"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 31 maggio 2014

Sfogliature. 24 “L´occasione della crisi”.



Segnava l’anno undicesimo del terzo millennio. Anno quarto dall’inizio della grande “crisi globale”. Al tempo i visionari ed i negazionisti s’industriavano a diffondere la vulgata della non-esistenza della grande “crisi globale”. Oggigiorno sappiamo bene come sia andata a finire. Il primo di ottobre dell’anno 2011, prima ancora che questo blog trasmigrasse sull’attuale piattaforma digitale, mettevo in Rete il primo post della serie “Capitalismoedemocrazia”. Titolo di quel post che ho fortunatamente salvato dagli abissi oscuri della Rete: “L´occasione della crisi”. A quel tempo era tutto un vaticinare soluzioni affinché la “crisi globale” fosse di slancio superata. Affinché la corsa alla “ripresa”, altra parola magica, per non voler dire alla ripresa del grande consumo o sperpero collettivo, potesse in breve tempo ripartire. Cinismo puro! Poiché al tempo, quale imputato primo della grande “crisi globale”, veniva indicato lo Stato sociale. Fortuna e vanto della vecchia Europa. E tutti ad andar dietro alla bugiarda novella: ridimensionare se non abbattere lo Stato sociale. La Grecia ha insegnato. Intanto  accadeva che i soliti noti approfittavano della grande “crisi globale” per ri-sistemare i giganteschi conti in rosso delle banche e delle varie attività finanziarie.

venerdì 30 maggio 2014

Cosecosì. 82 “Il carisma e quelli che… ho ragione io e basta”.



È che il post-elezioni è sempre difficile da metabolizzare. Finite sono le suggestioni. Di quelli che hanno, a dir loro, vinto. Di quelli che non ammetteranno mai di aver perso. È che nel post-elezioni si perde di vista quello che un tempo veniva definito il “bene comune”. Che nelle democrazie rappresenta il massimo dei traguardi. Poiché il risultato elettorale non è mai, in verità, il misuratore della buona salute delle democrazie. La Storia grande sta lì a darcene prove inconfutabili. Anzi è all’indomani delle elezioni che vengono allo scoperto i malanni che affliggono le società democratiche. Soprattutto in quelle nella quali la “pialla” del potere ha ben levigato il pensiero critico. Per la qual ragione montano in cattedra “Quelli che… ho ragione io e basta”. Che poi è il titolo del pezzo che Bruno Tinti ha pubblicato su “il Fatto quotidiano” di oggi.

giovedì 29 maggio 2014

Storiedallitalia. 52 Storie dall’Italia post-elettorale.



Ben strano paese è l’Italia. Quella che sorprende sempre gli stranieri. Che ci ridono sopra. Dopo. Strano assai questo paese dove diventa difficile stabilire vincitori e vinti. Ché di vincitori e vinti vien giusto di parlare, dopo aver trasformato il voto elettorale in una gara a chi le sparasse più grosse. Donde, come in tutte le gare, ci sarà pure un vincitore e ci sarà pure un vinto. Altrimenti che gara è stata? Ma nel paese delle stranezze può accadere che ci sia pure una “vittoria posticipata” ma sempre vittoria è. Ecco, una vittoria a tavolino.

martedì 27 maggio 2014

Storiedallitalia. 51 “Il cupio dissolvi della politica italiana”.


Le mie prime impressioni post-elettorali. Di quelle che sono state le cosiddette “elezioni europee”. Durante le quali non è stato possibile rintracciare traccia alcuna dell’Europa. Come svanita. Presi come si era dalle beghe della politica de’ noantri. Giustamente ne ha scritto Filippo Ceccarelli sul quotidiano la Repubblica all’indomani di quelle elezioni. Con quale titolo? “Sputi digitali, selfie e istrionismo il cupio dissolvi della politica italiana”. Gran titolo! Elezioni che, quanto prima, scompariranno dalle prime pagine dei media per sprofondare nell’abisso oscuro della memoria e delle coscienze. Di tutti. Prima impressione. Al seggio elettorale. Consegno la mia tessera elettorale al giovanissimo componente del seggio. Sul grande registro elettorale squadernatoglisi, come orrido profondo, davanti, percorre quel tapino – “tapino”, secolo XIII, nel senso di “infelice” - avanti ed indietro gli innumerevoli fogli. Capisco che vada cercando la lettera “Q” con la quale inizia il mio cognome. Non riesce a trovarla. Interviene l’altro scrutatore ed il problema viene risolto. Il primo giovanissimo componente del seggio risulta essere digiuno del succedersi delle lettere dell’alfabeto. Venti anni sprecati durante i quali si soleva dire che con “la cultura non si mangia”. Ma senza cultura si muore. D’inedia spirituale. Soprattutto. Nella cabina di voto. Provo un’ebbrezza che avevo dimenticato grazie al “porcellum”. Posso finalmente votare le persone che mi sono gradite. L’effetto lettera “Q” è ancora prossimo e molto vivo. Ed allora voto nell’ordine: Barbara Spinelli, Ermanno Rea e Valeria Parrella. Sanno scrivere cose sensate. Sapranno di certo comunicare. Rappresentano quella cultura tanto disprezzata nel bel paese. Le condizioni disastrate del bel paese si giustificano anche per questo. Non conoscere la successione delle lettere dell’alfabeto. O no?

