Ha scritto Alessandro Robecchi su “il Fatto
Quotidiano” di ieri 24 di luglio – “Le
citazioni che stanno bene su tutto, un po’ come il beige” -: “In
politica le bugie non funzionano”. È pur vero che la citazione in questione,
attribuita dalla storia politica poco commendevole del bel paese, viene
attribuita a quell’Amintore Fanfani esponente di rilievo di quella che veniva
definita, con sommo disprezzo dagli oppositori del tempo, la “balena
bianca”. A richiamare la citazione, nelle divenute poco solenni aule
parlamentari, è stato un ministro della cosiddetta “nouvelle vague”, ché di
quella cosiddetta “balena bianca” ha suzzato la linfa vitale. Sperava quel tale
ministro d’aver aperto vie inesplorate della cultura politica. Ahimè! Ben fa l’Autore
del pezzo a porsi la domanda che segue: Chissà
cosa ne pensa Matteo Renzi. Uno che tra dicembre 2013 e febbraio 2014 disse
cose come “Letta mangerà tanti panettoni”, o “Il Presidente del Consiglio per
il 2014 di chiama e si chiamerà Letta”, o “Nessuno trama contro Enrico Letta”,
o “Mai a Palazzo Chigi senza elezioni”. È strano che Matteo Renzi non abbia
letto Fanfani, e dunque dobbiamo dedurre che se l’ha letto non ne ha tenuto
conto. Possiamo perdonare invece a Fanfani di non aver visto in azione Renzi:
l’avesse fatto forse non avrebbe pronunciato quel bizzarro aforisma. (…). Ecco
un caso, uno dei tanti, su cui verificare l’affermazione di Fanfani rilanciata
dalla Boschi: “Le bugie in politica non funzionano”. (…). Che poi, a dirla
tutta, questo fatto delle bugie che in politica non funzionano fa un po’
ridere, detta da un ministro delle Riforme che si vanta davanti all’aula
dell’appoggio di Forza Italia alle sue riforme. La più grande fabbrica di bugie
mai vista in politica, insomma, dal milione di posti di lavoro all’aiutare chi
è rimasto indietro, a meno tasse per tutti, passando ovviamente per il classico
dei classici (la nipote di Mubarak), si è trovata l’altro giorno ad applaudire
una frase che smentirebbe, se fosse vera, tutta la sua storia. Dunque, a farla
breve e senza nulla togliere a Fanfani buonanima, si può dire che la frase
pronunciata con la veemenza dei missionari dalla ministra Boschi è, né più né
meno, una bugia. Di più: è una bugia in politica. E a giudicare dai commenti
benevoli dei giornali allineati e coperti che hanno lodato quel discorso, ha
funzionato. Alla grande.
Ma delle bugie ne è intrisa tutta la vita
politica del bel paese. È che un tempo v’era pure una opposizione che quelle
bugie afferrava per le corna onde mostrarle alla pubblica opinione in tutta la
loro mostruosità. Si dia ora il caso che quegli stessi oppositori, divenuti oggigiorno
ed inaspettatamente forza di governo, pratichino agevolmente ed amorevolmente il
vezzo italico del dire bugie. Poiché il dire bugie paga politicamente. E come! Intanto
distrae le masse. Indirizza l’attenzione verso obiettivi che poco hanno a che
fare con i bisogni e le necessità dei cittadini. Ora v’è “la riforma del senato”. Orbene,
ben venga e nulla tolga per tempo dovuto ed attenzione generale a quella
miriade di altri problemi più urgenti e più stringenti per i cittadini. Orbene,
nulla di tutto ciò. Il senato e basta. E così sia. Poiché su tutti gli altri
problemi, che divengono sempre di più drammatici, non si ha il briciolo di una
idea per come uscirne. Poiché è molto meglio concionare del nulla e sul nulla quando
non si sa come risolvere ciò che al momento appare irrisolvibile. Dove starebbe
allora la rivoluzione di quelli che volevano far “cambiare verso”? Starebbe nel dire
la verità, che non si sa quale diavolo prendere, che è meglio parlare del
senato la riforma del quale non riavvierà nessuna ripresa. È che, allorquando
quel tale che al tempo delle promesse e dei miracoli irrealizzati concionava
nelle forme avvilenti che tutti ancor oggi ricordiamo, quelli che lo
strattonavano fingendo di fare una opposizione dura e pura e senza respiro in
verità si preparavano a sostituirlo nell’arte suprema degli imbonitori e degli illusionisti.
Il verso in fondo non è cambiato per nulla. Ma su come stiano le cose, quelle
che opportunisticamente sono uscite dall’attenzione della politica e della
pubblica opinione, è sempre abbastanza semplice venire a scoprire. Basta averne
l’interesse. Basta non farsi frastornare dalla politica, dalle sue inutili
esternazioni, dalla sua esiziale pratica del mentire. Povero Amintore, tirato
per la giacchetta ora che ha raggiunto la pace eterna! “In politica le bugie non
funzionano”. È che quell’Amintore, toscanaccio come pochi altri, sapeva
benissimo che con le bugie si conducono battaglie cruente ma sempre vittoriose.
