Carissima Franca, ho deciso questa volta di darti
una risposta che sia pubblica. In altre occasioni ho voluto mantenere i nostri
contatti “epistolari” – è ancor
giusto così definirli nell’era dell’e -mail? – in quella forma privata che prediligo.
È che mi sta molto a cuore la Tua amicizia, la Tua sconfinata cortesia e,
perché no, la Tua sempre puntuale attenzione per le cose che vado maldestramente
scribacchiando. Ma il momento per il Paese che amiamo torna ad essere dei più
tesi e preoccupanti. Lo hai ben stigmatizzato nel commento al post di ieri 20
di luglio. Hai tu scritto: “Caro Ettore, sono vecchia e ho visto
nascere la Costituzione. Ora sto assistendo alla sua agonia. Che possiamo fare?
Un abbraccio”. Capisco la Tua angoscia, capisco il timore che ti
invade. È che simili Tue “preoccupazioni” sono la misura di
quella Tua sensibilità di “cittadinanza” che ha una diffusione
molto, ma molto limitata. Fa, quel Tuo sentire, onore grande a quella valorosa
insegnante che Tu sei stata ed a quella sensibile scrittrice che ho avuto il
privilegio di conoscere ed apprezzare (ricordi di quella Tua pubblicazione della
quale mi hai fatto dono alla nascita del mio nipotino Riccardo?). Ma le Tue preoccupazioni
sono le mie preoccupazioni, ma sono anche le preoccupazioni di quei 100.000 (fino
a ieri) lettori-sottoscrittori dell’appello de “il Fatto Quotidiano” che richiama all’attenzione ed alla mobilitazione
in difesa della nostra Costituzione. Io non ho visto nascere la Carta del
nostro Paese, per una ragione prettamente anagrafica. Entrava la Carta in
vigore (1° di gennaio dell’anno 1948) ed io mi apprestavo alla dentizione da
latte. Ma quella Carta è come se fosse stata scritta per me. Oggi ci risiamo. La
Carta sta stretta ai tanti. Nell’indifferenza dei più. Ha scritto ieri,
domenica 20 di luglio, Eugenio Scalfari sul quotidiano la Repubblica – “La sentenza forse è giusta ma disonora il
Paese” -:
Ricordo un articolo della Costituzione che impone a qualsiasi pubblico
ufficiale (il presidente del Consiglio è il primo di questi) di "onorare
con i suoi comportamenti pubblici e privati la carica che ricopre". Ecco
un punto che il libero convincimento dei magistrati dovrebbe tenere nel massimo
conto. Una cosa si può affermare con certezza: i tre della corte d'Appello
l'hanno volutamente ignorato. Questa non è un'ipotesi ma una certezza della quale
è auspicabile che la Cassazione tenga conto anche perché è un principio
costituzionale (ancorché non provvisto di regolamento attuativo) resta comunque
un principio che sul libero convincimento non può non esercitare il peso
dovuto. Carissima Franca, hai prestato la dovuta attenzione al titolo
del pezzo del Direttore Scalfari? Sarà stato Eugenio Scalfari a titolare così
il pezzo del Suo “pastone” domenicale? Ovvero, è stata una scelta per caso del
titolista al momento in servizio? Ma la parte di esso afferma una solenne
verità: “disonora il Paese”. E la
“cosa” che mi lascia basito è che quel “disonore” non suscita nessuna
reazione nella mia parte politica. Anzi, l’arrembante primo ministro ancor oggi
dichiara che una condanna del sig. B. non avrebbe di certo cambiato le carte in
tavola. Siamo all’assurdo. E mi insorge una “crisi d’appartenenza” che
avevo solamente avvertito dopo le vicende della Bolognina che portò, il l3 di febbraio
dell’anno 1991, allo scioglimento di quello che è stato il mio partito, ovvero
la scomparsa del “Partito Comunista
Italiano”. E siamo alle assurdità dell’oggi. Scrive ancora Eugenio Scalfari,
tempo addietro Autore di uno straordinario ditirambo pro-Renzi: Si
dovrebbe discutere a questo punto di Matteo Renzi, delle riforme, dei rapporti
con l'Europa, delle nomine alle alte cariche, della crescita. E forse anche di
Mario Draghi. Ma per esaminare o almeno introdurre questi avvenimenti
bisognerebbe scrivere l'Odissea o almeno i libri su Telemaco. Renzi non
somiglia in nulla a Odisseo che torna ad Itaca e tanto meno a Telemaco che lo
aspetta per liberare Penelope dai Proci. I Proci, quelli sì, ce n'è più d'uno a
Palazzo Chigi e Telemaco sembra uno di loro, anzi lo è. Altrimenti non avrebbe
il piglio che ha avuto ed ha tuttora con Enrico Letta. Lasciamo andare. Ha
ben da dire il Nostro con
quel Suo “lasciamo andare”. Ma non lo si può. Ce (me) lo impedisce
quella mia vecchia “appartenenza” che non consente di conciliare l’inconciliabile.
