Questa è una storia riprovevole avvenuta nel bel
paese. Storia che ha inizio con “L’amaca” del solito graffiante e sarcastico Michele
Serra, pubblicata sul quotidiano la Repubblica del 20 di luglio ultimo. Ha scritto
nell’occasione il celebre notista: Essendo Mentana uno dei più abili e
consumati giornalisti/conduttori, è da escludere che la sua idea di mettere a
confronto Travaglio e Ferrara fosse “ingenua”: e cioè ignorasse che i due si
odiano e hanno scritto, l’uno sull’altro, le più vivaci sconcezze; oppure si
augurasse che una decennale e appassionata ostilità politica e umana potesse
finalmente sciogliersi, chez Mentana, in un’argomentata discussione. Difatti i
due, ciascuno con le sue armi verbali e secondo la propria indole (Travaglio
sarcastico e sprezzante, Ferrara fuori controllo e sbraitante: gatto e cane in
una delle più efficaci trasposizioni drammaturgiche mai viste), hanno quasi
subito creato un clima ucraino, subito ritratto e amplificato dalla rete che di
questi incidenti è appassionata consumatrice. Tornando al dubbio iniziale:
poteva Mentana non sapere? Li ha invitati su incarico di qualche Alto
Commissariato umanitario, per farli finalmente riconciliare? O li ha messi
nella stessa scatola per vederli battersi come in quei cupi combattimenti clandestini
tra galli o pittbull, e in studio la gente scommetteva, cinica, su quale dei
due avrebbe dato forfait per cedimento delle coronarie (Ferrara?) o perché le
urla dell’altro lo annoiavano (Travaglio?). Lavoro difficile come pochi, il
conduttore televisivo ogni tanto si concede una comprensibile vacanza e si
affida al facile: la rissa in diretta è un format di sicuro effetto e di facile
allestimento. Come più volte partecipatovi ho disertato questa inutile
logomachia per l’amore che porto al mio essere, essendo interessato a
salvaguardare la mia salute mentale. L’illustre notista ne fa discendere i
vergognosi risultati a quella che definisce “la rissa in diretta” e
che a Suo dire rappresenta “un format di sicuro effetto e di facile
allestimento”. Convengo sull’assunto dell’illustre Autore, donde ne è
derivato il mio convincimento dell’inutilità di quelle trasmissioni sul piccolo
schermo. Oso però dissentire in parte dall’illustre Autore. Me ne offre la
sponda lo scrittore Luca Canali che nel Suo romanzato “Diario segreto di Giulio Cesare”, a proposito della litigiosità
degli abitatori del bel paese, antichi o moderni, ha scritto:
Oggi
ricorrono le celebrazioni Ferali, e tutte le famiglie ricordano i loro defunti.
V’è in città una mestizia diffusa. È strano come essa, più della gioia,
affratelli la gente. Cessato il lutto ritorna la rissa generale. Rivalità e
violenza si ritengono a torto frutto di circostanze eccezionali: esse sono
figlie naturali della normalità quotidiana. Anch’io mi sono sentito
provvisoriamente riconciliato con tutti. Recandomi a portare doni sulla tomba
di mia figlia Giulia e di Cornelia, mia prima sposa, ho incontrato avversari
che mi hanno salutato con gentilezza. Ho risposto con serena benevolenza. Cicerone,
che si recava anch’egli a visitare la tomba di sua figlia Tullia è stato addirittura
sul punto di abbracciarmi. Domani torneremo nemici – tutti contro tutti, come
ha scritto Lucilio -. Ma oggi siamo come affratellati dal rimpianto. Lo scrivo
senza ironia. Ora sono solo in casa, e penso alla desolante velocità del tempo
che avanza inavvertito come un sicario. In quel lontanissimo tempo l’interesse
