«Oggi è un tempo in cui l' ideologia marxista, come concepita, non risponde più alla realtà e se non si può costruire un tipo di società occorre trovare nuove modelli, con pazienza, in modo costruttivo. In questo processo, che esige pazienza ma anche decisione, vogliamo aiutare in uno spirito di dialogo, per evitare traumi e per contribuire ad andare verso una società giusta come la desideriamo per tutto il mondo». Sono le parole, ovviamente e certamente ispirate all’alto, che il vescovo di Roma ha pronunziato comodamente viaggiando alla volta dell’America Latina. Parole fuggite dal senno. È che quel vescovo prova a svolgere la mansione che il destino gli ha affidato. E non altro. Dimentico delle brutture della Storia. Di quella Storia che la sua religione fattasi chiesa della croce ha contribuito a scrivere anche nel e con il sangue. A quelle parole ha prontamente e giustamente reagito lo scrittore e giornalista Corrado Augias in una Sua corrispondenza del 31 di marzo pubblicata sul quotidiano la Repubblica: - (…). Dal punto di vista culturale si può dire che Marx abbia fallito ma solo nell'applicazione sovietica della sua dottrina. Il Marx che ha analizzato regole e funzionamento del capitalismo non è mai stato più attuale. Estraggo per esempio questa folgorante intuizione dal Manifesto del '48: "Il bisogno di sbocchi sempre più estesi per i suoi prodotti spinge la borghesia per tutto il globo terrestre (...). Sfruttando il mercato mondiale la borghesia ha reso cosmopolita la produzione e il consumo di tutti i Paesi. Con gran dispiacere dei reazionari ha tolto all' industria la base nazionale". Altro che superato, aveva visto lontano il vecchio Karl. In quella conferenza stampa del papa un'altra frase ha invece colpito me: «La chiesa sta sempre dalla parte della libertà, libertà di coscienza, libertà di religione». Parole che andavano quanto meno attenuate dirigendosi verso un continente devastato da una colonizzazione selvaggia imposta con la forza della spada ma purtroppo anche della croce -. Tutto si tiene quando a parlare si è spinti dalla spocchia di essere depositari di una verità. Di una tra le tante verità che sopravvivono nel mondo degli umani. Fallisce in questo modo la pretesa di parlare per mezzo e per nome di un ente superiore indimostrato ed indimostrabile. Di seguito propongo la lettura di una analisi-profezia del Moro di Treviri sull’internazionalizzazione della produzione delle merci e dei mercati, analisi-profezia pubblicata sul quotidiano la Repubblica dell’8 di gennaio 2012.
L'enorme quantità e la varietà delle merci disponibili sul mercato non dipendono soltanto dalla quantità e dalla varietà dei prodotti, ma sono in parte determinate dall'entità della parte di prodotti come merci, che dovranno dunque essere immessi nel mercato per la vendita in qualità di merci. La grandezza di questa parte delle merci dipenderà, a sua volta, dal grado di sviluppo del modo di produzione capitalistico che produce i propri prodotti solo come merci e dal grado in cui tale modo di produzione domina in tutte le sfere della produzione. Deriva da qui un grande squilibrio nello scambio tra paesi capitalistici sviluppati, come l'Inghilterra, per esempio, e paesi come l'India o la Cina. Questo squilibrio è una delle cause delle crisi. Causa totalmente trascurata dagli asini che si accontentano di studiare la fase dello scambio di un prodotto con un altro prodotto e che scordano che il prodotto non è pertanto in alcun caso merce scambiabile in quanto tale. Questo costituisce anche la spina nel fianco che spinge gli inglesi, tra gli altri, a voler stravolgere il modo di produzione tradizionale esistente in Cina, in India eccetera, per trasformarlo in una produzione di merci e, in particolare, in una produzione basata sulla divisione internazionale del lavoro (vale a dire, nella forma di produzione capitalistica). Riescono in parte in questo intento, per esempio, quando danneggiano i filatori della lana o del cotone svendendo i loro prodotti o rovinando il loro modo di produzione tradizionale, che non è in grado di competere con il modo di produzione capitalistico con il modo capitalistico di immettere le merci sul mercato. Anche se il capitale produttivo, per sua stessa natura, è disponibile sul mercato, vale a dire è offerto in vendita, il capitalista può (per un periodo di tempo lungo o breve, secondo la natura della merce) tenerlo lontano dal mercato se le condizioni non gli sono favorevoli o al fine di speculare o altro. Il capitalista può sottrarre il capitale produttivo al mercato delle merci, ma in un momento successivo sarà costretto a riimmetterlo. Ciò non ha effetti al fine della definizione del concetto, ma è importante nell'osservazione della concorrenza. La sfera della circolazione delle merci, il mercato, è in quanto tale distinta anche fisicamente dalla sfera della produzione, esattamente come sono distinti temporalmente il processo di circolazione e l'effettivo processo di produzione. Le merci ora pronte restano depositate nei magazzini e nei depositi dei capitalisti che le hanno prodotte (eccetto il caso in cui siano vendute direttamente) quasi sempre solo in modo passeggero prima di essere spedite verso altri mercati. Per le merci si tratta di una stazione di preparazione dalla quale saranno immesse nell'effettiva sfera di circolazione, esattamente come i fattori della produzione disponibili restano in attesa, in una fase preparatoria, prima di essere convogliati nell'effettivo processo di produzione. La distanza fisica tra i mercati (considerati dal punto di vista della loro localizzazione) e il luogo del processo di produzione delle merci all'interno di uno stesso paese, e successivamente fuori da esso, costituisce un elemento importante, perché è proprio la produzione capitalistica a far sì che per una buona parte dei suoi prodotti il mercato sia costituito dal mercato mondiale. (Le merci possono essere anche acquistate per essere ritirate immediatamente dal mercato, ma questo elemento dovrebbe essere esaminato altrove, così come la menzione precedente alle merci che i produttori tengono lontane dal mercato). Conseguentemente, occorre che il mercato si espanda in continuazione. Inoltre, in ogni singola sfera della produzione, ogni capitalista produce secondo il capitale che gli è offerto, indipendentemente da ciò che fanno gli altri capitalisti. Tuttavia, non sarà il suo prodotto, bensì il prodotto totale del capitale investito in quella particolare sfera di produzione a costituire il capitale produttivo, il quale offre in vendita questa e ogni singola altra sfera di produzione. È un dato di fatto empirico che nonostante la dilatazione della produzione capitalistica porti a un incremento, a una moltiplicazione del numero delle sfere di produzione, ovvero delle sfere di investimento del capitale, nei paesi a produzione capitalistica avanzata, questa variazione non tenga mai il passo con l'accumulo del capitale stesso.
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