sabato 24 maggio 2014

Cosecosì. 81 Europa al tempo dei giullari.



Europa non è perfetta. Europa non è la dea che abita un eburneo empireo. Europa non è la mitica figlia del re dei Fenici. Europa siamo noi. E se Europa è imperfetta lo è per le imperfezioni che riempiono la nostra umanità. Europa è perfettibile. Ma affinché migliori ha bisogno di un’umanità che sia nuova. Non certo l’umanità del secolo ventesimo con le sue immani tragedie. E neppure l’umanità che ha preceduto quella. Ma di Europa si parla poco come se fosse disdicevole il solo nominarla. Ché se Europa è divenuta una baldracca lo si deve a chi non ha saputo allevarla. Poiché se si vuole che Europa diventi la nobile signora che tutti attendono non è concesso a nessuno che ci si disinteressi del suo avvenire. Europa ha bisogno di gambe forti e lunghe per sopravanzare il tempo della “crisi” che devasta.

venerdì 23 maggio 2014

Eventi. 18 “Renzi, Grillo e gli stambecchi”.



Mi scrive l’amico carissimo E. N. – il “compagno Ennio” – di “primo mattino” per come sta scritto all’oggetto della e-mail. Cosa mi scrive? Scrive: Ma lo sa la gente che andrà a votare che molte delle norme cui noi siamo sottoposti sono emanate da Organi Europei? Sarebbe stato opportuno che prima delle elezioni si fosse spiegato al grande pubblico quali sono le funzioni del Parlamento Europeo, della commissione Europea e del consiglio dei ministri Europeo. Niente di tutto questo. In campagna elettorale si è parlato delle nostre miserie  della vivisezione di Dudù e del tribunale del popolo on-line. Ed i mass media han dato spazio a queste facezie. Eppure dal risultato delle urne dipenderà parte non insignificante del nostro futuro, a prescindere dalle politiche dei governi nazionali. Come non accogliere l’accorato grido d’allarme del “compagno Ennio”? Come non essere dalla sua parte quando denuncia il limite gravissimo dello stato della nostra democrazia? Il carissimo “compagno Ennio” conosce il mio pensiero che da tempo è divenuto il mio allarme per le sorti della democrazia nel bel paese. È quello, il mio allarme,  della “scarnificazione del pensiero” dei singoli e delle comunità che la politica nel suo insieme ha perseguito e persegue tuttora.

mercoledì 21 maggio 2014

Storiedallitalia. 50 “’U professuri”.



Sta scritto sul dizionario Sabatini-Coletti che per “ditirambo” – la sillabazione del quale è “di-ti-ràm-bo”, s.m. – intendesi “1 Nell'antica letteratura greca, forma corale di poesia lirica; 2 Nella letteratura italiana, componimento poetico di metro vario che esalta le gioie della vita, in partic., del vino e dell'amore; 3 fig. Discorso, scritto di tono elogiativo; • sec. XVI”. Di un ditirambo me ne sono occupato di recente ovvero il 24 di aprile ultimo col titolo “Il ditirambo dell’Eugenio” ove l’Eugenio è il fondatore del quotidiano a più forte tiratura e diffusione del bel paese. Nell’occasione la carità cristiana, che mi soccorre in particolari momenti della mia vita, pur non professandone la fede, mi consigliò di risparmiare agli incauti frequentatori di questo diario-in-rete la trasposizione del ditirambo di cui sopra. Nonostante ciò quel post del 24 di aprile figura tra i post più popolari di questo blog. Una ragione pur ci sarà. E così, come soccorrendomi ancor una volta la cristiana carità, ho evitato di ammannire agli incauti visitatori un altro ditirambo dell’Eugenio comparso nell’abituale suo domenicale del 18 di maggio che per titolo fa “Il 25 maggio bisogna votare per Renzi e per Schulz”.  Sennonché oggi mi sono imbattuto in un nuovo devastante ditirambo, sempre sul quotidiano più forte in tiratura e diffusione nel bel paese, a firma di Massimo L. Salvadori, ditirambo che ha per titolo “Le scelte che fanno la differenza”, titolo che per certi versi è molto intrigante. Chi non possiede voglia di scoprire le differenze?

martedì 20 maggio 2014

Cosecosì. 80 “Una giornata particolare”.



