Da “Tax
Ruling, se il Fisco ha le porte girevoli” di Fabio Bogo, sul settimanale
“Affari&Finanza” del 12 di ottobre 2015: (…). …in campo fiscale spesso le
porte sono girevoli, e quello che entra da una parte magari esce dall’altra. È il
caso del limite massimo di contanti che è possibile usare per i pagamenti, la
“gabbia” che ha lo scopo di tracciare i flussi di denaro e che costituisce un
forte deterrente all’evasione fiscale. Il governo Berlusconi nel 2008 lo aveva
fissato in 12.500 euro. Il governo Monti nel 2011 lo ha ridotto a 1.000 euro,
livello attualmente in vigore. Adesso è ripartita la corsa al rialzo e l’ultima
proposta presentata in parlamento lo prevede a quota 3.500 euro, soglia oltre
la quale scatta l’obbligo di utilizzare assegni, bonifici o carte di credito.
Oltre la quale, insomma, è necessario essere identificati. Il primo a ventilare
la possibilità di modificare la soglia è stato il premier Matteo Renzi: nel
varco aperto si sono precipitati rari colleghi del Pd e in forze quelli di
Forza Italia e Ncd con il supporto delle organizzazioni del commercio. La
giustificazione è quella di ridare “il giusto sostegno ai consumi” e allinearsi
ai livelli in vigore in altri paesi europei. In effetti Germania e Olanda non
hanno alcun limite al pagamento in contanti, in Spagna il tetto è di 2.500
euro, in Belgio e Francia di 3mila. I sostenitori dell’abolizione del tetto
dimenticano però altre particolarità italiane, e non tutte virtuose. Siamo il
paese europeo con il maggior numero di persone “unbanked”, cioè restie ad usare
canali bancari per le loro transazioni. Questa preferenza per i contanti (il 67
per cento delle transazioni avviene cash) genera costi di gestione pari a 4
miliardi per il canale bancario e a 8 miliardi per il sistema paese. Siamo il
paese europeo con la più ampia economia sommersa, che sfugge ad ogni tipo di
rilevazione perché scorre su canali in “nero”, alimentati appunto dalla non
tracciabilità dei flussi finanziari. Questa anomalia – secondo le stime Istat –
genera un volume che oscilla tra i 255 e i 275 miliardi di euro: vale tra il
16,3 per cento ed il 17,5 per cento del Prodotto interno lordo. Siamo
soprattutto il paese che, a causa dell’imponibile sottratto al fisco dall’economia
in nero, subisce il maggior danno al gettito dell’erario. Questa anomalia fa si
che l’evasione fiscale italiana sia il triplo di quella spagnola, il doppio di
quella inglese, il 30 per cento in più di quella tedesca. Scriveva l‘Agenzia
delle Entrate un anno fa: “Al fine di contrastare fenomeni evasivi ed elusivi
complessi è prioritario incentivare l’uso di strumenti tracciabili per
effettuare pagamenti in ogni ambito. La riduzione del contante è una delle
chiavi per la lotta all’evasione”. E l’evasione sottrae alle casse dello Stato
mediamente 30 miliardi di euro l’anno. Più o meno l’ammontare della manovra
contenuta nella legge di stabilità per il 2016. Sarebbe il caso che qualcuno
non se lo dimenticasse.
Da “Tremila
in contanti, ingiustizia doppia” di Bruno Tinti, su “il Fatto Quotidiano”
del 20 di ottobre 2015: Chi paga 3.000 euro in contanti? Chi ce
l’ha, ovviamente. Dunque due categorie. I super ricchi e quelli che li hanno ricevuti
in pagamento da altri. I super ricchi consumano quando e come gli pare.
Dell’autorizzazione di Renzi a pagare in contanti borse, scarpe, vestiti,
lavatrici e tv se ne fanno un baffo. Quelli che i 3.000 euro ce l’hanno perché
qualcuno glieli ha dati sono obbligati a spenderli: li mettessero in banca, sia
mai che capiti, il Fisco glieli trova. Quindi, anche loro, comprano tv,
borse, scarpe e via dicendo. Restano i lavoratori dipendenti e i pensionati.