per “un
format di sicuro effetto e di facile allestimento” non esisteva
proprio. Donde, vi scongiuro, oscurate quegli inguardabili “format”! Ebbe a scrivere, di uno
dei due belligeranti del vergognoso “format”, il professor Maurizio
Viroli su “il Fatto Quotidiano” del 10 di giugno dell’anno 2011 – “Ferrara e i servi forti. Di stomaco”: L’idea
della libertà dei servi circola con sempre maggiore insistenza nell’opinione
pubblica. Ernesto Galli della Loggia ha additato il servilismo che pervade il
PdL quale causa principale dei recenti disastri elettorali: “È stata
l’obbedienza – pronta cieca e assoluta – il veleno che ha ucciso il Pdl. O
meglio che, inoculato nel suo corpo fin dall’inizio, fin dall’inizio gli ha
impedito di esistere veramente come partito. Bisognava obbedire a Berlusconi,
questa la regola: dargli sempre ragione, o perlomeno non azzardarsi mai a
criticarlo esplicitamente e con una certa continuità” (Il Corriere della Sera,
2 giugno 2011). In un partito politico l’obbedienza è necessaria, ma, chiarisce
l’editorialista, quando è sproporzionata diventa “micidiale”. E spiega che l’eccessiva
obbedienza dei dirigenti del Pdl deriva dal fatto che essi “erano convinti e/o
consapevoli che i voti, alla fine, li portava solo Berlusconi. Solo lui: con i
suoi soldi, le sue televisioni, il suo carisma. Tutto il resto, a cominciare
dalla loro personale qualità umana e politica, agli occhi dell’elettorato
sarebbe contato insomma poco o nulla, e dunque per i disobbedienti non c’era
alcun futuro”. L’argomento coglie bene la natura servile del rapporto che lega
i berlusconiani al loro capo: una servitù non imposta da nessuno, e quindi
volontaria, la libertà dei servi, appunto. Galli della Loggia individua anche
che un sistema siffatto porta alla promozione dei peggiori e dunque
all’inevitabile declino del partito. Ma è ancora troppo poco, e troppo tardi.
Troppo poco perché l’articolo non chiarisce che all’origine del servilismo c’è
il potere enorme di Berlusconi con la sua possibilità di corrompere,
distribuire benefici e affascinare. Il problema, e non tanto per il Pdl, ma per
la libertà italiana, sta proprio nell’esistenza di quel potere. In altre
parole: quel che Berlusconi dice o fa conta poco, è l’esistenza stessa del suo
potere enorme che rappresenta una minaccia mortale (sia detto senza enfasi) per
la libertà degli italiani. (…) …la natura devastatrice del potere berlusconiano
è stata ampiamente denunciata da molti anni, ad esempio da Norberto Bobbio,
quando nel Dialogo intorno alla repubblica, e prima ancora, ha parlato di Forza
Italia come partito personale. Come mai ci si accorge solo ora, e in modo
parziale, di cos’è il partito di Berlusconi? Bastava conoscere l’abc del
liberalismo e del realismo per capire e per cercare di evitare all’Italia la
vergogna che abbiamo vissuto e viviamo. Mentre Galli della Loggia rileva gli
aspetti negativi del servilismo, Giuliano Ferrara, lo stesso 2 giugno (povera
Repubblica!) esalta i servi liberi e forti: “Questo è un appello ai servi
liberi e forti di una fantastica stagione politica che non merita di avvizzire
così”. Non traggano in inganno le parole. I “servi liberi e forti di una
fantastica stagione politica” sono i servi di Berlusconi in virtù del fatto
che, come spiega Ferrara, stagione politica=Berlusconi: “E nella storia
italiana di questi anni non c’è altro qualcosa che il qualcuno, Berlusconi.
