“Quando manca la coscienza” Barbara Spinelli lo ha scritto il 6 di
luglio dell’anno 2011 sul quotidiano la Repubblica. Di questa rubrichetta senza
pretese, allora, non mi sfiorava neanche l’idea. E se è pur vero che tutto in
questo mondo sta scritto da qualche parte essa, quell’idea intendo dire, era
sicuramente scritta nella mente di un dio dei nostri cieli. È così per noi
mortali, arrivare per ultimi anche alle cose che ci riguardano da vicino. Ritrovo
quindi quel “pezzo” tra i tantissimi ritagli alla data giusta per infoltire la
rubrichetta senza pretese. È che in esso, nel “pezzo” intendo dire, la grande
opinionista – e vi sarete certamente accorti che Barbara Spinelli rappresenta
per me quasi una Musa ispiratrice – scrive di quella “morale pubblica” che è insufficiente
nel bel paese a tutti i livelli, così come parla di un pre-requisito senza il quale la “morale
pubblica” rappresenta un vuoto parlare, un puro esercizio di banalità e
di quant’altro ha a che fare con la negazione della cittadinanza matura e
responsabile. Scrive infatti: Di che c’è bisogno dunque, per metter fine
alla leggerezza del vizio che riproduce sempre nuovi boiardi e nuovi disastri
trasversali (…)? Gli ingredienti mancanti sono sostanzialmente due: una memoria
lunga della storia italiana, e un’idea chiara di quelle che devono essere le
virtù politiche a prescindere dalle norme scritte nel codice penale. La
memoria, in primo luogo. Ecco la Memoria che rispunta come necessario
pre-requisito perché si crei una democrazia matura. “La memoria dei giorni passati”
per l’appunto. È che i nemici della democrazia compiuta hanno da sempre
avversato ed avversano la Memoria. È essa a dare sostanza e forme alla democrazia. Svuotata la Memoria,
“scarnificato” a bella posta il pensiero, i nemici della democrazia possono
vantare di aver vinto la partita. Scrive Barbara Spinelli che da questa
sconfitta della Memoria, ed aggiungo io dalla “scarnificazione” mirata del
pensiero, ne diviene qualcosa di veramente terribile per una democrazia: Il
fatto è che ci stiamo abituando a restringere la nozione di morale pubblica.
L’assimiliamo a una condotta certamente cruciale - l’osservanza delle leggi,
sorvegliata dai tribunali - ma del tutto insufficiente. Perché esistano partiti
onesti, altri ingredienti sono indispensabili: più personali, meno palpabili,
non sempre scritti. Attinenti alle virtù politiche, più che a un dover-essere
codificato in norme scritte. Precedenti le stesse Costituzioni. (…). E
ritornando alla Memoria specifica: Non si parla qui di un
semplice rammemorare. Le celebrazioni ci inondano e forse anche ci svuotano;
esistono date che evochi continuamente proprio perché sono stelle morte. Per
memoria intendo la correlazione stretta, e vincolante, tra ieri e oggi: ogni
atto passato (come ogni omissione) ha effetti sul presente e come tale andrebbe
analizzato. Diveniamo responsabili verso il futuro perché lo siamo del passato,
di come abbiamo o non abbiamo agito. La coscienza del passato. È l’ingrediente
senza il quale il presente si svuota, non ha valore alcuno, e quella mancata
coscienza ancor di più priva le società di quella visione del futuro che
dovrebbe essere tra le preoccupazioni maggiori per una cittadinanza matura e
responsabile. Riprende Barbara Spinelli nel Suo straordinario “pezzo”: Il
ragionamento di Tocqueville sull’individuo democratico vale anche per le sue
azioni, specialmente politiche: la catena aristocratica delle generazioni viene
spezzata, e lascia ogni anello per conto suo. Così come avviene per
l’individuo, l’atto - sconnesso dalla
vasta trama dei tempi - “non deve più nulla a nessuno, si abitua a considerarsi
sempre isolatamente (…) Ciascuno smarrisce le tracce delle idee dei suoi
antenati o non se ne preoccupa affatto. Ogni nuova generazione è un nuovo
popolo (…). La democrazia non solo fa dimenticare a ogni uomo (a ogni azione) i
suoi avi, ma gli nasconde i suoi discendenti e lo separa dai suoi
contemporanei: lo riconduce incessantemente a sé stesso e minaccia di rinchiuderlo
per intero nella solitudine del suo cuore” (…). Il secondo ingrediente,
essenziale, è la virtù personale del politico. Indipendentemente dal codice
penale, essa dovrebbe escludere frequentazioni di mafiosi, (…), assuefazione
infine alla droga che è il conflitto d’interessi. (…). Lo scandalo esiste solo
quando la magistratura interviene: qui è il male italiano (…), e per questo è
urgente pensare la morale pubblica. Il mondo si rimette nei cardini così:
individuando il punto dove la legge non arriva, e però cominciano le indecenze,
le cattive frequentazioni, la triviale leggerezza del politico. Non tutte le
condotte sono perseguibili penalmente (…) ma politicamente non denotano né
probità né prudenza: due virtù fra loro legate. Si parla di giustizialismo, del
potere dei giudici sulla politica. Se questo accade, è perché la morale
pubblica ha come unico recinto la magistratura, e non anche la coscienza.
Borsellino ha detto, in proposito, cose che restano una bussola: “La
magistratura può fare solo un accertamento giudiziale. Può dire: ci sono
sospetti, anche gravi, ma io non ho la certezza giuridica (…). Però siccome
dalle indagini sono emersi fatti del genere, altri organi, altri poteri, cioè i
politici, cioè le organizzazioni disciplinari delle varie amministrazioni, cioè
i consigli comunali o quello che sia, dovevano trarre le dovute conseguenze da
certe vicinanze tra politici e mafiosi”. Se le conseguenze non sono state
tratte, “è perché ci si è nascosti dietro lo schermo della sentenza”. (La
presenza di grossi sospetti) “dovrebbe quantomeno indurre, soprattutto i
partiti politici, non soltanto a essere onesti ma a apparire onesti, facendo
pulizia al loro interno di tutti coloro che sono raggiunti comunque da episodi
o da fatti inquietanti anche non costituenti reati”. Era questo il fresco
profumo di libertà che augurava all’Italia, prima d’esser ammazzato. Non era
flatus vocis, il suo, anche se è stato preso per tale da un’intera classe
politica. (…). E su questi temi sembra sia disceso il più gelido degli
“inverni”. È l’”inverno” della democrazia. Gelido.
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