E poi, nel breve saggio della psicoterapeuta Clotilde
Buraggi, c’è l’altra parte della medaglia come suol dirsi. Nello specifico,
quel comprimario che nella commedia dell’arte non manca mai e che, facendo da
spalla alla figura principale, viene da essa redarguito con un sonoro “vieni
avanti cretino”. Ché nella rappresentazione delle vicende del bel paese
un ruolo non secondario svolge quella figura che l’illustre studiosa definisce “il
pubblico dell’impostore”, per l’appunto. Ché senza questo pubblico particolarissimo
anche la figura principale ne uscirebbe ridotta assai. Anzi è da dire che la
figura dell’”impostore” trae la sua forza maggiore dalla perfetta simbiosi
con quel che si definisce “pubblico”. Scrive l’illustre studiosa:
Prendiamo
ora in considerazione il rapporto tra l’impostore e il suo pubblico. Come
abbiamo visto, l’impostore, per esercitare la sua impostura, ha bisogno di
qualcuno che si faccia sedurre da lui, come il sadico non può esercitare il suo
sadismo senza il masochista. Chi sono le persone che vengono ingannate
dall’impostore? Sono persone semplici e ingenue che si lasciano abbindolare o
sono invece persone che fanno il suo stesso gioco, che gli assomigliano
caratterialmente, che come lui aspirano a cambiare la loro posizione senza
tenere conto dell’onestà del metodo e dei limiti imposti dalla realtà ? Su
questo argomento le opinioni sono divergenti. Secondo Leopardi, la
responsabilità è tutta dell’impostore e non del suo pubblico: “Gli uomini
impostori - ha scritto - hanno insegnato agli uomini bonari delle menzogne per
ispogliarli di roba e di libertà” (1-1370). Il Grande Dizionario Utet della
lingua italiana nel definire la parola “impostore” aggiunge al concetto della
buona fede del pubblico anche quello della credulità. Impostore è “chi
approfitta, per lo più abitualmente, della buona fede o della credulità altrui,
raccontando menzogne, falsificando la verità, facendosi passare per altra
persona o millantando qualità o conoscenze che in realtà non possiede”. Che
cosa significa “credulità”? Il credulone è in buona fede o in mala fede?
Secondo la Greenacre (1958), i creduloni non sarebbero dei sempliciotti che
l’impostore inganna con le sue menzogne ma sarebbero addirittura dei
“cospiratori”, dei complici dell’impostore, di cui l’impostore ha bisogno
proprio come il prestigiatore ha bisogno di una “spalla” per rendere più
credibili i suoi trucchi. Anche gli individui che sono avidi di fare da
audience all’impostore (Finkelstein 1974), soffrirebbero come lui per problemi
di bassa autostima. A ragione delle proprie ferite narcisistiche (Olden 194I),
avrebbero bisogno di sentirsi in contatto con un oggetto potente da
idealizzare, sperando di ricevere magicamente salvezza e valore attraverso il
contatto con una persona sentita onnipotente. Il rapporto tra il pubblico e
l’impostore è il rapporto descritto da Freud (1921) tra un gruppo e il suo
leader, che assume la funzione di ideale dell’Io del gruppo. Se però il leader
è un impostore, il pubblico può servirsi della negazione, o addirittura del
diniego per non vedere questa sua realtà. Se il pubblico si sente rassicurato
dall’impostore, anche l’impostore ha bisogno del suo pubblico per confermare la
propria grandiosità illusoria; è infatti il pubblico con la sua conferma che lo
aiuta a tramutare la sua menzogna in una struttura relativamente stabile. Come
i genitori che lo hanno allevato (Finkelstein 1974), permettendogli di essere
disonesto e condonandogli l’uso di meccanismi di difesa patologici, così le
persone del pubblico diventano coloro che confermano le sue falsificazioni e
diventano suoi complici. È per l’appunto questo il terribile meccanismo
che come una coazione a ripetere si perpetua nella vita pubblica del bel paese.
