Grande
non più d'un ovo di gallina vedendo il Bue bello e grasso e grosso, una Rana si
gonfia a più non posso per non esser del Bue più piccina. << Guardami
adesso, - esclama in aria tronfia, - son ben grossa? >>. << Non basta, o vecchia amica >>.
E la Rana si gonfia e gonfia e gonfia infin che scoppia come una vescica.
Borghesi, ch'è più il fumo che l'arrosto, signori ambiziosi e senza testa, o
gente a cui ripugna stare a posto, quante sono le rane come questa! Mi è
venuto spesso di pensare a Jean de La Fontaine (1621-1695) ed alla Sua bella
storiella che ha per protagonisti un “bue bello e grosso” ed una rana. E mi
è venuto di pensare a quella bella storiella ogni qualvolta ho sentito e sento parlare
della “crescita”. Sono tutti lì a riempirsi la bocca con la “crescita”.
Come se fosse facile riavviare la “crescita”. Così, di punto in bianco,
si dia il via alla “crescita”. Oplà! Poi, nessuno che spiegasse agli incolti come
me come sia possibile riavviare la “crescita”. Riavviarla per farne
cosa? è il punto fondamentale;
crescere all’infinito come la rana della pedagogica storiella? Mi pare un
azzardo, tenendo conto della instabilità propria del sistema Terra. Problemi ambientali
e di risorse non più rinnovabili e quindi non più disponibili. La parola d’ordine
è e rimane: ora si deve puntare alla “crescita”. Ovvero, la “crescita”
al consumo. Mi sa che non se ne esce bene. Siamo gonfi come la rana di La
Fontaine. Scoppieremo come quella rana ignara. Non ha senso, a mio parere,
insistere su parole d’ordine che hanno fatto il loro tempo. Vogliamo che si
cresca. Con quali risorse? Senza aumentare il debito pubblico assicurano i
virtuosi reggitori della cosa pubblica. E come allora? Chi distribuirà la
moneta affinché si riprenda a crescere? Quando si scopre che poi a milioni vivono
con soli 500 euro al mese! Ed i più ricchi arrivano addirittura a mille euro al
mese! Un fottìo da scialacquare. Chi dovrebbe consumare di più? E perché
sempre di più? Si brancola nel buio. Più pesto. Siamo gonfi, gonfissimi, come
la ranocchia della storia, gonfi di sprechi, di inutilità rese necessarie. La “crisi”
dovrebbe farci riflettere; la “crisi” dovrebbe insegnarci
qualcosa. Indurci ad un passo indietro; spingerci ad un passo diverso nello
scialacquamento in atto da questa parte del pianeta. Non se ne esce proprio. Autorevolmente
ne ha scritto Maurizio Pallante su “il Fatto Quotidiano” col titolo “E decrebbero felici e contenti”. Di seguito
lo trascrivo in parte.
Sommando il debito pubblico ai
debiti delle famiglie e delle imprese, in tutti i paesi industrializzati
l’indebitamento complessivo supera il 200 per cento del prodotto interno lordo.
Perché? (…). L’indebitamento complessivo dei paesi industrializzati, (…), è
necessario per assorbire la produzione crescente di merci che altrimenti
rimarrebbero invendute. In altre parole la crescita della domanda, che pure è
stata costante, non è in grado di assorbire la crescita dell’offerta perché la
concorrenza internazionale impone alle aziende di investire continuamente in
innovazioni tecnologiche che accrescono la produttività, che consentono cioè di
produrre quantità sempre maggiori di merci con un numero sempre minore di
occupati. Ma se si riduce il numero degli occupati, si riduce il numero delle
persone provviste di reddito, per cui la crescita del debito è diventata
indispensabile per sostenere la domanda. Il meccanismo della crescita e
l’incremento della competitività sono la causa della crisi in corso. Tutti i
tentativi di rilanciare la crescita e di incrementare la produttività non solo
non possono consentire di superare la crisi, ma se riuscissero,
contribuirebbero ad aggravarla. Questa crisi, (…), non è una crisi
congiunturale, ma una crisi di sistema che gli strumenti tradizionali della
politica economica non sono in grado di affrontare perché se si vuole
rilanciare la crescita, come viene ripetuto con la ripetitività di un mantra,
non si possono non aumentare i debiti pubblici; se si vuole ridurre il debito
pubblico si deprime la domanda e la crisi si aggrava. Ciò che occorre è trovare
il denaro per gli investimenti senza accrescere i debiti pubblici. Questo
denaro si può ricavare soltanto dalla riduzione degli sprechi, ovvero dallo
sviluppo di innovazioni tecnologiche finalizzate ad accrescere l’efficienza con
cui si usano le materie prime, in particolare l’energia, e a recuperare le
materie prime contenute negli oggetti dismessi, che del tutto impropriamente
vengono definiti rifiuti. In altre parole occorre uscire dalla logica
quantitativa nella valutazione della produzione e utilizzare criteri di
valutazione qualitativi. Non proporsi di produrre di più, ma di produrre quello
che serve. (…). Un’efficiente raccolta differenziata, finalizzata al recupero
delle materie prime contenute negli oggetti dismessi, consentirebbe di
risparmiare le enormi somme di denaro che vengono spese per seppellirli sotto
terra o per distruggerli bruciandoli, e con il denaro risparmiato si possono
sostenere i costi d’investimento e l’occupazione necessari a organizzare
un’efficiente raccolta differenziata e le industrie del riciclaggio. Ma se si
riutilizzano le materie prime contenute negli oggetti dismessi diminuirebbe da
subito il consumo di materie prime e, una volta ammortizzati gli investimenti,
diminuirebbe il prodotto interno lordo. Per superare la crisi senza accrescere
i debiti pubblici, (…), occorre sviluppare un pensiero più evoluto di quello
che si limita a perseguire la crescita della produzione in quanto tale e la
crescita dell’occupazione in quanto tale. Bisogna creare occupazione in lavori
utili e la cosa più utile da fare in questa crisi, che è contemporaneamente
economica ed ecologica, è ridurre il consumo delle risorse e le emissioni inquinanti
sviluppando le innovazioni tecnologiche che ci consentono di stare meglio
riducendo i consumi inutili, perché questo è l’unico modo di recuperare il
denaro necessario allo sviluppo di quelle innovazioni. Less and better.
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