A fianco. L'arte figurativa di Giovanni Torres La Torre.
Ha scritto Emanuele Severino (1993) nel Suo celeberrimo lavoro “Il declino del capitalismo” – BUR (2007) € 9,80 - : "Il nemico più implacabile e più pericoloso del capitalismo è il capitalismo stesso. (…). O distrugge la Terra, e quindi distrugge se stesso, oppure si dà un fine diverso da quello che esso è, e anche in questo caso distrugge se stesso. (…). (Se) l'agire capitalistico trasforma il profitto in uno scopo subordinato allo scopo primario rappresentato dalla salvaguardia della Terra e della tecnica, distrugge se stesso come agire capitalistico, e lascia il passo all'azione razionale della tecnica che non presenta forme di distruzione e di autodistruttività che sono proprie dell'agire capitalistico" (testo riportato in “Il dilemma del profitto” di Umberto Galimberti). È come andare contro natura. e la natura propria del capitalismo è quella di ricercare sempre più nuove “terre vergini”, anche metaforicamente parlando, ovvero luoghi della Terra e mercati ancora inesplorati, da aggredire selvaggiamente sfruttandoli sino a che essi non siano ridotti a lande desolate. È quel che sta avvenendo sotto i nostri occhi – dalla Cina si inizia a delocalizzare verso altre “terre selvagge” più ospitali poiché senza regole e diritti certi per le forze del lavoro - che ancora non riescono a ben vedere gli scenari possibili oltre le nebbie che la “crisi” – iniziata nell’oramai lontano 2008 – ha creato. Ed ancora, a proposito dell’inappagato appetito consumistico del capitalismo, che consuma le risorse della Terra e le coscienze dei suoi umani abitatori, si chiede Umberto Galimberti nel lavoro prima citato: - Ma perché il capitalismo è distruttivo? Perché, come scrive Max Weber in L'etica protestante e lo spirito del capitalismo, il capitalismo è promosso "dall'istinto del profitto e dalla sete di guadagno", che sono impulsi irrazionali, comuni a tutti gli uomini in tutti i tempi, che il capitalismo ha razionalizzato, sostituendo alla corruzione, al furto, alla rapina, alla guerra, lo scambio. Per cui, conclude Weber: "Il capitalismo può essere identificato con il temperamento o perlomeno con il controllo razionale di questi impulsi irrazionali". Questa disciplina capitalistica poteva funzionare quando la Terra era grande in proporzione ai pochi operatori economici, ma oggi che gli operatori economici sono tantissimi e la Terra s'è fatta piccola, il fatto che il capitalismo abbia semplicemente "moderato, ma non "eliminato", quello che Weber chiama: "l'impulso irrazionale al profitto, anzi al profitto sempre rinnovato", il capitalismo non può evitare di entrare in collisione con la razionalità tecnica, di cui peraltro ha bisogno per salvaguardare la Terra che è la fonte del suo profitto. E se questo fosse il senso non ancora abbastanza evidente ed evidenziato della crisi che stiamo attraversando? -. È tutto uno stracciarsi le vesti per una ripresa che manca, che tarda a tornare. Una ripresa di cosa? Dei consumi essenzialmente, che siano o non siano gli stessi misura di un benessere che sia reale, benessere del quale si sono persi gli esatti contorni. Non una sola parola si è alzata dal coro unanime che invoca la ripartenza dei consumi più sfrenati. Non un solo accenno a quella dimensione nuova del vivere che Serge Latouche, professore di scienze economiche all´Università di Parigi definisce “L'utopia frugale”, nella interessante intervista che l’insigne studioso ha concesso a Marino Niola, antropologo e docente presso l’Università Orientale di Napoli, intervista pubblicata sul quotidiano la Repubblica che di seguito trascrivo in parte:
«Un certo modello di società dei consumi è finito. Ormai l´unica via all´abbondanza è la frugalità, perché permette di soddisfare tutti i bisogni senza creare povertà e infelicità».
(…). Cos´è l´abbondanza frugale? Detta così sembra un ossimoro. «Parlo di abbondanza nel senso attribuito alla parola dal grande antropologo americano Marshall Sahlins nel suo libro Economia dell´età della pietra. Sahlins dimostra che l´unica società dell´abbondanza della storia umana è stata quella del paleolitico, perché allora gli uomini avevano pochi bisogni e potevano soddisfare tutte le loro necessità con solo due o tre ore di attività al giorno. Il resto del tempo era dedicato al gioco, alla festa, allo stare insieme».