Ed il sig. B. è, per l’appunto, l’inconciliabile della politica posta al “bene
comune”. E tutta la politica delle cosiddette “larghe intese” “disonora
il Paese”. Ma tant’è. Carissima Franca, sempre ieri, domenica 20 di
luglio, Francesco Merlo ha scritto sul quotidiano la Repubblica – “La verità di una biografia” -: Non
spetta ai magistrati custodire la dignità di un uomo che violava da sé il
proprio decoro di vecchio signore prima ancora che di statista. Perso nelle sue
orge pubbliche era lui stesso che non rispettava la propria privacy e rendeva
immondo ed esibito quell’universo privatissimo che chiunque, e ancora di più un
capo di governo, dovrebbe gestire discretamente, con pudore, equilibrio e
misura, con l’”onore” a cui lo obbliga l’articolo 54 della Costituzione. E i
vizi, quando ci sono, non si espongono. (…). …abbiamo visto la sua Italia, che
si sognava liberale, diventare a poco a poco l’Italia degli avanzi, residuale,
una specie di lumpenborghesia marginale. Nessuno può assolvere Berlusconi da
questo fallimento epocale che non è stato certo provocato dal voyeurismo di
alcuni giornali e giornalisti. Capisco che i suoi fedeli gli vogliano ancora
bene, ma l’idea che questa sentenza d’appello lo assolva da quel fallimento e
dalla sua propria indecenza è solo la prosecuzione della pornografia sul
terreno dell’impostura più naïve. La sentenza di assoluzione non cancella il
nostro lavoro di cronaca e di verità di tutti questi anni, al contrario lo
esalta. Si illudevano che questo Appello avesse cancellato gli articoli dei
nostri giornalisti. Invece li sta evidenziando. La sua biografia non l’hanno
scritta i magistrati. L’abbiamo scritta noi. Carissima Franca, la determinazione
di scriverti in forma pubblica mi deriva dal convincimento che il momento della
vita politica del bel paese torna ad essere grave. Quella determinazione mi
deriva puranco dalla speranza che i pochi, pochissimi incauti navigatori della
rete che per mera sfortuna capitino su questo blog abbiano a che riflettere
sulle vicende di queste torride giornate di luglio. Poiché la disinformazione è
all’attacco. E la cosiddetta “ggente” è disorientata, così come
ed in egual misura – o forse più - è disinformata. Carissima Franca, per dartene
una prova “provata” ti trascrivo di seguito, tratta da “I nipoti di Mubarak” di Marco
Travaglio – su “il fatto Quotidiano del 20 di luglio – una efficacissima
rassegna-stampa: LA STAMPA. (…). …il quotidiano della Fiat annuncia comicamente: “È
finita la guerra dei vent’anni”. Dimenticando che con i giudici di Milano,
diversamente che con i pm, B. si era sempre trovato benissimo, incassando
raffiche di prescrizioni grazie a generosissime e seriali attenuanti generiche
e alcune memorabili assoluzioni. Un gip riuscì persino a sostenere che meritava
attenuanti e prescrizione per la corruzione del giudice Metta in cambio della
sentenza Mondadori in virtù delle sue “attuali condizioni di vita personali e
sociali”, cioè del fatto che era presidente del Consiglio, dunque illibato per
definizione; dopodiché la Corte d’appello (e la Cassazione) confermarono che
Previti andava rinviato a giudizio e condannato, mentre il suo
mandante-finanziatore B. no. Un’altra volta il Tribunale e la Corte d’appello
lo assolsero per il caso Sme-Ariosto, anche se i soldi a Previti, per il
bonifico diretto al giudice Squillante di 434.404 dollari del 1991 estero su