Una “giornata particolare” questa mia. Una giornata insolita. Una giornata che potrei definire tutta “al femminile”. Non fatevi fuorviare. Non è la “giornata particolare” descritta dalla celeberrima opera cinematografica di Ettore Scola. Quella che è stata narrata con sublime raffinatezza e maestria – (1977), premio Oscar come miglior film straniero - risale ad una “giornata particolare”  del 6 di maggio dell’anno 1938. La Roma è fascista  da un bel pezzo ed accorre per festeggiare quell’Hitler venuto in visita al “duce” dell’Urbe. Una “giornata particolare” per Antonietta – Sophia Loren -, sfiancata da ben sei maternità e dalle fatiche casalinghe, moglie di una "camicia nera" e fascista pur essa. La fuga salvifica da quell’ambiente tutto “in nero” del pappagallo di casa le farà incontrare il coinquilino Gabriele – Marcello Mastroianni, premio Oscar -, già annunciatore dell’E.I.A.R licenziato con l'accusa di "sovversivismo", ma, in realtà, per essere diversamente uomo. La comprensione e le sensibilità affini dei due hanno il sopravvento ed aprono i loro animi a confidarsi le pene del vivere. Alla sera di quella “giornata particolare” Antonietta tornerà ad essere la “femmina” al servizio del marito e della famiglia, Gabriele sarà portato via dai poliziotti ed inviato al confino politico. Per qualcuno una lussuosa vacanza! La mia è pur sempre una “giornata particolare”. Senza eroismi, senza enfasi.

venerdì 16 maggio 2014

Cosecosì. 79 “W la squola”.



Ri-torno a parlarne. Della “squola” ovviamente. Di quella che i buoni maestri sottolineano di rosso. Ché di quella “squola” serbo il ricordo più raccapricciante. Anche se oramai sfumato dal tempo che è passato. Ri-torno a parlarne dopo aver ri-visto lo stucchevole film di Daniele Luchetti “La scuola” (1995), la sceneggiatura del quale si è avvalsa del contributo straordinario di un profondissimo conoscitore della “squola”, quella con la “q”, quale è Domenico Starnone. Questa volta mi sono trovato a rivedere l’opera di Daniele Luchetti in buona e numerosa compagnia. Ne è venuto fuori che il personaggio più “apprezzato” e più preso in considerazione di stima dagli astanti non è stato il professor Vivaldi, magistralmente interpretato dall’ottimo Silvio Orlando, ma quel tale Mortillaro, braccia sottratte all’agricoltura come suol dirsi, insegnante – si fa per dire – nel film della lingua francese. Le mie argomentazioni non sono valse a nulla. E sì che mi sono provato a citare i risultati di una ricerca commissionata alla Hay McBer dal Ministero inglese dell’Istruzione e del Lavoro. Una ricerca che, al tempo, mi premurai di diffondere tra i miei colleghi ma per la quale ottenni scarsissima considerazione. Se non commenti poco benevoli. Donde il ricordo raccapricciante che ancora perdura di quella “squola”. O meglio, di quel tipo di scuola che definirei alla “Mortillaro”. Dalla ricerca inglese ne veniva fuori il tratteggio di quello che potremmo definire “un buon insegnante”. Lontano misure siderali dalla macchietta umana del prof. Mortillaro del film di Daniele Luchetti.

mercoledì 14 maggio 2014

Storiedallitalia. 49 “La grande amnesia italiana”.



