Da “Un
minimo sapere: imparare a leggere” di Giorgio De Rienzo – ordinario di
letteratura italiana – su il “Corriere della sera” del 29 di maggio dell’anno
2001: (…). …la lettura di un libro si può legittimamente assimilare a una
storia d’amore perché il leggere, se è riflessivo, comporta un incontro e una
intensa frequentazione. E una storia d’amore è sempre, o meglio dovrebbe essere
sempre, di per sé, un’avventura della conoscenza. In amore si può adorare
ciecamente una donna oppure sovrapporre il proprio “ io “ a lei. Così nel
leggere si può diventare aggressivi e cercare in un libro soltanto ciò che ci
appaga ed entra in sintonia con noi, ovvero ci si può abbandonare a una sorta
di mistica contemplazione. Il pericolo è l’annullamento dell’altro oppure di
sé. (…). …c’è il libro che traduce una complessa interpretazione del mondo
propria di chi l’ha scritto e l’ha consegnato agli altri, affidando a loro con
questa sua interpretazione anche la propria cultura, e ci siamo noi che
leggiamo, ricchi a nostra volta di una cultura, di un desiderio di domande, di
un’attesa di risposte. (…). …attraverso la lettura attenta , noi seguiamo per
decifrare il modo in cui l’autore del libro esprime la propria visione della
realtà, ci porterà dentro ai suoi progetti e alle sue attese, ci coinvolgerà
nei gusti e nei comportamenti, nei problemi e negli interessi che gli
appartengono, ci svelerà le sue ricchezze e le sue miserie. La nostra
partecipazione a tutto ciò finirà con l’arricchire il nostro personale modo di
porci di fronte al mondo: potrà insegnarci altre prospettive da cui
affacciarci, altre angolature da cui osservare ciò che accade intorno a noi.
Nel corso della lettura potrà accaderci di riconoscere coincidenze tra i nostri
sentimenti e quelli che il libro espone, tra i
nostri pensieri e i pensieri altrui. Sarà di certo una grande gioia. Ne
verrà un impagabile senso di compagnia. Ma sarà altrettanto esaltante scoprire
sentimenti di cui noi non siamo stati finora capaci, incontrare pensieri che
non ci sono mai appartenuti. È questo il senso di qualsiasi avventura della
conoscenza.
Da “Imparate
a leggere” di Umberto Galimberti sul
quotidiano “la Repubblica” del 18 di ottobre dell’anno 2003: (…).
…chi non legge è un vero e proprio handicappato, che quando ama usa schemi
elementari perché non conosce le mille variazioni dell’amore, quando soffre non
sa come cavarsela e si chiude in un mutismo tipico di chi non ha appreso da
nessuna parte come si dialoga con se stessi, quando incontra gli amici dice con
forza e quasi con vanto : “Io sarò ignorante, però…” e dopo quel “però” una
cascata di scemenze. Chi non legge è un vero e proprio handicappato, che, per
non rendersene conto, ha un’unica possibilità: quella di frequentare gente come
lui, finché non giunge a quella terza età della vita, dopo la giovinezza e la
maturità, in cui non sa come passare il tempo, e perciò trascorre i suoi giorni
tra la noia e la malinconia. Ma ormai non c’è più niente da fare. Infatti
quelli che dicono: “ quando vado in pensione incomincerò a leggere “ mentono a
se stessi, perché la lettura o la si comincia da piccoli o non la si comincia
più. E così i vecchi perdono quella che potrebbe essere la chance più
significativa della loro età: uscire dal mondo reale, che a loro non offre più
tante possibilità, soprattutto nel nostro mondo ammalato di giovalinismo, per
entrare in quel mondo immaginativo e fantastico che non è tanto figura
d’evasione, ma teatro d’interiorità. Quando il mondo esterno più non ci chiama,
perché non articolare quello interno, non con quei quattro pensieri che
assillano i vecchi, ma con quei grandiosi scenari che i libri offrono a chi li
ha frequentati per tutta la vita? (…). …forse la cosa più importante è avere
insegnato a suo tempo la lettura, unico vero elemento di autonomia per
uscire da una vita dove i progetti sono
caduchi, le amicizie si diradano, la solitudine incombe, e la mancata
frequentazione dei libri non consente di accedere ad altri mondi, né di
instaurare altri dialoghi, né di provare altre emozioni che non siano quelle
miserabili che affliggono più per la loro povertà che per la loro intensità. Ma
per questo bisogna incominciare da piccoli, come in tutte le cose della vita.
Forse il libro è la più efficace assicurazione, non dico per la serenità della
vecchiaia, ma per la sua vivacità, perché offre, accanto al solito monotono
modo di essere al mondo, altri modi, altri spunti, altre curiosità che i libri,
questi scrigni di vita interiore, possono regalare come spazi alternativi
d’esistenza. Diffidate di chi non legge. E mostrate tutta la vostra noia quando
ascoltate le loro parole.
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