Ha scritto oggi Michele Serra sul
quotidiano la Repubblica: L’aumento della “povertà assoluta”, che
ormai affligge un italiano ogni dieci, conferma che la società di mercato
questa volta non sembra più in grado di rigenerare ciò che ha perduto, come fa
la lucertola con la sua coda. Chiunque rifletta sulle nuove penurie, sui buchi
lasciati nel tessuto sociale dal salto d’epoca delle tecnologie (…), si domanda
quando, e quanto, gli esclusi si metteranno in moto per presentare il conto, e
reclamare la fine della propria sfortuna; se lo faranno a gruppi sparsi,
secondo i modi della “società liquida”, o riusciranno a quagliare in qualche
maniera fino a farsi “classe”; se prevarranno forme di resilienza, un
intelligente adattarsi e risocializzare i costi; o di rabbia e di antagonismo,
tipo “riprendiamoci quello che ci serve”; se la storia prevede ancora
rivoluzioni strutturali, nel senso detto da Marx, o solamente redistribuzioni
anche traumatiche, anche cruente, ma non tali da rovesciare l’assetto della
convivenza. Una sola cosa, secondo logica, ci sembra impossibile: che niente
accada, e ognuno accetti il proprio destino senza fiatare. E a ben pensarci,
più di una rivoluzione o di rivolte sparse e assortite, fa paura l’idea di una
muta, infinita depressione che assecondi un infinito declino. Straordinari
pensieri anche se un tantino in ritardo. Scrivevo il 7 di ottobre dell’anno
2011 un post nel quale, nel suo incipit, giustappunto ritrovo il Michele Serra
di oggi che mi piace tanto.
Trascrivo di seguito quel post che ha per titolo “E se Marx avesse sbagliato solo per
difetto?”, nel quale ritrovo le sempre geniali intuizioni del professor
Umberto Galimberti. Scrivevo allora… Ha scritto
Michele Serra nella Sua “Amaca”
dell’otto di settembre: “La sola cosa che abbiamo capito con certezza
è che la totale perdita di nesso tra la vita materiale (il lavoro, il
cibo, i manufatti, persino il denaro che pure è già un’astrazione) e l’economia
mondiale è un segno di malattia. E la malattia fa sentire insicuri perfino più
della povertà”. Ho
datato anch’io, ad un tempo
divenuto remoto, l’insorgere della “malattia”,
per come l’ha definita Michele Serra in quel “pezzo” Suo prezioso. L’affannarsi della mente attorno al problema
della “crisi” mi ha portato a
rinvenire un ritaglio che definirei “storico”.
È un ritaglio che risale all’anno 2006 quando, sul supplemento “D” del quotidiano
“la Repubblica”, Umberto Galimberti pubblicava “E se Marx avesse sbagliato solo per difetto?”. Si sta in rete e si
scava nei suoi infiniti cunicoli e meandri come il paziente archeologo, un
raccoglitore di cocci, che con lavoro di buzzo buono ricerca le tessere di un
mosaico che concorrano a definirne l’immagine completa. Nel caso, l’immagine di
un tempo. E la “tessera” rinvenuta,
che di seguito propongo, risale al 25 di aprile dell’anno 2006. I “bubboni” della “malattia” non erano ancora divenuti evidenti. Non c’era stata
ancora la “crisi americana” con il
fallimento delle banche e l’impoverimento conseguente di milioni di cittadini.
Però essi, i “bubboni” di un malsano,
incontrollato capitalismo “finanziario”
senza regole, scavavano e scavavano all’interno del ventre molle delle
democrazie. Scriveva in quell’occasione il professor Galimberti: “se nel mondo antico i debitori insolventi
finivano schiavi, nel mondo del capitalismo globale interi Stati vengono
costretti a lavorare per conto delle grandi finanziarie e delle grandi
imprese”. Si era, all’epoca del prezioso scritto, lontani ancora dalle
cronache terrificanti dell’oggi. Mi garba trascrivere un altro passo, breve,
dell’autorevole riflessione del professor Giorgio Ruffolo “Sono dolori se la ricchezza è un fantasma” pubblicata tempo
addietro sul quotidiano l’Unità: “(…).