Ha scritto Ezio Mauro nel Suo editoriale del 12 di maggio sul quotidiano la Repubblica – “La grande amnesia italiana” -: Ma (…) non sta molto bene nemmeno la pubblica opinione, (…). Nei Paesi di democrazia diffusa, e attiva, è un soggetto ben distinto dal potere, capace di controllarlo, giudicarlo e soprattutto di pretendere un costante rendiconto. Eccitata da Tangentopoli, credendo di essere diventata protagonista, la pubblica opinione italiana ha affidato la sua fuoruscita da quella stagione a un presunto uomo nuovo che era in realtà il figlio legittimo, perfetto e riconosciuto del Caf, cioè quell'alleanza di potere più che di governo tra Craxi, Andreotti e Forlani, con cui l'agonia della Prima Repubblica cercò di prolungare se stessa prima di sprofondare nelle tangenti. La cosiddetta “pubblica opinione”. Invoca l’illustre notista una peculiarità propria dei paesi a democrazia avanzata. Che non esiste nel bel paese. Ché, seppure fosse stata sul nascere, le vicende indecorose dell’ultimo ventennio a questa parte hanno contribuito a bloccare inviluppandola in un intrico dal fondo del quale essa non riesce più a riemergere. E non vuole essere questa mia una stanca, querula denuncia. Del “mugugno”, come sport nazionale, ne siamo stanchi. È che quella peculiarità, la pubblica opinione contraltare del potere, è venuta a mancare nel bel mezzo del ventennio con una responsabilità che è da spalmare su tutte le componenti politiche. Ho testimonianza delle passate denunce. Ritrovo un primo ritaglio datato 18 di luglio dell’anno 2010. È di un attento osservatore qual’è Ilvo Diamanti. Che provava a spiegare a quel tempo la mancata comparsa della cosiddetta “pubblica opinione” matura e consapevole. E responsabile. E che non fosse “unica”.

lunedì 12 maggio 2014

Cosecosì. 78 Beatitudini e santità.



È che un tarlo continua a rodermi dentro. Pur a distanza di tanti, tantissimi, lunghissimi anni. E sì che nel corso della mia vita, seppur tra contraddizioni e speranze vane, sono riuscito a prendere le dovute distanze da quella “impronta” che segna la vita di qualsivoglia cittadino del bel paese. Intendo dire di quell’”impronta confessionale” che solamente risolutive esperienze riescono a stingere ed a confinare in ambiti che non siano in diretta relazione con la sfera della ragione. Rimane lì, quell’”impronta”, nella sfera delle memorie, dei ricordi, delle esperienze infantili o preadolescenziali ed ogni tanto riaffiora per segnalarti la sua inquietante latente presenza. Poiché può accadere a chiunque di noi, a seguito di una esperienza quotidiana, dalla visione di un film o dalla lettura di un libro, di vedere riemergere dal profondo della coscienza quell’”impronta” lì che pensavi d’avere cancellato. Come è accaduto a me. Con il riapparire, a seguito dell’”impronta” di cui sopra, di un’immagine che ritenevo oramai perduta nei meandri della mia memoria quasi senile. E mi rivedo fanciullo confuso in uno stuolo di fanciulle pronti all’atto della prima comunione. E mi rivedo con quel singolare al tempo – si usa ancor’oggi? - nastro bianco attorno al mio braccio votato a ricevere e consumare il mio primo atto di “teofagia”. “Teofagia” come adesione, inconsapevole allora, ad una educazione dottrinale ammannita indistintamente purché sia. Ed il tarlo torna a rodermi ancor’oggi dal di dentro come in quelle mie verdi stagioni. Un tarlo profondo che chiama in causa ora, come allora, una figura tra le più importanti ed inquietanti dell’intiero impianto dottrinale. Quella del cosiddetto “spirito santo”. E sì che sulla prima figura della triade non avevo e non ho nulla da dire ancor’oggi. È che sulla prima figura, rappresentata doviziosamente ora con barba fluente ed immancabilmente bianca, non proprio da padre pacione, ora come un triangolo luminescente che sembra scrutare di sottecchi l’intero genere umano per un giudizio di dio inflessibile e definitivo, su quella prima figura dicevo non ho mai avuto molto da dire. Il mistero di essa, da nessun essere umano mai sensorialmente avvertita od intravista, andava e va rispettato. Anche sulla seconda figura, rappresentata ora come un giovane aitante biondo con occhi cerulei ed incarnato da uomo di alte latitudini, ché viene a contraddire la sua storica collocazione al mondo di uomo del medio oriente, oppure in tutte le altre improbabili rappresentazioni - ché del soggetto non è stata tramandato segno alcuno -, sulla seconda figura dicevo sono giunto nel tempo a stabilire un rapporto di rassegnata accettazione stante la mia personale convinzione che della realtà umana della stessa in fondo poteva pur starci un brandello di verità. Non di più. Ma il tarlo che mi ha scavato dall’interno e che continua a scavarmi è quando vado a ripensare alla terza figura della triade. Quello “spirito santo” del quale non riesco ad immaginare una rappresentazione che dir si voglia. Una colomba? Ma ha a che fare con la pace? Storicamente ne dubito. Ché quella figura, peraltro, viene ad assumere nella precettistica un rilievo imponente e determinante. Ovvero, d’ispirare le chiesa tutta ed il suo pastore d’anime. Ed in quella dimensione il tarlo mio ha rosicchiato le certezze d’una improbabile carica di fede instillata sin dagli anni più verdi della mia vita come di altro qualsivoglia virgulto. Nell’occasione è stata la lettura di una riflessione di Umberto Galimberti a risvegliare di brutto il tarlo mio. Sembra proprio che l’illustre Aurore abbia atteso che la polvere calasse ed avesse il tempo di posarsi pesantemente sull’evento mediatico di qualche giorno addietro. E così, allontanato dall’attenzione dei media quel fatto divenuto nell’immaginario collettivo straordinario, ha pensato di scrivere sull’ultimo numero del settimanale “D” un pezzo che ha per titolo “Wojtila: anche i santi sbagliano”. È qui che il tarlo della mia mancata fede riemerge prepotente: “anche i santi sbagliano”? Ma come, e lo “spirito santo” cosa ci sta a fare? L’illustre Autore, infatti, ora che la polvere ha seppellito il clamore dell’accadimento, prende le giuste misure per scrivere: Con tutto il rispetto per i devoti di papa Giovanni Paolo II, qualche osservazione a margine del suo pontificato, dopo l'onore degli altari. E qui non si fa omaggio alla Storia. Quella grande per l’appunto. Ché di quelle osservazioni, nell’indifferenza dei più, la grande Storia ne è testimone.

