Fossimo rimasti ad una cultura
orale, così come avviene ancor oggi in tantissime comunità di umani, ci saremmo
perso questo straordinario “pezzo” di Curzio Maltese che ha per titolo “I burattini del cavaliere”. Perso, per
l’appunto. Senza lasciare traccia alcuna. Siamo per fortuna – ma non so se sia
stata una fortuna per tutti - approdati ad una cultura dello scrivere e del
tramandare che ci permette, ogni qualvolta lo si voglia, di ripercorrere un
tratto delle nostre esistenze andando semplicissimamente a rileggere quanto
vergato. È il trionfo della memoria. Della memoria “certa”, per la qual cosa
tutti si arrogano il diritto, se non il privilegio, di sentirsi latinisti sino
in fondo. Ed allora tutti a sentenziare “verba volant, scripta manent”, per
l’appunto. Ma valle a pescare la volontà, o solamente la misera voglia, di
ripercorrere i tratti della nostra esistenza attraverso la scrittura. Scriveva
il 15 di settembre dell’anno 1998 – quant’è remoto quel tempo! - Furio Colombo
su la Repubblica – “Perché in Italia non
si leggono libri?” -: In Italia non si legge perché la nostra è
una cultura orale. Tutto è tramandato a orecchio. Leggere obbligherebbe alla
precisione. In Italia non si legge perché la nostra è una cultura di
mediazione. La mediazione non ama la pagina scritta. La mediazione si fa meglio
a voce. In Italia non si legge per non esporsi a rischi. La frase “qui lo dico,
qui lo nego” è il più potente slogan contro il libro. Ti induce a diffidare
della irrevocabile pagina scritta. Ne ha ben ragione. È come se la
memoria ci facesse paura. Una paura da matti. È che non si vuol fare i conti
con essa. E con le nostre irresponsabilità. Personali e di cittadinanza. Punto
e basta. Sembra che quell’antico proverbio abbia tratto le sue origini da un
discorso tenuto da un certo Caio Tito al senato di Roma; è che, con esso, il
proverbio intendo dire, si voleva consigliare prudenza nello scrivere poiché, mentre
le parole si dimenticano con facilità, la memoria scritta rimane per l’appunto
e può sempre divenire documento incontrovertibile. La memoria per l’appunto. E
più oltre scriveva Furio Colombo: In Italia non si legge perché c’è la
televisione da guardare parlando. E quasi in chiusura: In
Italia non si legge perché abbiamo capito che non leggono quelli che
intervengono, che propongono, che precisano, che rettificano, che dichiarano,
che affermano, che negano, che ribadiscono. Eppure ritornano sui giornali e in
televisione ogni mattina. Straordinarie intuizioni! Ha scritto Giovanni
Valentini sul quotidiano la Repubblica del 29 di giugno 2013 (l’altro ieri) – “L'ultimo atto del berlusconismo” -: Una
cultura o sottocultura inoculata, tramite il messaggio della tv commerciale,
dall'individualismo, dall'edonismo e dal consumismo esasperato. Una mentalità
collettiva, diventata senso comune e codice di comportamento. (…). …le
responsabilità di Berlusconi nel degrado civile del nostro Paese sono (…)
palesi ed evidenti. Innanzitutto, il fallimento di una "rivoluzione
liberale" più volte promessa e annunciata, ma mai realizzata. E in secondo
luogo, una progressiva disgregazione di principi e valori per definire la quale
non basta neppure la sfera morale. (…). …la tv commerciale è stata prima lo
strumento principale per plasmare e forgiare una nuova "coscienza
comune" e poi per aggregare e raccogliere il consenso politico. Il nostro
è diventato così un popolo di teledipendenti, narcotizzati dall'imbonimento
pubblicitario e ipnotizzati dalle suggestioni propagandistiche del
berlusconismo d'assalto e di governo. Lo stesso Cavaliere, (…), ha incarnato il
prototipo dell'italiano medio: l'arci-italiano che tende a non rispettare le
regole, a evadere o eludere le tasse, a cercare favori o privilegi, a truffare
o frodare l'apparato statale. È stata – (…) - un'opera di corruzione
generalizzata, dissimulata dietro un programma di "liberazione
nazionale" che in realtà ha provocato un'involuzione e un regresso. Con la
complicità più o meno inconsapevole delle forze che non sono state capaci di
proporre un'alternativa valida e convincente, la retorica berlusconiana ha
potuto perciò dilagare contagiando perfino una parte dello schieramento
opposto. Oggi il Paese esce stremato e disfatto da questo ventennio, non meno
infausto di quello del regime fascista. Privo di un'etica pubblica, indebolito
nel suo senso di appartenenza, fiaccato nelle ragioni della convivenza civile.