…la liberazione dei movimenti di capitale provocava un cambiamento dei rapporti
tra capitale e lavoro a tutto vantaggio del primo. Di qui un enorme aumento
delle diseguaglianze tra redditi di capitale e di lavoro. Questo squilibrio
avrebbe generato fatalmente conseguenze recessive sulla domanda. Ma proprio qui
è intervenuta la funzione di sostegno dell’indebitamento. L’aumento di domanda
necessario a sostenere l’economia è stato fornito non dall’aumento dei redditi
di lavoro ma dall’aumento della massa dei debiti: come dire, dai redditi del
futuro. Ciò avveniva attraverso la procrastinazione sistematica dei
debiti-crediti promossa dalle banche tradizionali e sempre più dai nuovi intermediari
finanziari; e incoraggiata da una politica monetaria espansiva. (…). La fiducia
nel futuro per qualche ragione viene a mancare. Allora, come dice Galbraith,
gli sciocchi sono separati dal loro denaro ma anche gli incolpevoli dal loro
lavoro. (…)”. È la regola del capitalismo a-sociale. In questi giorni le
borse “tengono” con grande
soddisfazione degli irresponsabili nostri amministratori della cosa pubblica,
lo “spread” si mantiene dei limiti;
perché? È che c’è in giro aria di nuovi soldi in arrivo. È la prospettiva di
dover “ricapitalizzare” un gran
numero di banche del vecchio continente. Perché? Con quali soldi? “Ricapitalizzare” quelle stesse banche
resesi colpevoli d’aver sostenuto ed incoraggiato “la procrastinazione sistematica dei debiti-crediti”, per come ha
scritto l’Autore. Le banche sono state di già salvate, con tanti soldi
pubblici, all’insorgere della “crisi
americana”; non ne hanno tratto lezione, continuando nello sperpero
sistematico a tutto vantaggio dei loro manager ed amministratori. Quale sana prospettiva!
“Marx
appartiene alla tradizione giudaico-cristiana che ha del tempo una condizione
escatologica dove alla fine (éschaton) si realizza quello che all'inizio era
stato annunciato. La triade religiosa - colpa, redenzione, salvezza - ritrova
la sua formulazione nell'omologa prospettiva dove il passato appare come male,
la rivoluzione (al pari della redenzione) come riscatto, il futuro come
progresso che è poi la forma laicizzata della redenzione. Come la redenzione,
anche la rivoluzione prevede il rovesciamento del dominio del male in quello
del bene, da questo tempo a un altro tempo. Al pari del popolo d'Israele, la
classe operaia, scrive Marx, ha fame e sete di giustizia. E come Isaia attende
nuovi cieli e nuove terre, così la rivoluzione attende un futuro di giustizia.
Forse per questo, come con le religioni, anche dopo le rivoluzioni si è sentito
il bisogno di dare il via a nuovi calendari, a una nuova misurazione del tempo.
Se ora vogliamo toccare alcuni punti nodali del Capitale vediamo che Marx era
contro la democrazia borghese perché, a suo giudizio, non poteva andare oltre
le scelte degli esecutori tecnicamente più capaci nell'applicare i comandi del
capitale finanziario che si muove a livello transnazionale, per cui, quando Marx
diceva che i governi erano comitati d'affari della grande borghesia aveva
torto, ma forse solo per difetto. Quello che allora era un cattivo costume,
oggi infatti è un sistema, anzi è il sistema. Per cui se nel mondo antico i
debitori insolventi finivano schiavi, nel mondo del capitalismo globale interi
Stati vengono costretti a lavorare per conto delle grandi finanziarie e delle
grandi imprese. Se questo accade a livello degli Stati-nazione, a livello
individuale, i rapporti reciproci, come già aveva previsto Marx, avvengono
principalmente, anche se non esclusivamente, in termini di merce che, a livello
di circolazione mondiale, conosce una libertà di movimento ancora sconosciuta a
miliardi di uomini. In questo processo di totale mercificazione del lavoro, la
specializzazione accelerata imposta dal mercato porta alla frammentazione dei
processi lavorativi, alla loro parcellizzazione e quindi al loro inserimento
nel sistema di divisione del lavoro con un obnubilamento delle finalità ultime
della produzione, e l'esonero di responsabilità dei singoli lavoratori a cui
non può che risultare del tutto indifferente prestare la loro opera in una
produzione di armi o in una produzione di generi alimentari. Dopo aver vinto la
guerra dei settant'anni contro il comunismo, il capitalismo comincia così a
mostrare il suo vero volto, che non è proprio quello del progresso che aveva
scritto sulle sue bandiere. Infatti, se queste considerazioni hanno un loro
senso e una loro plausibilità, non sembra remoto lo spettro di un'ingloriosa
soluzione finale dell'esperimento umano, sia per quanti non hanno più di che
vivere, sia per i ben pasciuti a cui non si riconosce altra dignità se non
quella di funzionari a diversi livelli del capitale. I cataclismi umani che il
Novecento ha metabolizzato nelle guerre mondiali tra le potenze, e nelle guerre
coloniali contro le potenze, all'inizio del terzo millennio ribollono nelle
falde sommerse di una terra regolata dai soli criteri dell'accumulazione
infinita, della competizione sfrenata, il cui limite è solo artificio e tregua
di guerra, nella più totale assenza di rispetto per uomini e natura. La
rivoluzione, possibile ai tempi di Marx, oggi non è più possibile, perché, se è
vero come ci insegna Hegel che la rivoluzione è il conflitto tra due volontà,
quella del Servo e quella del Signore, oggi sia il servo sia il signore si
trovano non più su fronti contrapposti, ma dalla stessa parte contro
l'ineluttabilità di quella forma astratta, anonima e regolatrice di tutti gli
scambi che si chiama mercato. Un Nessuno che regola la vita di tutti, anche se
Omero ci ha avvertito che Nessuno è pur sempre il nome di qualcuno. Ma questo
qualcuno non è di immediata evidenza.”
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