Se foste Voi il giudice. Scrive
in “punta di diritto” Bruno Tinti su “il Fatto Quotidiano” del 27 di luglio
2013 – “Fisco, si fa presto a dire «necessità»”
-: La
legge prevede da millenni le cosiddette “scriminanti”, dette anche “cause di
giustificazione”. Tra queste c’è lo “stato di necessità”, art. 54 del codice
penale: “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto
dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave
alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti
evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo”. Come sempre,
l’interpretazione della legge va fatta con attenzione. Fin qui il fine
giurista. Ed il costume di un paese? Anzi il malcostume? Due fatti. Incontro
l’amico divenuto nel tempo intraprendente imprenditore. Avrò il fatto già
raccontato. Da artigiano è divenuto nel tempo un “rampante”. Gira in Suv nera,
come prescritto. Non ha la semplicità di un tempo ma è divenuto sussiegoso. Il
nuovo stato ne ha fatto una persona diversa. In quell’occasione ha avuto modo
di deplorare uno Stato vampiro a suo dire. Ché, spiega, se lui non avesse evaso
gli obblighi fiscali non avrebbe potuto realizzare quel che ha realizzato. Cose
da inorridire. Dette con una sfrontatezza che non ha eguali. Alla mia risposta
intransigente che non vi era giustificazione alcuna all’evasione degli obblighi
fiscali – nel contempo il rampante usufruisce di tutti i servizi di uno stato
sociale colabrodo – pur di divenire un nuovo rampante in Suv, non ne è apparso
pienamente convinto ed il suo saluto è stato, nell’occasione laconico e senza
il calore emotivo di altre occasioni. Il suo “stato di necessità”? Ampliare la
sua attività di imprenditore. Ma al contempo, senza vergogna alcuna, godere dei
servizi e dei sussidi dello stato sociale pagato dagli altri. Aggiunge Bruno
Tinti: Il pericolo deve essere attuale (l’attualità è variabile: ho fame oggi;
il bilancio chiuderà in perdita tra un anno); se non è così, c’è tempo di
cercare soluzioni alternative. Il danno deve essere grave, per restare
all’esempio, abbiamo fame, i bambini sono ammalati, l’azienda chiude sicché io
non guadagnerò più una lira e i dipendenti perderanno il posto di lavoro. Il
fatto (illecito) deve essere proporzionato al danno: se il problema è che non
posso cambiare l’automobile o andare in vacanza; o che devo abbandonare la casa
per andare ad abitare in una più piccola; in questi casi non potrò invocare la
scriminante: non ho un diritto insopprimibile a vivere agiatamente. Ma
soprattutto il pericolo non deve essere volontariamente causato. Questo è il
punto fondamentale. Se ho vissuto come un nababbo negli anni grassi senza
accantonare riserve o se ho fatto investimenti imprudenti; allora non posso
scaricare sulla collettività le conseguenze delle mie scelte sbagliate,
appropriandomi dei soldi dello Stato o facendo mancare il mio contributo,
obbligatorio ex art. 53 della Costituzione: “Tutti sono tenuti a concorrere
alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”. (…). Cosa
succederebbe se si potesse impunemente rubare un sandwich, giustificandosi poi
con la Polizia dicendo: “Avevo fame”? Magari è anche vero. Ma se hai in tasca
un pacchetto di sigarette che ti è costato 4 euro, la risposta sarà: “E perché
non hai comprato pane invece di sigarette?”. Naturalmente questo è solo un
esempio; ma bisogna rendersi conto che lo “stato di necessità” è una cosa
seria: proprio non si può fare altrimenti; e non deve essere colpa tua se non
si può. Fassina forse non lo sapeva. (…). Se Voi foste il giudice. Dall’imprenditore
rampante, senza doveri sociali, ad una storia minima condominiale. La solita
noiosissima, interminabile “riunione condominiale”. Bla, bla, bla… Ed il solito
caso del condomino moroso. Che espone il suo “stato di necessità”. In questi
termini precisi: che sia preferibile comprare il ciclo al figlioletto che
pagare le mensilità al condominio. Ma intanto usufruisce dei servizi che il
condominio provvede ad elargire. Fatto avvenuto nel nostro condominio. Se Voi
foste il giudice. In “punta di diritto” Bruno Tinti scrive: Avrebbe
senso dire: “Rubare un pezzo di formaggio quando si ha fame è una questione di
sopravvivenza”? La risposta giusta è: “Dipende”. L’analogia ha due meriti.
