ad un tiro
di voce il primo non trova di meglio che esordire con un - Come va? -.
“Uomodue”: -Va! -, con l’incessante agitarsi degli arti inferiori e gli
immancabili indici puntati verso il cielo terso. - Va come – riesce a proferire
“uomouno”. E fu a questo punto che da “uomodue” proruppe un inarrestabile profluvio di parole e parole sulle sue
personali e familiari disavventure. Un’atrocità. Da lasciare “uomouno”, come
suol dirsi, senza parole. Accennò solamente “uomouno”: - E con la salute? -.
“Uomodue”: - Va! -. “Uomouno”: - Mi pareva che…Mi pare che tu sia un tantino
inquieto -. “Uomodue”: - Ti sembro agitato? -. “Uomouno”: - Non saprei… -.
L’imbarazzo di “uomouno” era divenuto traboccante. “Uomodue”: - Per via che
agito per l’aere le braccia? -. “Uomouno”, con immenso imbarazzo: - Non saprei…
-. “Uomodue”: - È che cerco dio -. – Bene – fa “uomouno” rinfrancato. – È una
buona cosa cercare dio. Ma perché lo fai con quel tuo agitare le braccia? -. Ed
“uomodue”: - È vero o non è vero che dio sta in ogni luogo, in cielo in terra?
Ecco, se questo è vero un giorno mi riuscirà sicuramente di infilargli un dito
in quell’occhio che tutto vede e che non ha visto le mie sventure, per
accecarlo -. Fine della storiella. Ecco, “uomodue” aveva un ben distinta idea e
raffigurazione di quel dio dal quale si sentiva ingiustamente abbandonato e
lasciato solo al suo misero destino. Un “occhio” solo a rappresentare uno dei
misteri più insondabili ed indecifrabili dell’essenza umana. Per l’ostico argomento
“alla ricerca di un dio” ne ha scritto per l’appunto, forte della Sua scienza,
il professor Galimberti:
Perché tante discussioni sulla religione e
la fede, proprio nell'età del nichilismo? È segno di un bisogno, certo. Ma
anche di un equivoco... Da un po' di tempo la gran parte delle lettere che
ricevo (…) riguardano problematiche religiose relative all'esistenza o alla non
esistenza di Dio, alle contraddizioni contenute nei testi biblici,
all'incoerenza della chiesa rispetto al dettato evangelico, alle diverse
posizioni spesso contrastanti dei pontefici che si succedono. E questo da parte
sia di credenti, non credenti e agnostici. Eppure la questione potrebbe essere
risolta se solo si prestasse un po' di attenzione all'annuncio di Nietzsche
quando dice: «Dio è morto». Dove in gioco non è la questione se Dio esiste o
non esiste, perché, se uno muore, vuol dire che c'era un tempo in cui - per
esempio nel Medioevo - era vivo, tanto che l'arte era arte sacra, la
letteratura parlava di inferno, purgatorio, paradiso, persino la donna era
donna-angelo. Allora Dio era vivo al punto che, se togliessimo la parola
"Dio", non capiremmo nulla di quell'epoca. Ma se la togliamo oggi,
capiremmo ancora il mondo in cui viviamo? La risposta è sì. Non lo capiremmo,
il nostro mondo, se togliessimo la parola "denaro" o la parola
"tecnica". Quindi Dio è davvero morto. La "morte di Dio", a
parere di Nietzsche, inaugura l'epoca del nichilismo, che così definisce:
«Manca lo scopo, manca la risposta al perché, tutti i valori si svalutano». Lo
scopo riguarda il futuro che il cristianesimo ha caricato di promesse (la
salvezza), e questa sua visione ottimistica ha contaminato la scienza che parla
di progresso, il marxismo che ipotizza un futuro di giustizia sociale sulla
terra, la psicoanalisi che guarda al futuro come alla risoluzione possibile
delle nevrosi contratte nel passato. Ma se Dio è morto, questo sguardo
ottimistico sul futuro si obnubila, e allora, in mancanza di uno scopo, resta
inevasa anche la domanda relativa al perché stare al mondo, se non è più
reperibile un senso nella vita e tantomeno la speranza a trovarlo nel futuro,
che oggi appare non più come una promessa, ma come una minaccia. E i giovani
sono i primi a saperlo. Sembra allora che, paradossalmente, sia proprio il
nichilismo a inaugurare una ricerca di Dio per trovare una ragione di vita, una
consolazione al dolore, persino un'accettazione del mistero per le cose che non
si capiscono, come il male del mondo, ma che con la fede si ha in qualche modo
la fiducia che rientrino in un disegno di Dio che a noi sfugge. A questo punto
due considerazioni. La prima è che intorno alla religione non si deve discutere
con gli strumenti della ragione, (…), perché la religione è un evento
pre-razionale che non risponde alla logica ma al cuore. La seconda è che non si
supera il nichilismo conseguente alla morte di Dio tentando, con un processo
regressivo, di recuperare Dio e con lui la speranza nel futuro, e quindi il
senso della vita che era assicurato quando Dio era vivo. Oggi che Dio è morto,
la speranza nel futuro può essere recuperata solo con una massiccia educazione
dell'umanità, fidandoci ancora una volta di quell'affermazione di Nietzsche
secondo il quale «l'uomo è un animale non ancora stabilizzato". Quindi ha
qualche chance ancora, che non può essere affidata come un tempo alla
provvidenza, ma a un impegno collettivo e su vasta scala per l'educazione
dell'uomo. Per dire dell’indecifrabilità di un dio che sia.
"È inutile che la ragione domandi al cuore prove dei suoi principi per darvi il proprio consenso, quanto sarebbe ridicolo che il cuore chiedesse alla ragione un sentimento di tutte le proporzioni che essa dimostra per indurti ad accettarle". Blaise Pascal.
RispondiElimina"La fede, come l'amore, non passa attraverso la ragione". Hermann Hesse.
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