Mi dicono d’essere divenuto “sordo”. Con l’avanzare dell’età può darsi. È che il chiacchiericcio inutile e continuo degli esseri umani, prossimi o lontani che siano, mi induce a rifugiarmi in quella che ritengo una sordità utile, una “uscita di sicurezza” per dirla alla Ignazio Silone. Mi dicono pure d’essere divenuto “microsmatico”. Ovvero d’avere perduto tanto o poco del mio senso dell’olfatto. Può anche darsi. Per la perdita dell’udito, è che ho perso alcune delle frequenze; per l’olfatto, ne dubito. A proposito d’olfatto, scrive Barbara Spinelli nel Suo editoriale La perdita dell’olfatto, editoriale pubblicato sul quotidiano la Repubblica: - (…). L'idra è tra noi, anche oggi. Nasce allo stesso modo, è il frutto amaro e terribile di mali che tendono a ripetersi eguali a se stessi e non vengono curati: come se non si volesse curarli, come se si preferisse sempre di nuovo nasconderli, lasciarli imputridire, poi dimenticarli. È uno dei lati più scuri dell'Italia, questo barcollare imbambolato lungo un baratro, dentro il quale non si guarda perché guardarlo significa conoscere e capire quel che racchiude: la politica che non vuol rigenerarsi; i partiti che non apprendono dai propri errori e si trasformano in cerchie chiuse, a null'altro interessate se non alla perpetuazione del proprio potere; la carenza spaventosa di una classe dirigente meno irresponsabile, meno immemore di quel che è accaduto in Italia in più di mezzo secolo. (…). È corruzione anche la sordità a quel che i cittadini invocano da decenni, nei referendum. Nel '91 votarono contro una legge elettorale che consentiva ai partiti di piazzare nelle liste i propri preferiti. Nel '93 chiesero l'abbandono del sistema proporzionale, che in Italia aveva dilatato la partitocrazia. Il 90.3 per cento votò nel '93 contro il finanziamento pubblico dei partiti. I referendum sono stati sprezzati, con sfacciataggine. Il finanziamento è ripreso sostituendo il vocabolo: ora si dice rimborso. Da noi si cambia così: migliorando i sinonimi, non le leggi e i costumi. (…). Anosognosia è la condizione di chi soffre un male ma ne nega l'esistenza: è la patologia delle nostre teste senza memoria. La letteratura è spesso più precisa dei cronisti. (…). …Moravia scrisse nel '44: L'Epidemia. Una malattia strana affligge il villaggio: gli abitanti cominciano a puzzare orribilmente, ma in assenza di cura l'odorato si corrompe e il puzzo vien presentato come profumo. (…). Ecco cosa urge: ritrovare l'olfatto, anche se «è davvero un vantaggio» vivere senza. Altrimenti dovremo ammettere che preferiamo la melma e i pifferai che secerne, alla «bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell'indifferenza, della contiguità, e quindi della complicità». (…). -. Punto. Doveravatetutti è, ripeto, esercizio di memoria. È un esercizio che va praticato poiché senza memoria non si va da nessuna parte. Non si va in avanti né tantomeno si ha la forza ed il coraggio di correggere gli errori fatti prima nel tempo. Che continueranno a ripetersi sino alla fine dei giorni del mondo. Poiché le macerie dell’oggi erano state previste ed annunciate: perché fingere di scandalizzarsi oggi? Era tutto scritto. È che il puzzo non lo si avvertiva già da allora, aveva riempito le nostre narici: il puzzo del malaffare, dei singoli o delle congreghe. Ma sempre puzzo è. Ed era allora, forse ancor’oggi, un sottovalutare voluto, una patente impossibilità a sentire ed a vedere che come il tutto attorno franasse addosso, sulle persone e sulle istituzioni. Scriveva a quel tempo, il martedì 3 di agosto dell’anno 2010, Nadia Urbinati un pezzo magistrale che ha per titolo La politica dell´antistato; un ammonimento, una predizione. Inascoltati. Volutamente ignorati. Ciò che oggigiorno emerge, con il rovinare di quel “palazzo” costruito sul pressapochismo più sfacciato, sull’arroganza del potere per il potere, è il lascito amarissimo di quel lungo periodo della storia politica del bel paese che ha visto il puzzo levarsi in ogni contrada e tanto diffondersi al punto da non essere più avvertito, al punto da essere scambiato come la fragranza essenziale di quel tempo, di un avvizzito tempo storico, di quel mondo, di quella squallida azione politica. Doveravatetutti voi allorché Nadia Urbinati lanciava il Suo allarme? Perché è stato così difficile avvertire l’acre, nauseabondo odore del disfacimento delle regole e delle istituzioni? Doveravatetutti voi? Di seguito trascrivo, in parte, quell’illuminante, accorata analisi; un appello quasi al risveglio per tempo delle coscienze. Non fingiamo: a mandar via quel governo col puzzo che emanava d’attorno sono stati i mercati, non l’azione politica decisa e decisiva di una opposizione che sia tale, di una mobilitazione popolare che non c’è stata. Ai mercati necessitava un’azione più responsabile, meno approssimativa e per questo ne hanno chiesto la fine, ne hanno staccato la testa. Doveravatetutti voi al 3 di agosto, di martedì, dell’anno 2010? Il “Trota”, il “Belsito”, la “Mora”? è il tutt’uno del potere.