Questi, soldi in contanti non ne hanno, paga, salario, stipendio, pensione
glieli accreditano in banca. Se sono benestanti e possono permettersi Tv,
scarpe etc, pagano con carta di credito: è più comodo che andare in banca a
prelevare. Se sono poveri, non comprano; oppure comprano a rate: supermercati e
negozi di elettronica sono pieni di offerte di rateizzazione a tasso zero.
Sicché
lo strombazzato aumento dei consumi che conseguirà alla possibilità di pagare
fino a 3.000 euro in contanti in parte è vero: quelli che sono pagati in
contanti spenderanno un po’ di più. Chi sono questi fortunati? Le partite Iva,
loro e solo loro. Quanto costa all’Erario questa espansione di
consumi? I conti sono facili. 22% di Iva e una variabile tra il 30 e il 40% di
Irpef, diciamo 35%: per ogni pagamento di 3.000 euro in contanti, 660 euro per
l’Iva e tra 900 e 1.200 euro per l’Irpef. Per ogni pagamento il Fisco ci
rimette in media 1.500 euro: un vero affare. Il versante etico può non essere
considerato. Non perché sia irrilevante, naturalmente; ma perché a Renzi&C.
non gliene può importare di meno. Però, se è vero come è vero che due torti non
fanno un diritto e che l’art. 3 della Costituzione non può essere utilizzato a
giustificazione delle scelleratezze, resta il fatto che questo 50/60% di
incremento di reddito (evasione del 22% di Iva e del 30/40% di Irpef) riservato
al 12% circa dei contribuenti italiani (il popolo dell’Iva) è una doppia
ingiustizia. Non solo le minori tasse pagate si
ribaltano, ovviamente, su una maggiore pressione fiscale e su una diminuzione
dei servizi pubblici; ma perché i vantaggi dell’evasione, legalmente resi
possibili da leggi dello Stato, non sono accessibili a tutti. A titolo di
esempio, chi scrive gode di un’ottima pensione. Il problema è che gliela
versano in banca. Già prosciugata delle imposte dovute. Sarebbe molto bello che
gli si applicasse lo stesso criterio adottato per un lavoratore autonomo di
pari livello retributivo: pensione corrisposta per intero, al lordo delle
imposte; facoltà di poter dichiarare di aver ricevuto una somma consistentemente
minore e conseguente privilegio di pagare imposte sul reddito parametrate alle
menzogne; possibilità di acquisto in contanti cui consegue il risparmio
dell’Iva che, per un lavoratore dipendente o pensionato – utilizzatore finale
(non in senso berlusconiano) – è una vera mannaia. Insomma, esiste una disparità di
trattamento evidente tra contribuenti: quando vanno al ristorante l’88% di loro
paga più del doppio del restante 12%. Resta il versante politico. Come
si è visto, la storia che incrementare la quantità di contanti che può essere
utilizzata per i pagamenti incrementa i consumi è una mezza verità; in realtà
una verità al 12%, pari alla percentuale di contribuenti che ha la possibilità
di fare “nero”. Questo incremento, però, è falcidiato da una corrispondente
perdita del 60% circa derivante dall’evasione di imposta. È vero, l’incremento
e la corrispondente “crescita” economica vanno a vantaggio di privati
cittadini; l’evasione va a danno dello Stato. Un assetto economico di questo
tipo è generalmente considerato rovinoso; ma è stato per anni perseguito da
B&C, le cui teorie economiche si fondavano sul principio della razzia,
tutti contro tutti e uniti contro lo Stato. Non desta meraviglia che
Renzi&C lo abbiano fatto proprio. Naturalmente questa analisi poggia su un
postulato: il popolo dell’Iva pratica un’evasione costante servendosi del
“nero” Basta negarlo per farla crollare. Circa 9 milioni di contribuenti
(le partite Iva) lo negano. Renzi&C, ni. Però, aggiungono, abbiamo
fantascientifici strumenti per acchiappare gli evasori. Si tratta evidentemente
di perfezionate sfere di cristallo che accertano il “nero”. Abbiamo una
straordinaria occasione per diventare un Paese ricchissimo: le cediamo a tutti
gli altri Paesi (che ovviamente non ce l’hanno) e incassiamo royalties
favolose; che so, il 5% del maggiore gettito fiscale?
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