Poiché il bel paese è stato, forse da sempre, incline ad accogliere ed ammirare
qualsivoglia personaggio dal quale “ricevere magicamente salvezza” per
come scrive Clotilde Buraggi. È quell’impronta antropologica che fa da velo ad
una realtà la pericolosità della quale non giunge in tempo, su quel “pubblico
dell’impostore”, a manifestarsi sul piano della consapevolezza. Donde ne deriva il susseguirsi di figure
attese ed invocate come salvatrici ed apportatrici di benessere e felicità. È su
questo aspetto peculiare e fortemente collaborativo del “pubblico dell’impostore” che
ieri, 7 di luglio, si è espresso il collettivo conosciuto come Wu Ming,
espressione che deriva dal cinese e vuole dire “senza nome”. Il collettivo
ha rilasciato un’intervista pubblicata su “il Fatto Quotidiano” a firma di
Salvatore Cannavò che ha per titolo «I pifferai
ci incantano ancora». Di seguito la trascrivo in parte.
Chi sono i sonnambuli? – (…). …in generale, nei sonnambulizzati ognuno può vedere tante cose del nostro presente. Le masse irretite, l’opinione pubblica addomesticata, il controllo delle menti… -.
Chi sono i sonnambuli? – (…). …in generale, nei sonnambulizzati ognuno può vedere tante cose del nostro presente. Le masse irretite, l’opinione pubblica addomesticata, il controllo delle menti… -.
Vi riferite anche ai “grillini”? Voi avete
condotto una battaglia netta contro il grillismo. - Sonnambuli sono quelli che vanno dietro al
pifferaio di turno, lasciandosi suggestionare dal “carisma”. C’è gente che
segue Grillo qualunque musica esca dal suo piffero. Ma di pifferai in giro ce
ne sono tanti, e quindi anche di sonnambuli -.
C’entra anche Renzi? - Renzi è senz’altro un
pifferaio. Occupa una precisa casella nell’ordine simbolico, la casella del «Ci
vuole quello lì». Prima per molti era occupata da Berlusconi, poi da Grillo,
adesso spopola Renzi. “Quello lì” è il capo senza il quale il Paese sembra
incapace di parlare di sé stesso. C’era anche nel “popolo comunista” un culto
del capo, una visione acritica e fideistica di figure come Togliatti e
Berlinguer. Se uno guarda a come si è ridotta la base residua del vecchio Pci,
a quello che ne è rimasto, e guarda indietro, si accorge che c’era già molto
sonnambulismo, ad esempio nel pensare che «il segretario ha sempre ragione».
Oggi il segretario è Renzi, che eredita anche quel sonnambulismo -.
Renzi però non è l’espressione di quel
vecchio Pci. - Renzi è un cocktail, un miscuglio eterogeneo di molte cose, c’è
molta “gioventù democristiana” ma anche molto divismo, molta della celebrity
culture che permea le generazioni più recenti. Ma si afferma, almeno per ora,
in un Paese che ha sempre avuto il culto del capo, un culto trasversale per capi
diversissimi tra loro (Mussolini, Togliatti, Berlusconi), comunque sempre per
“quello lì”, mister “ci vuole lui”, il personaggio senza il quale il discorso
pubblico sembrava non potesse articolarsi -.
Il capo sarebbe oggi il leader. - Sì, ma il
triste ritornello del «ci vuole un leader», «manca un leader», «Tizio non è un
vero leader» ha fatto breccia a sinistra proprio perché il vecchio “popolo
comunista” aveva già quell’impostazione. Non è solo un portato della
“politica-spettacolo televisiva”, della “americanizzazione delle campagne
elettorali” e quant’altro. La questione è più complessa, e andrebbe
storicizzata -.
Qual è l’antidoto al sonnambulismo? - La
partecipazione che si realizza delegando il meno possibile.
Responsabilizzazione, autogoverno. (…). -.
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