Ha riportato nel Suo scritto “A proposito del sacro” – sul settimanale
“D” del 16 di aprile dell’anno 2011 – il professor Umberto Galimberti quanto ha
annotato Carl Gustav Jung a proposito del “sacro”: Il sacro è stato presentito
dall'umanità prima di temere o di invocare qualsiasi divinità. Dio, infatti,
nel sacro è arrivato con molto ritardo. Il “sacro” sembra quindi connaturato
alla vicenda umana. Ed a proposito del mistero del “sacro”, a detta del
grande studioso svizzero che è stato uno psichiatra sì ma anche uno psicoanalista
ed un antropologo, la sua nascita nel cuore dell’uomo sembra abbia abbondantemente
anticipato la “creazione” di una qualsivoglia figura di Dio. Una storia che
sconfina per l’appunto nel mistero più assoluto del “sacro” da me vissuta è allora
da raccontarsi tutta. S.V. ne è il protagonista assoluto ed il “sacro”
ne è lo scenario inquietante – almeno per chi come lo scrivente non è incline
ad una accettazione che faccia a pugni con il senso del reale - all’interno del
quale tutta la storia si è svolta. S.V. acquista tempo addietro da un
rigattiere un quadro raffigurante l’arcangelo Michele nell’atteggiamento suo di
indomito cavaliere che affronta il male per sconfiggerlo. La mia incredulità
per angeli ed arcangeli, serafini e cherubini è prossima sempre, senza se e
senza ma, a toccare nel merito valori assoluti. Tanto più ed a maggior ragione per
la rappresentata nel dipinto cruenta battaglia di quell’indomito cavaliere
contro il male in difesa della fede in Dio contro le scatenate orde del principe
dei demoni, ovvero quel Lucifero divenuto il Satana che con Michele rappresentava,
nel celeste empireo, la coppia angelica per definizione, battaglia da ritenersi
persa in considerazione del fatto che oggigiorno la fede in Dio delle umane
genti lascia molto a desiderare. Orbene S.V. acquista il quadro ignaro di
quanto gli potrà accadere. Ed accade che S.V. abbia una visione di quell’invincibile
arcangelo – anzi più visioni, almeno tre se non erro – che gli impongono di dare
un luogo che sia di venerazione a quell’immagine dipinta, un luogo peraltro ben
definito. Non resta a S.V. che rintracciare quel tale luogo le cui uniche
coordinate ricevute indicano di una fontana e dei resti di antichi manufatti. La
ricerca affannosa conduce S.V. in un luogo inesplorato che oggigiorno è
possibile determinare essere all’interno del maestoso, pietroso Parco delle Madonie
nelle contrade del borgo di Petralia Sottana, nella terra del Mongibello e del
Lilibeo. È in questo luogo aspro e brullo che S.V. ha dato “casa” al dipinto del
suo arcangelo Michele.
Ho potuto visitare di persona il luogo, ammirare la
maestà di quella natura, il silenzio profondo che vi domina. L’ascesa al luogo
non è dei più agevoli, ma osservare lo stuolo di persone delle più svariate età
e condizioni che compuntamente si è inerpicato per uno scosceso sentiero ha
riempito il mio cuore di un senso profondo di pace che raramente sono uso a
provare. Mi capita d’essere rapito - come avvenuto in quel parco, in un giornata
solare e tra quella gente - all’interno magari di quelle straordinarie
cattedrali gotiche la nudità delle quali rimanda alla ricerca di quel rapporto diretto
col “sacro” che non abbia bisogno della intermediazione prodotta dallo stordimento
del decadente “barocco” che domina in quasi tutti gli edifici atti alla fede del
bel paese. Ritengo di dover essere grato a S.V. per quella straordinaria
occasione offertami ed inaspettatamente trovata affinché l’alito possente del “sacro”
si sia fatto sentire impetuoso calati come si era nella maestà di quei luoghi
aridi e spogli, con il volteggiare lento nel limpido cielo di quei pochi uccelli
che riescono a sopravvivere in quella situazione ambientale difficile. E poi in
lontananza la maestà del Mongibello fumante mi è stato come un rimando a quel
senso del “sacro” che la quotidianità ha scacciato e scaccia dalla vita e
dai pensieri di gran parte degli esseri umani. Ha scritto a proposito del “sacro”
il professor Galimberti: (…) Il riconoscimento della ragione in tutta
la storia della Chiesa non c'è mai stato. Infatti da Agostino a Benedetto XVI,
la ragione è sempre stata subordinata alla fede (philosophia ancilla
theologiae), e l'illuminismo che ne rivendicava il primato e che Kant ha
definito "l'uscita dell'umanità da uno stato di minorità" è sempre
stato fortemente osteggiato dalla Chiesa. (…). …quando parlo del
"sacro" mi riferisco a quella confusione dei codici che antecede la
nascita della ragione, che gli uomini hanno inaugurato per salvarsi proprio
dalla dimensione del sacro, dove nulla è discernibile, nessun codice tiene,
dove in gioco sono quelle situazioni limite di violenza e di sessualità
selvaggia per contenere le quali ogni comunità si è provvista di quei
regolatori del sacro che sono i "sacerdoti", interpreti della religione
che, come vuole la parola, recinge (re-legere) l'area del sacro, tenendola
separata dalla comunità che, qualora ne venisse investita, andrebbe incontro
alla sua distruzione. Non a caso "sacro" è parola indoeuropea che
significa "separato". Prima della ragione è stata la religione a
difenderci dal sacro, da quell'indifferenziato che Eraclito così ben descrive:
"Il dio è giorno e notte, inverno e estate, guerra e pace, sazietà e
fame" (vede la confusione dei codici), mentre "l'uomo ritiene giusta
una cosa e ingiusta l'altra", ossia instaura le differenze uscendo
dall'indifferenziato, dove abitano potenze che l'uomo teme perché non può
controllare, e da cui è però anche attratto come lo si può essere da ciò da cui
ci si è emancipati. Ma per quanto emancipati, il sacro ci abita in quella forma
che siamo soliti chiamare "follia", che altro non è se non confusione
dei codici e ricaduta nell'indifferenziato. Da questa ricaduta, sempre
possibile e mai definitivamente scongiurata, ci hanno difeso i riti religiosi,
e poi i comandamenti, e poi i ragionamenti (più nobili, ma insieme più fragili
dei riti), per cui tra religione e ragione non vedo tanto un'”opposizione",
quanto una "successione" nel difenderci dal sacro. Prima la
religione, con i suoi riti, poi la ragione con i suoi ragionamenti. E quando
dico che la religione ci consente un contatto col sacro senza farci naufragare
nel sacro, dico che compie un'opera benefica, perché il sacro ci abita comunque
e non può essere semplicemente rimosso, perché il rimosso ritorna e a volte in
maniera devastante. Il problema è di capire se oggi la religione, e in
particolare quella cristiana, ha ancora qualche contatto col sacro, per
difendere l'umanità dal sacro senza rimuoverne l'indiscutibile e minacciosa
presenza. A giudicare di che cosa oggi la Chiesa si occupa, penso di no.
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