Per lo meno per un certo tempo. Ma non per sempre. Ecco, dei problemi che
interessano alla gente perbene si è fatto carico, sul piano della corretta
informazione, Federico Fubini sul settimanale Affari&Finanza del 21 di
luglio col titolo “La ripresa che non
c’è dalla Cina alla Germania il gelo ora torna globale”. Scrive il
brillante analista economico: Due anni fa di questi tempi Mario Draghi,
presidente della Bce, disse che avrebbe fatto “qualunque cosa” per fermare la
crisi. “E credetemi, sarà abbastanza”. Quelle parole cambiarono la psicologia
dei mercati e inaugurarono una lunga discesa degli spread fino ai livelli
attuali. Un titolo di Stato decennale dell’Italia, un Paese il cui debito
sfiora il 135% del Pil, oggi rende appena il 2,8%. Questo significa che l’area
euro è pronta a festeggiare la svolta di Draghi con un’estate tranquilla? In
apparenza sì, eppure i segnali della fragilità dello stato di calma raggiunto
sono troppi per poter essere ignorati. Ci sono le cronache dei mercati, che non
portano solo buone notizie. (…). Nel frattempo la produzione industriale in
Italia ha segnato una brusca battuta d’arresto di maggio. Il Centro studi
Confindustria stima che nel secondo trimestre il settore manifatturiero sia
stato in arretramento dello 0,5%. Un calo più marcato di quello dello 0,1% del
primo trimestre. Nel frattempo l’indice dei prezzi al consumo resta paralizzato
allo 0,3%, mentre i prezzi dei beni all’uscita dai cancelli delle fabbriche
stanno scendendo. Gli imprenditori sanno che hanno costi per la materia prima e
i macchinari più alti dei prezzi a cui riusciranno a vendere i prodotti. (…).
Il contesto non è semplice. (…). Quest’estate la ripresa tedesca si sta
mostrando più debole di come fosse atteso. La Germania ha avuto un primo
trimestre dell’anno di crescita solida, trainata più dalla domanda interna che
dall’export, ma inizia a soffrire del rallentamento dei clienti internazionali.
In particolare la Cina è fra i sospettati delle difficoltà dell’export tedesco.
La leadership della Repubblica popolare sembra aver compiuto la sua scelta:
dopo anni di eccesso di indebitamento delle imprese non tornerà più agli
estremi del passato per gonfiare artificialmente il tasso di crescita. Nel
secondo trimestre la Cina è cresciuta a un rispettabile 7,5% annualizzato,
oltre le aspettative, ma il boom di acquisti di beni d’investimento tipicamente
tedeschi non tornerà presto. Negli ultimi anni la Germania ha lavorato a
riorientare radicalmente i mercati di sbocco, dall’area euro verso i mercati
emergenti. Ma ora la frenata di questi contribuisce a rallentare l’economia
tedesca e, con essa, la domanda di beni intermedi del made in Italy. Questa
filiera dunque farà sì che la ripresa in Italia, se ci sarà, non sarà
pronunciata. (…). Di recente il Fondo monetario internazionale ha ridotto la
sua stima del potenziale di crescita americano al 2%, cioè ha ridotto quello
che si considera un po’ il limite di velocità del motore dell’economia.
Incidono tre fattori. C’è la polarizzazione sociale, che frena la domanda
perché l’aumento dei redditi solo per l’1% più ricco non produce un aumento di
consumi significativo (fa ridere la trovata degli ingenui, improvvisati
amministratori del bonus di 80 € che nessuno ha visto essersi trasformato in ingenti
acquisti n.d.r.). Inizia a sentirsi, anche in America, l’aumento dell’età media della
popolazione: il numero di persone in età da lavoro cresceva dell’1,2% l’anno
negli anni ’90 ma è salito di appena lo 0,4% nel 2013; la forza-lavoro in
America è già scesa dal 67% al 63% della popolazione. Infine ci sono le nuove
tecnologie, che per ora tardano a far sentire i loro effetti sugli aumenti
della produttività. Il risultato è che l’Europa e l’Italia oggi si stanno
muovendo in un mondo senza locomotive. (…). Il governo aveva messo in conto una
crescita dello 0,8% per quest’anno e, se va bene, non supererà lo 0,3%. Con tre
milioni di disoccupati ufficiali - ma di fatto il doppio - l’Italia non se lo
potrebbe permettere. I numeri raccolti da Credit Suisse dicono che la crescita
media del Paese dal 1990 al 2012, una fase che include lunghi periodi di boom
globale, è stata di appena lo 0,9% l’anno. Nello stesso periodo la Spagna è
cresciuta del 2,3%, la Grecia dell’1,3%, la Germania dell’1,7% e la Francia dell’1,6%.
Ciò significa che, per gli italiani, aspettare che il resto del mondo li tiri
fuori dai guai non è più un’opzione. Se nulla cambia nel Paese, la ripresa che
arriverà sarà comunque insufficiente a riassorbire la disoccupazione e
contenere il debito pubblico. (…). I punti interrogativi più seri si pongono
semmai per i mesi seguenti. Fra ottobre e novembre si saprà se alcune banche
italiane hanno fallito gli esami della vigilanza europea e se avranno bisogno
di un intervento pubblico per ricapitalizzarsi. Se succedesse, il debito
pubblico potrebbe salire ancora e la normativa europea prevede che certi
obbligazionisti delle banche stesse debbano subire delle perdite sui loro
crediti (…). È per questo che il governo Renzi ha davanti a sé un’estate (abbastanza)
tranquilla.
Nessun commento:
Posta un commento