"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 31 ottobre 2015

Uominiedio. 20 “Sul sentiero del sacro”.



Ha riportato nel Suo scritto “A proposito del sacro” – sul settimanale “D” del 16 di aprile dell’anno 2011 – il professor Umberto Galimberti quanto ha annotato Carl Gustav Jung a proposito del “sacro”: Il sacro è stato presentito dall'umanità prima di temere o di invocare qualsiasi divinità. Dio, infatti, nel sacro è arrivato con molto ritardo. Il “sacro” sembra quindi connaturato alla vicenda umana. Ed a proposito del mistero del “sacro”, a detta del grande studioso svizzero che è stato uno psichiatra sì ma anche uno psicoanalista ed un antropologo, la sua nascita nel cuore dell’uomo sembra abbia abbondantemente anticipato la “creazione” di una qualsivoglia figura di Dio. Una storia che sconfina per l’appunto nel mistero più assoluto del “sacro” da me vissuta è allora da raccontarsi tutta. S.V. ne è il protagonista assoluto ed il “sacro” ne è lo scenario inquietante – almeno per chi come lo scrivente non è incline ad una accettazione che faccia a pugni con il senso del reale - all’interno del quale tutta la storia si è svolta. S.V. acquista tempo addietro da un rigattiere un quadro raffigurante l’arcangelo Michele nell’atteggiamento suo di indomito cavaliere che affronta il male per sconfiggerlo. La mia incredulità per angeli ed arcangeli, serafini e cherubini è prossima sempre, senza se e senza ma, a toccare nel merito valori assoluti. Tanto più ed a maggior ragione per la rappresentata nel dipinto cruenta battaglia di quell’indomito cavaliere contro il male in difesa della fede in Dio contro le scatenate orde del principe dei demoni, ovvero quel Lucifero divenuto il Satana che con Michele rappresentava, nel celeste empireo, la coppia angelica per definizione, battaglia da ritenersi persa in considerazione del fatto che oggigiorno la fede in Dio delle umane genti lascia molto a desiderare. Orbene S.V. acquista il quadro ignaro di quanto gli potrà accadere. Ed accade che S.V. abbia una visione di quell’invincibile arcangelo – anzi più visioni, almeno tre se non erro – che gli impongono di dare un luogo che sia di venerazione a quell’immagine dipinta, un luogo peraltro ben definito. Non resta a S.V. che rintracciare quel tale luogo le cui uniche coordinate ricevute indicano di una fontana e dei resti di antichi manufatti. La ricerca affannosa conduce S.V. in un luogo inesplorato che oggigiorno è possibile determinare essere all’interno del maestoso, pietroso Parco delle Madonie nelle contrade del borgo di Petralia Sottana, nella terra del Mongibello e del Lilibeo. È in questo luogo aspro e brullo che S.V. ha dato “casa” al dipinto del suo arcangelo Michele.
Ho potuto visitare di persona il luogo, ammirare la maestà di quella natura, il silenzio profondo che vi domina. L’ascesa al luogo non è dei più agevoli, ma osservare lo stuolo di persone delle più svariate età e condizioni che compuntamente si è inerpicato per uno scosceso sentiero ha riempito il mio cuore di un senso profondo di pace che raramente sono uso a provare. Mi capita d’essere rapito - come avvenuto in quel parco, in un giornata solare e tra quella gente - all’interno magari di quelle straordinarie cattedrali gotiche la nudità delle quali rimanda alla ricerca di quel rapporto diretto col “sacro” che non abbia bisogno della intermediazione prodotta dallo stordimento del decadente “barocco” che domina in quasi tutti gli edifici atti alla fede del bel paese. Ritengo di dover essere grato a S.V. per quella straordinaria occasione offertami ed inaspettatamente trovata affinché l’alito possente del “sacro” si sia fatto sentire impetuoso calati come si era nella maestà di quei luoghi aridi e spogli, con il volteggiare lento nel limpido cielo di quei pochi uccelli che riescono a sopravvivere in quella situazione ambientale difficile. E poi in lontananza la maestà del Mongibello fumante mi è stato come un rimando a quel senso del “sacro” che la quotidianità ha scacciato e scaccia dalla vita e dai pensieri di gran parte degli esseri umani. Ha scritto a proposito del “sacro” il professor Galimberti: (…) Il riconoscimento della ragione in tutta la storia della Chiesa non c'è mai stato. Infatti da Agostino a Benedetto XVI, la ragione è sempre stata subordinata alla fede (philosophia ancilla theologiae), e l'illuminismo che ne rivendicava il primato e che Kant ha definito "l'uscita dell'umanità da uno stato di minorità" è sempre stato fortemente osteggiato dalla Chiesa. (…). …quando parlo del "sacro" mi riferisco a quella confusione dei codici che antecede la nascita della ragione, che gli uomini hanno inaugurato per salvarsi proprio dalla dimensione del sacro, dove nulla è discernibile, nessun codice tiene, dove in gioco sono quelle situazioni limite di violenza e di sessualità selvaggia per contenere le quali ogni comunità si è provvista di quei regolatori del sacro che sono i "sacerdoti", interpreti della religione che, come vuole la parola, recinge (re-legere) l'area del sacro, tenendola separata dalla comunità che, qualora ne venisse investita, andrebbe incontro alla sua distruzione. Non a caso "sacro" è parola indoeuropea che significa "separato". Prima della ragione è stata la religione a difenderci dal sacro, da quell'indifferenziato che Eraclito così ben descrive: "Il dio è giorno e notte, inverno e estate, guerra e pace, sazietà e fame" (vede la confusione dei codici), mentre "l'uomo ritiene giusta una cosa e ingiusta l'altra", ossia instaura le differenze uscendo dall'indifferenziato, dove abitano potenze che l'uomo teme perché non può controllare, e da cui è però anche attratto come lo si può essere da ciò da cui ci si è emancipati. Ma per quanto emancipati, il sacro ci abita in quella forma che siamo soliti chiamare "follia", che altro non è se non confusione dei codici e ricaduta nell'indifferenziato. Da questa ricaduta, sempre possibile e mai definitivamente scongiurata, ci hanno difeso i riti religiosi, e poi i comandamenti, e poi i ragionamenti (più nobili, ma insieme più fragili dei riti), per cui tra religione e ragione non vedo tanto un'”opposizione", quanto una "successione" nel difenderci dal sacro. Prima la religione, con i suoi riti, poi la ragione con i suoi ragionamenti. E quando dico che la religione ci consente un contatto col sacro senza farci naufragare nel sacro, dico che compie un'opera benefica, perché il sacro ci abita comunque e non può essere semplicemente rimosso, perché il rimosso ritorna e a volte in maniera devastante. Il problema è di capire se oggi la religione, e in particolare quella cristiana, ha ancora qualche contatto col sacro, per difendere l'umanità dal sacro senza rimuoverne l'indiscutibile e minacciosa presenza. A giudicare di che cosa oggi la Chiesa si occupa, penso di no.

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