Scrive Curzio Maltese sul
settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 12 di luglio – “La lenta caduta del leader che lascia dietro di sé un Paese alla
bancarotta” -: Una generazione di padri puerili dovrà spiegare a una generazione di
figli resa adulta dalla crisi le strane ragioni per cui un Paese ricco di
talenti e di risorse si sia ridotto a un passo dalla bancarotta per inseguire i
sogni ignoranti di un imbonitore televisivo, di un peracottaro nemmeno così
affascinante e geniale come l’hanno dipinto servi e nemici. Una nazione non
soltanto rimbecillita, ma torvamente rimbambita. Attraverso il quotidiano
esercizio di un astio derisorio nei confronti di ogni forma di intelligenza,
eccellenza, rigore morale. Il peggio non sono state una politica economica
inesistente e una politica estera da buffoni, ma la sistematica svalutazione di
ogni valore di civiltà e cultura. Per vent’anni si è raccontato ai giovani che
non vale la pena di studiare e migliorarsi perché altre erano le strade verso
il successo. Lo scandalo vero di Berlusconi non sono Ruby e le altre ragazzine
alle cene di Arcore, ma la Gelmini ministro dell’Istruzione (e del
tunnel scavato dalla Svizzera al Gran Sasso n.d.r.). Il risultato di questa egemonia
anti culturale è devastante. Se proviamo
a far di conto la domanda del Nostro è rivolta a tutti quei padri che al tempo
della sciagurata “discesa in campo” avevano figli e figlie, oggi trentenni o ancor
di più avanti negli anni, che oggigiorno pagano le conseguenze di
quell’obnubilamento delle coscienze e delle menti. “Una generazione di padri puerili”
li definisce l’illustre opinionista. E non sbaglia. Ma anche prima il Nostro
non mancava di segnalare, a chi avesse avuto voglia e prontezza per raccogliere
le segnalazioni che da tante parti pur provenivano, la pessima piega che la
mala gestione della cosa pubblica aveva assunto nel bel paese. Voce nel
deserto. Ecco perché il “doveravatetutti” per quei padri
dovrebbe risuonare alto e forte. Le cose nella Storia non accadono per caso.
Esse si costruiscono lentamente nel bene o nel male. Non vale poi dolersene
come se quelle cose accadute ci siano piovute da un cielo lontano ed ostile.
Non è giusto. È la solita operazione di sottrazione alle proprie responsabilità.
Una pratica diffusa assai. Oggigiorno si scopre come quelle responsabilità
siano state inesistenti a causa di “una generazione di padri puerili”
persa, quella sì, dietro l’incantatore di turno. Ho ritrovato tra i miei
ritagli un altro pezzo di Curzio Maltese. Esso risale al 28 di gennaio
dell’anno 2011, dieci mesi prima che l’egoarca di Arcore venisse sfiduciato e
mandato via dai mercati. Dai mercati. A quel tempo Curzio Maltese titolava il
Suo pezzo, sempre per il settimanale “il Venerdì di Repubblica”, “Qui finisce l’avventura dell’«AlbertoSordi»
made in Brianza”. Ed in quel titolo si formulava, con due anni d’anticipo,
l’auspicio che quella avventura giungesse al suo termine. Non è stato così.
Oggigiorno ci si ritrova con “l’«AlbertoSordi» made in Brianza” a
fare il governassimo della “larghe intese”. Quali “larghe intese”? Su nulla. Se
non nel rimandare le decisioni ad un domani che sarà sempre un altro giorno. Forse
perso. Ma i figli di quei “padri puerili” ne pagano amaramente
le conseguenze. Scriveva allora Curzio Maltese: La parola chiave per capire il
quasi ventennio berlusconiano è nostalgia. Il contrario della sbandierata
modernità. Era ed è una vecchia Italia quella che si è nascosta per diciassette
anni dietro la maschera e la bandiera di Berlusconi. Vecchio, a sua volta, fin
dalla prima apparizione. Il messaggio della discesa in campo, lui col
doppiopetto e gli slogan degli anni Cinquanta, l’anticomunismo, il «ghe pensi
mi», «mi sono fatto da solo», «la trincea del lavoro», il boom economico.
Vecchio nel modo di parlare, di essere, di vestire, di vivere e divertirsi, di
fare televisione. Con tutti i vizi di una generazione cresciuta negli anni
Cinquanta, la misoginia camuffata da dongiovannismo, il chiagni e fotti, il fiero disprezzo per la cultura, l’assenza di
autentico umorismo dei barzellettieri, un’autoindulgenza spinta fino ai deliri
del narcisismo assoluto. Anche i pregi, certo: la tenacia, l’incredibile
capacità di lavoro, la combattività, il vitalismo. Un albertosordi della Brianza, assai poco innovativo come
imprenditore, rispetto a tanti colleghi del Nord. Ma tanto più sveglio nel
profittare, come avrebbe detto Gadda, del corto circuito
politico-professionale. Naturalmente, con la retorica qualunquista
dell’antipotere, di quello fuori dai giri. Nel privato, un ometto ricchissimo,
con la villona alle spalle e la moglie bella, le battute da capufficio bauscia,
il rimpianto per i bei bordelli d’una volta, il gusto per la finta canzone
napoletana e la greve imitazione degli chansonnier francesi. Letture zero,
libri intonsi da arredamento. In breve, l’incarnazione del sogno di molti
connazionali. Fondò il «moderno» impero televisivo portando a Canale 5 Mike
Bongiorno, pensionato Rai, sdoganando le maggiorate, serie di telefilm dismesse
dagli americani, un catafalco dei mezzibusti come Emilio Fede. Nel momento più
critico di Tangentopoli, alla vigilia di una svolta possibile nel Paese e
inevitabile nel resto del mondo dopo la caduta del Muro, Berlusconi ha
intercettato la nostalgia della maggioranza. Nostalgia di tutto, degli anni
Ottanta appena finiti, del boom economico, del comunismo e dell’anticomunismo e
sempre del fascismo, di un’Italia da 1948, di un’America e di mondo che non
sarebbero mai più stati come una volta. Nella ferma determinazione a ignorare i
temi veri della modernità, le nuove competizioni, l’immigrazione di massa, le
rivoluzioni tecnologiche, i mutamenti sociali. Per sua fortuna, i capi
avversari erano un gruppo di bolsi ex dirigenti del Pci. Ha foderato questa nostalgia
con una modernità di facciata e gli hanno perdonato tutto. La bolla di sapone
che ora esplode, rivelando il vuoto. Ecco quale è stato il miracolo del
Cavaliere di Arcore: fermare il tempo a quella “vecchia Italia” che non
esisteva più e che non poteva capire i processi planetari che andavano ad
imporsi. Un vecchio dentro e fuori che, grazie all’ignavia di quei “padri
puerili” catturati dalle sue fallimentari invenzioni, ha potuto
determinare il destino di un intero Paese. Ma la Storia non fa sconti a
nessuno, né tanto meno a chi ha voluto crogiolarsi nelle illusioni proprie di
una condizione puerile. Il conto è questo oggigiorno, salato ed amarissimo. Il
grosso guaio è che in quella “bolla di sapone” della quale parla
Curzio Maltese ci siamo colpevolmente
ricacciati. Ed oggi non ci sono più scusanti che tengano. Per la puerile
disattenzione. Ed i “padri puerili” stanno sempre lì, invecchiati e imbolsiti a
piangere su un destino cinico e baro. “Padri puerili” allora, “padri
puerili” oggi. Senza nerbo. Senza idee. La “scarnificazione” del
pensiero è avvenuta. E come!
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