Consente di ragionare senza ostacoli ideologici: tutti (o quasi) sono convinti
che rubare non sta bene. E poi permette di riflettere sul fatto che una gran
parte dell’evasione (quella che riguarda l’Iva o le ritenute d’acconto)
consiste nell’appropriarsi di soldi non propri: non si tratta dei ricavi
dell’imprenditore o del lavoratore autonomo ma di quattrini che egli riceve
perché li consegni al Fisco (Iva) o che egli dovrebbe consegnare al dipendente
affinché questi li consegni al Fisco e che invece deve versare direttamente
(ritenute). Insomma, molto simile al furto. Allora, perché “dipende”? (…). Il
Tribunale di Trento ha ravvisato la scriminante dello stato di necessità nel
caso di un imprenditore i cui creditori non avevano pagato, privando l’azienda
di ogni liquidità e cagionandole una crisi gravissima. Il Gip di Milano ha
sostenuto la stessa tesi nel caso di altro imprenditore, vittima
dell’inadempimento della Pubblica Amministrazione. Il Tribunale di Milano ha
valorizzato la storia economica dell’azienda e le difficoltà, non a questa
imputabili, che le avevano impedito l’assolvimento degli obblighi fiscali. Qual
è la differenza tra queste sentenze e l’improvvida affermazione di Fassina? I
giudici hanno dichiarato non punibile l’inadempimento fiscale dopo un’indagine
approfondita sulla condotta del contribuente, accertando che la situazione di
illiquidità non era attribuibile a lui e valutando le conseguenze che ne
sarebbero derivate sull’azienda. Il che vuol dire: non versare Iva e ritenute
non si può fare, è reato; se non si è versato è perché condotte di terzi, non
prevedibili (esiste debitore più affidabile della Pa? E, evidentemente, i
debitori dell’imprenditore di Trento meritavano fiducia) lo hanno reso
impossibile; una condotta diversa avrebbe cagionato danni gravi, proporzionati
a quello cagionato al Fisco. Fassina ha spiegato ai cittadini che B aveva
ragione: oltre un certo livello (soggettivo naturalmente: ma come, volete che
mi venda la Porsche?) evadere è legittimo. Meglio se se ne stava zitto.
Se Voi foste il giudice. Anni addietro Marco Pannella avviò una iniziativa politica
affinché venisse abolita la ritenuta fiscale alla fonte a carico dei lavoratori
dipendenti – del pubblico e del privato - da riversare all’erario. Si ritenne, dai
più della mia parte politico-sindacale, me compreso, improvvida l’iniziativa e
non meritevole di sostegno alcuno. A distanza di tantissimi anni, da quel tempo
andato, quella iniziativa non mi appare più tanto peregrina. A pensarci bene la
fascia sociale del lavoro dipendente non ha mai potuto godere di una “stato di
necessità”. Ad ogni inasprimento fiscale, ad ogni torchiatura delle buste paga,
ad ogni manovra o manovrina quel parco buoi non ha avuto altro scampo che
stringere ancor più la cinghia. Mentre tutto il resto dei rampanti ha
provveduto di per sé a creare e fare proprio uno “stato di necessità”.
Evadendo. Mollando lo stato sociale ma continuando a godere dei servizi da esso
elargiti. Se Voi foste il giudice. Ha scritto Tito Boeri, in “La sopravvivenza dei furbi”, sul
quotidiano la Repubblica del 26 di luglio 2013: L’economia sommersa, l’insieme di
attività svolte senza pagare tasse e contributi sociali, conta tra un sesto e
un quarto del nostro prodotto interno lordo, a seconda della stime. (…). È una
piaga nazionale, un fardello che pesa sulla parte più avanzata del nostro
tessuto produttivo, localizzata soprattutto nel Nord del paese, costringendola
a pagare anche le tasse degli altri (…). Allontana la soluzione dei problemi
del Mezzogiorno. Perché l’illegalità alimenta altra illegalità ben più grave: è
proprio sullo smercio delle produzioni del sommerso economico che spesso vive e
vegeta la criminalità organizzata, come ci ha spiegato con rara efficacia
Roberto Saviano. Il sommerso viene storicamente tollerato in Italia. (…). È
comprensibile che non si voglia forzare alla chiusura imprese in un momento
come questo. Ma perché dobbiamo farne pagare lo scotto alle aziende, anche
queste piccole per lo più, che sono in regola? Non sarebbe meglio ridurre la
pressione fiscale sul lavoro per tutte le imprese e, al tempo stesso,
rafforzare i controlli? La verità non detta da Fassina e da chi ieri lo ha
applaudito è che chi oggi vuole abolire le tasse sulla casa, anziché quelle sul
lavoro, e vuole tollerare maggiormente l’evasione, ha scelto di far pagare di
più le tasse a chi le ha sempre pagate. È una scelta di politica economica
conseguente, che ha accomunato i governi di centro-destra, che hanno in gran
parte gestito la politica economica in Italia negli ultimi 15 anni. Ieri
abbiamo avuto da parte di un sottosegretario aspirante segretario del Pd, un
sorprendente segnale di continuità con quelle politiche. (…).
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