estero, li aveva girati lui. Motivo dell’assoluzione: B. è troppo furbo per
corrompere un giudice via bonifico (lasciando tracce), anziché cash (senza
lasciarne). E pazienza se le contabili bancarie svizzere documentavano il
doppio bonifico B.-Previti-Squillante (lasciando tracce). Quale sarebbe dunque
la “guerra dei vent’anni” che i giudici milanesi, quasi sempre così ben
disposti con lui, avrebbero ingaggiato col Caimano? Mistero. Ma, pur di
lubrificare le larghe intese, questo e altro. REPUBBLICA. (…). …l’assoluzione
sul caso Ruby assicura a B. un futuro radioso (i processi di Napoli e Bari e il
Ruby ter sono ben lontani dalla dirittura d’arrivo), di assoluta libertà non
appena finirà il servizio sociale a Cesano Boscone. Dunque, perché mai B.
dovrebbe far saltare le riforme se non gli danno una Grazia che non gli possono
dare (ha processi in corso) e che per i prossimi anni non gli serve proprio? Il
problema, semmai, è come si faccia a riscrivere la Costituzione con un simile
figuro, per giunta con riforme autoritarie ed eversive come il Senato dei
nominati in aggiunta alla Camera dei nominati. Ciò che Mauro teme (il tavolo
delle riforme che salta) e ciò che noi speriamo. E cioè che, per l’eterogenesi
dei fini già verificatasi nel 1998 con l’altra riforma-porcata della
Bicamerale, B. mandi tutto all’aria e salvi un’altra volta la Costituzione. A
sua insaputa. CORRIERE DELLA SERA. (…). …ecco la conclusione battistiana (Pier
Luigi Battista n.d.r.): “Resta finalmente un dibattito politico
che si libera dal peso di un incubo giudiziario: il percorso delle riforme
istituzionali può procedere speditamente”. Ma certo, e a pie’ fermo. “Così come
i servizi sociali a Cesano Boscone non avrebbero dovuto pesare sulle dinamiche
politico-parlamentari (mettendo invece irresponsabilmente in crisi il governo
Letta), anche questa sentenza può contribuire a sancire la definitiva
separazione tra la storia politica e quella giudiziaria in un Paese che nella
guerra totale tra politica e magistratura ha conosciuto la sua maledizione”.
Ecco: la maledizione non sono i politici che rubano, frodano, mafiano; ma i
giudici che li processano, anzi fanno la “guerra”. E se poi qualcuno finisce al
gabbio, mi raccomando: separiamo la sua vicenda giudiziaria dal suo ruolo
politico e procediamo speditamente a riscrivere la Costituzione con lui. Non
solo con B. Ma, già che ci siamo, anche con Dell’Utri. E, perché no, con il suo
vicino di cella nel carcere di Parma: Totò Riina. Nell’ora d’aria ha un sacco
di tempo libero. IL FOGLIO. Titolo di Giuliano Ferrara: “Eravamo tutti
puttane”. Per una volta siamo completamente d’accordo con lui. Salvo su
quell’eccesso di modestia: come sarebbe a dire “eravamo”? Carissima
Franca, ti lascio con il saluto tanto in voga al tempo di quelli di quell’”appartenenza”
che non esiste più. Fraterni saluti. Tuo aldoettore
Grazie, Ettore di questa bellissima e graditissima epistola. L' amicizia è uno dei legami più belli e Ti ringrazio di avermela riservata. Quanto ai tempi che stiamo vivendo penso che non dobbiamo essere pessimisti. Verranno tempi migliori finché ci saranno persone che li desiderano e fanno di tutto per farli arrivare. A me non importa molto se non li vedrò. Dopo tutto siamo una grande famiglia umana. Qualcuno li vedrà per me. Un abbraccio fraterno. Franca.
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