Girarci intorno è prendersi per il culo”. Un’idea originale, quella dei servi
liberi e forti, non c’è alcun dubbio. Per secoli i migliori scrittori politici
liberali e repubblicani hanno condannato la servitù volontaria come il modo più
spregevole di rinunciare alla dignità propria degli esseri umani. Ferrara
invece la esalta, e chiama addirittura i liberi servi “forti”. Intende di sicuro
forti di stomaco per poter digerire il marcio che emanano il signore e i
cortigiani, non la forza morale di chi rifiuta prebende e vantaggi per non
farsi servo di nessuno. Donde ne deriva che nella Storia del bel paese l’inclinazione
alla “servitù”
verso il potente di turno è un retaggio, seppur antico, che ne condiziona la
vita politica, sociale e puranco economica. Sempre quell’illustre Autore ha
dissertato, su “il Fatto Quotidiano” del 6 di settembre dell’anno 2011, su i
cosiddetti “Servi, per libera scelta”, per l’appunto come quel tale del “format”
di Mentana. Nella Sua prefazione al volume “The
liberty of servants”, edito per i tipi della “Princeton Universty Press”
(2011), e destinato esclusivamente al pubblico inglese, l’illustre Autore ha
scritto: Come i demagoghi dell’antichità e dell’età moderna, Berlusconi ha
dimostrato fin dagli inizi della sua carriera politica una notevole capacità di
affascinare la ‘gente’ con tecniche teatrali che mirano ad esaltare la sua
immagine e ha dato ripetutamente prova di saper ottenere il consenso dicendo ai
cittadini quello che essi vogliono ascoltare. A differenza di quasi tutti i
demagoghi, tuttavia, Berlusconi è ricchissimo e usa il suo denaro per comprare
le persone, come abbiamo visto, a parere dei commentatori, nelle ultime
settimane del 2010 e nelle prime del 2011 quando la sua maggioranza
parlamentare ha rischiato di dissolversi. In circostanze più normali della vita
politica egli usa il suo denaro, direttamente o indirettamente, per distribuire
favori di varia natura e valore, dai posti lucrativi ai regali. In questo modo
ottiene la lealtà di un gran numero di persone. Si potrebbe sostenere che
Berlusconi ha istituito un’oligarchia all’interno del sistema democratico. Ma è
anche vero che il regime di Berlusconi presenta aspetti che i filosofi politici
hanno bollato come tirannide, non nel senso di un potere imposto e conservato
con la violenza, ma nel senso di una “tirannide velata”, simile a quella che i
Medici costruirono a Firenze. In effetti, come ogni tiranno, anche Berlusconi
mira in primo luogo a conservare ed accrescere il suo potere e a proteggere i
suoi interessi. Inoltre, come già osservava Norberto Bobbio, Berlusconi ha la tipica
mentalità del tiranno. Ritiene infatti che a lui tutto sia lecito, compreso
avere tutte le donne per sé, e più giovani sono meglio è. Se lo esaminiamo con
l’aiuto dei concetti classici del pensiero politico, il potere di Berlusconi
può essere definito come una combinazione originale delle tre forme corrotte di
governo: la demagogia, la tirannide e l’oligarchia. È un esempio davvero
eloquente della creatività politica italiana, ma è soprattutto un’ulteriore
prova di un altro carattere distintivo della storia italiana, vale a dire la
nostra cronica incapacità di difendere efficacemente la libertà. (…). Il paese
della libertà fragile, ecco quale potrebbe essere un’appropriata
caratterizzazione politica dell’Italia. (…). …la semplice esistenza dell’enorme
potere di Silvio Berlusconi rende gli italiani non liberi, o meglio liberi, ma
nel senso della libertà dei servi, non della libertà dei cittadini. (…). Egli
può (…) creare intorno a sé una corte formata da un numero più o meno grande di
individui che dipendono da lui per favori, denaro, onori e fama. Anche se il
regime di Berlusconi è certo una letale mistura di oligarchia, demagogia e
tirannide, il nome che meglio lo caratterizza è sistema di corte. (…). Nessun
sistema democratico è immune dal potere combinato del denaro, dei media e della
demagogia. I leaders e i cittadini dei paesi liberi dovrebbero fare tesoro
degli errori degli italiani e preparare per tempo le difese contro il formarsi
e il consolidarsi di poteri enormi.
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