giovedì 8 maggio 2014

Capitalismoedemocrazia. 48 “Piketty e il capital in the XXI century”.



Scrive Stefano Feltri su “il Fatto Quotidiano” di ieri, mercoledì 7 di maggio, chiudendo la Sua presentazione del volume di Thomas Piketty “Capital in the XXI century” – Belknap press (2014), pagg. 696 - “Piketty riscrive l’economia: i ricchi vinceranno sempre” -:  Adesso ci vuole qualcuno (di sinistra) che scopra come distruggere la Pikettynomics e il suo cuore che Robert Solow identifica nel “meccanismo del ricco che diventa più ricco”. E mi viene spontaneo chiedermi cosa ci sia “di sinistra” in tutto il bailamme di proposte che il rampante primo ministro del bel paese propone a getto continuo. Proposte che di converso vanno nella direzione opposta a quelle sensibilità che la sinistra sembra avere smarrito. Nell’era della globalizzazione il peccato più grande che la sinistra abbia potuto commettere è stato quello, e perdura nell’azione del governo dei giovani, di appiattirsi, se non inseguirle, sulle proposte economiche e politiche del liberismo della finanza.

martedì 6 maggio 2014

Storiedallitalia. 48 “In quale paese… E poi dicono la Germania”.



“La libertà di Berlusconi è un'indecenza. Un delinquente patentato può evitare di scontare la pena – attraverso l’affidamento ai servizi sociali – solo “nei casi in cui si può ritenere che il provvedimento contribuisca alla rieducazione del reo” (art. 47 della Legge sull’ordinamento penitenziario). Era chiaro perciò che le condizioni stabilite dalla legge per tale misura rieducativa non sono mai esistite. Non revocarla immediatamente diventa ora un affronto alla legge eguale per tutti, visto che il reo Berlusconi Silvio sta utilizzando quotidianamente il privilegio che gli è stato concesso per infangare le istituzioni, insultando come golpisti i magistrati che lo hanno condannato, e come torturatori quanti stanno cercando di assicurare alla giustizia il suo degno compare Dell’Utri, o addirittura per insultare un intero popolo con la speranza di un lurido tornaconto elettorale. Basta! La legge eguale per tutti viene calpestata ogni minuto di più che Berlusconi continua a passare in libertà, anziché in galera o in stringenti “domiciliari” che gli inibiscano radicalmente la scena pubblica, che invece continua impunemente a lordare. Primi firmatari: don Aldo Antonelli, Roberta De Monticelli, Angelo d'Orsi, Paolo Flores d’Arcais, Giorgio Parisi, Adriano Prosperi, Luciano Gallino, Ascanio Celestini, Salvatore Borsellino, Carlo Bernardini, Carlo Flamigni”. È questo il testo dell’appello apparso sul sito della rivista “MicroMega” il 2 di maggio. La mia firma di sottoscrizione è stata la tremilaseicentoottantasettesima. Alle ore 15.00 di oggi le firme sono trentaduemilaseicentosei. Sottoscrivendo l’appello ho lasciato il seguente messaggio: L'indecenza denunciata dal Vostro appello la si potrebbe cancellare rimuovendo da tutte le aule dei tribunali la scritta "la legge è uguale per tutti". È avvenuto che anche il giudice di Milano abbia dato man forte affinché fosse chiaro che nel paese chiamato Italia la giustizia è una giustizia legata al censo ed alla appartenenza alla cosiddetta "casta" dei politicanti. È rimuovendo quella scritta dalle aule dei tribunali che si porrà rimedio all'indecenza in atto. E forse avverrà anche una riconciliazione con le degradate istituzioni repubblicane. La realtà è questa, tutto il resto è menzogna e vergogna.