Un Paese più povero e insicuro, allo sbando, senza un orizzonte e un futuro da
offrire alle giovani generazioni. (…). L’impresa è compiuta. Vorremmo
proprio che l’auspicio contenuto nella nota di Giovanni Valentini si
realizzasse, ovvero che i sussulti di questi giorni rappresentassero “l'ultimo
atto del berlusconismo”. Ne dubito assai. L’uomo è pericolosamente
attivo. E le sue “marionette”, per dirla con Curzio Maltese, sono lì a dargli
man forte poiché dalla sopravvivenza dell’egoarca di Arcore dipende la loro.
Andiamo a rileggerci il “pezzo” di Curzio Maltese che è del 2 di luglio – per
l’appunto - dell’anno 2011: Nell´attesa, nella noia del tempo libero,
Berlusconi s´è messo dunque a fabbricare marionette. Alcune gli si sono rotte
fra le mani, come Capitan Terremoto, al secolo Guido Bertolaso, e il ministro
della polemica inutile, Renato Brunetta. Altre gli sono venute malissimo fin
dal principio, per esempio quel Frattini del quale si vedono troppo i fili.
Altre ancora reggono, come il fantoccio di Umberto Bossi, ridotto ormai a
maschera regionale della commedia dell´arte, al governo da un decennio, ma
sempre bravissimo a fingere ogni mese di farlo cadere. Un piccolo capolavoro è
il burattino di Giulio Tremonti, il Quintino Sella de’ noantri, che ha riscosso
successo anche presso le scolaresche di sinistra. Fenomenale l´ultimo show di
Giulietto che, manovrato dall´alto dal Mangiafuoco di Arcore, ha presentato la
finanziaria del proprio successore, spiegando che il risanamento dei conti
pubblici si faranno «nel medio termine». Quando, come diceva il grande John
Maynard Keynes, saremo tutti morti. Nel magazzino di Mangiafuoco si contano poi
centinaia di altri piccoli pupi a forma di giornalista, dirigente Rai, ministro
e ministra, deputato «responsabile», ma non vale nemmeno la pena di parlarne.
Angelino Alfano è una via di mezzo fra Tremonti e Frattini, ma con il rischio
di finire come Bertolaso. Per quanto siciliano, non appartiene alla grande e
coloratissima tradizione dei pupari, ma piuttosto alla più grigia genia delle
marionette da ventriloquio. Certi giorni però può sembrare che parli davvero di
suo. Ti accorgi che non è vero perché, non appena esprime un giudizio
all´apparenza autonomo, subito ci attacca un lungo (auto) elogio di Berlusconi.
Talvolta con lieve inflessione milanese. (…). Il suo programma è di fare del
Pdl il partito degli onesti, al cui confronto l´utopia di Tommaso Moro era uno
scherzo. Berlusconi muove i fili, assistito da qualche Bisignani, e sta alla
cassa. Non può più presentare la propria faccia, per quanto ritoccata, deve
affidarsi a maschere e burattini e perfino fingere di guidare un partito democratico.
Questo è già qualcosa. Lo spettacolo non è gran cosa, ma i biglietti sono
omaggio. L´impressione però è che alla lunga ci costerà moltissimo. E
come dicevano i latini, “iam”. E già!
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