Vuol dire che non è il consumo a fare l´abbondanza? «In realtà proprio perché è una società dei consumi la nostra non può essere una società di abbondanza. Per consumare si deve creare un´insoddisfazione permanente. E la pubblicità serve proprio a renderci scontenti di ciò che abbiamo per farci desiderare ciò che non abbiamo. La sua mission è farci sentire perennemente frustrati. I grandi pubblicitari amano ripetere che una società felice non consuma. Io credo ci possano essere modelli diversi. Ad esempio io non sono per l´austerità ma per la solidarietà, questo è il mio concetto chiave. Che prevede anche controllo dei mercati e crescita del benessere».
Perché definisce Joseph Stiglitz un´anima bella? «Stiglitz è rimasto alla concezione keynesiana che andava bene negli anni ´30, ma che oggi, anche a causa dello sfruttamento eccessivo delle risorse naturali, mi sembra impraticabile. Nel dopoguerra l´Occidente ha conosciuto un aumento del benessere senza precedenti, basato soprattutto sul petrolio a buon mercato. Ma già negli anni ´70 la crescita era ormai fittizia. Certo il Pil aumentava, ma grazie alla speculazione immobiliare e a quella finanziaria. Un´età dell´oro che non ritornerà più».
È il caso anche dell´Italia? «Certo, il boom economico italiano del dopoguerra si deve soprattutto a personaggi come Enrico Mattei che riuscì a dare al vostro paese il petrolio che non aveva. È stato un vero miracolo. E i miracoli non si ripetono».
I sacrifici che i governi europei, compreso quello italiano, stanno chiedendo ai cittadini serviranno a qualcosa? «Purtroppo i governi spesso sono incapaci di uscire dal vecchio software economico. E allora tentano a tutti i costi di prolungarne l´agonia, ma questo, lo sanno bene, non fa altro che creare deflazione e recessione, aggravando la situazione fino al momento in cui esploderà».
Lei definisce la società occidentale la più eteronoma della storia umana. Eppure comunemente si pensa che sia quella che garantisce il massimo di autonomia democratica. Chi decide per noi? «Di fatto siamo tutti sottomessi alla mano invisibile del mercato. L´esempio della Grecia è emblematico: il popolo non ha il diritto di decidere il suo destino perché è il mercato finanziario a scegliere per lui. Più che autonoma, la nostra è una società individualista ed egoista, che non crea soggetti liberi ma consumatori coatti».
Qual è il ruolo del dono e della convivialità nella società della decrescita? «L´alternativa al paradigma della società dei consumi, basata sulla crescita illimitata, è una società conviviale, che non sia più sottomessa alla sola legge del mercato. Che distrugge alla radice il sentimento del legame sociale che è alla base di ogni società. Come ha dimostrato l´antropologo Marcel Mauss, all´origine della vita in comune c´è lo spirito del dono, la trilogia inscindibile del dare, ricevere, ricambiare. Dobbiamo dunque ricomporre i frammenti postmoderni della socialità usando come collante la gratuità, l´antiutilitarismo. (…).».
Il capitalismo è l´ultimo pugile rimasto in piedi sul ring della storia? «Non so se sia proprio l´ultimo pugile, perché non si sa mai in cosa è capace di trasformarsi, ci sono scenari ancora peggiori, come l´eco-fascismo dei neoconservatori americani. Certo è che siamo ad una svolta della storia. Se un tempo si diceva o socialismo o barbarie oggi direi o barbarie o decrescita. Serve un progetto eco-socialista. È tempo che gli uomini di buona volontà si facciano obiettori di crescita».
Francis Fukuyama di recente ha riaffermato di ritenere che il modello liberal-capitalistico resti l´orizzonte unico della storia. Senza alternative. Cosa ne pensa? «Che ha una bella faccia tosta. Prima si è sbagliato totalmente sulla fine della storia, e oggi ripropone la stessa solfa. La sua profezia è stata vanificata dalla tragedia dell´11 settembre che ha dimostrato che la storia non era per niente finita. Fukuyama chiama fine della storia quella che è semplicemente la fine del modello liberal capitalista».
A chi dice che l´abbondanza frugale è un´utopia lei risponde che è un´utopia concreta. Non è una contraddizione in termini? «No, perché per me l´utopia concreta non significa qualcosa di irrealizzabile, ma è il sogno di una realtà possibile. Di un nuovo contratto sociale. Abbondanza frugale in una società solidale. Sta a noi volerlo».
Nessun commento:
Posta un commento