venerdì 2 maggio 2014

Capitalismoedemocrazia. 47 “Bread & Roses”.



Ieri è stato il primo di maggio. Una data che, nello spirito del tempo che mira all’omologazione al ribasso ed alla scomparsa di qualsivoglia idealità e memoria, sarà passata per i più nell’indifferenza più assoluta. Avranno fatto rumore, ma solamente un po’, gli annunciati concerti; per il resto il nulla più assoluto. E così anche di questa data andrà perduta la forte carica simbolica e la memoria che essa ha sempre rappresentato per generazioni e generazioni di “quellichelasinistra”. È l’apoteosi dello spirito del tempo che trova nell’obnubilamento delle coscienze e della memoria la più grande delle vittorie. È su questa impietosa direttiva dello spirito del tempo che i numerosi e grandi mass-media si sono sintonizzati nella ricorrenza. Nelle loro programmazioni non un pur che timido accenno alla giornata del 1° di maggio. Tranne la piccola “Laeffe” della casa editrice Feltrinelli che in prima serata ha mandato in onda quel film straordinario di Ken Loach che ha per titolo “Bread & Roses”. La stupenda opera cinematografica è dell’anno 2000, ben prima che scoppiassero tutte le bolle finanziarie di questo mondo globalizzato. Ma essa, quell’opera intendo dire, mette a nudo l’eterna contrapposizione tra sfruttati e sfruttatori.

giovedì 1 maggio 2014

Uominiedio. 13 Il demonio ed il dio danaro.



Gracchia il citofono. Chiedo: - Chi è? -. Lei: - Buon giorno, non mi conosce ma posso farle una domanda? -. Sono le 9 del mattino. Comincia bene la giornata! La voce è giovanile. Mi concedo per la domanda. – Secondo lei qual è il male del mondo? -. Da stendere chiunque. Rispondo: – Il danaro -. Lo smarrimento dell’intervistatrice deve essere enorme. Di certo non si aspettava una rispostaccia del genere. Scorre del tempo che sembra una eternità. L’intervistatrice ha però il tempo per riprendersi. Propone la sua versione. – Sì, il denaro va bene, ma del demonio cosa ne pensa? -. Oh dio, ora cosa c’entra il buon diavolo che nella economia del creato avrà pure il suo provvidenziale ruolo? Ribatto: - Penso che il vero demonio del mondo sia il danaro -. Mi verrebbe a questo punto di considerare finita l’intervista. Ma mi sento cortese alle 9 del mattino. La replica arriva, questa volta velocissima: – Sì, ma per sconfiggere quel demonio che lei dice cosa bisognerà fare? -. Rispondo: - Che gli uomini crescano un tantino di più, che se ne facciano una ragione, che maturino una maggiore consapevolezza del valore della propria vita -. Lei insiste: - Ma c’è Dio che sconfiggerà il demonio e renderà il mondo migliore e più giusto -. Mi sento sconfitto. Il demonio è l’unica identità reale che la mia intervistatrice riesca a pensare ed in cui credere. Per mia fortuna il suo benaugurante “buongiorno” chiude l’anomala intervista al mio citofono. Credo di poter dire essersi trattato di un incontro al citofono con una di quelle meravigliose persone che dedicano il loro tempo libero per la salvezza dei loro miscredenti fratelli in umanità. Di quelle meravigliose persone che per strada consegnano con un sorriso, quasi sempre, un foglietto che riporta passi del libro dell’antico testamento. Con quelle meravigliose persone si potrebbe interloquire all’infinito ma sarà impossibile rimuoverle dalle loro convinzioni.