(…) Questo governo non lascerá solo macerie, (…). Lascerá qualcosa di nuovo, forse il lascito piú tremendo e anche quello che occorrerá subito demolire, senza second thought. (…). A questo metodo corrisponde il teorema, (…), della illegalitá sistemica, composta e ridimensionata ad arte come questione morale. Ma dietro il linguaggio bonario delle «poche mele marce» che il premier e i suoi Tg dispensano per noi popolo dell´ascolto passivo, si nasconde una vasta e organica trama di governo sotterraneo degli affari, delle amicizie, dei privilegi; una trama che ha la natura di una politica dell´anti-Stato, volta a cambiare il carattere del potere pubblico e delle relazioni tra Stato e cittadini. Chiamandolo anti-Stato riconosciamo che questo partito-governo-azienda ha e ha avuto una filosofia, un progetto preciso, a suo modo sovversivo e radicale. In una lettera a Repubblica del 5 luglio scorso, il Ministro Bondi, spiegando la tempra innovativa del suo leader, affermava che la «solitudine» del premier rispetto, non all´opinione pubblica, ma «al mondo politico, istituzionale e culturale», al mondo delle «alte magistrature istituzionali» era causato proprio dal fatto che il premier è «totalmente avulso» dalla logica dello Stato di diritto, dal «potere di veto derivante da una architettura istituzionale» e «dalla sedimentazione di norme burocratiche». Questa analisi è illuminante e da prendere sul serio. Il presidente del Consiglio è un «uomo nuovo», e per questo ammirato da chi ha sempre sentito le istituzioni come un impaccio alla libertà, invece che come canali di coordinamento delle azioni collettive per rendere la libertà individuale sicura perché non alternativa alla libertà altrui. Questa è una rottura radicale con lo Stato moderno; e una ferita che peserà sulla nostra democrazia, (…). Peserà, perché l´ammirazione per il guasconismo del neofita non è per nulla un fatto isolato, ma una componente della nostra tradizione politica nazionale. Che il Premier sia visto come un modello di modernità a paragone dei funzionari pubblici (le «alte magistrature istituzionali») è segno di una filosofia radicalmente sovversiva della modernità: un´esaltazione della rivolta del dominium (potere della forza, economica e privata) contro l´imperium (potere del pubblico). Un nuovo ancien régime nell´età del mercato, una rivincita dell´oikos contro la polis, della «fatticità» della forza degli interessi contro la «nomatività» delle relazioni pubbliche, del fastidio quasi a veder trattare «me» e «te» come uguali nonostante il «mio» potere sia tanto più grande del «tuo», della repulsione verso l´eguaglianza di rispetto. Alcuni «rivoluzionari» di quarant´anni fa sono rimasti irretiti e stregati da questo «uomo nuovo» perché hanno visto in lui la personificazione della loro convinzione che l´idea della legge imparziale sia ideologia da parrucconi, fatta per nascondere il «vero» potere, quello che opera nella società, che agisce senza orpelli e senza ipocrita imparzialità. Perché onorare le istituzioni se sono solo una formalità e un espediente ideologico? Perché non ammirare il potere nella sua diretta espressione? La lettura della «solitudine» di Berlusconi rispetto al mondo dello Stato rivela questa antica attrazione per il «realismo» contro la norma, il disprezzo per chi crede nel diritto e non sa ammirare il potere «reale», un potere capace di rimescolare il pubblico e il privato gettando alle ortiche la stantia e ipocrita arte liberale della limitazione e della separazione. L´illiberalità, (…), è la logica che presiede un´idea di libertà come potenza. La pratica del rimescolamento di pubblico e privato che il Premier e i suoi amici e ammiratori hanno inaugurato in questi anni è un macigno che pesa e peserà ancora sulla nostra vita pubblica. Smantellare questa politica anti-istituzionale radicale è il compito più urgente, un compito il cui successo dipenderà da almeno due fattori: che l´opinione pubblica e l´informazione facciano il loro lavoro di svelamento e critica, che non accettino più di essere strumenti di nascondimento della verità per tenere i cittadini spettatori passivi e adoranti; che l´illegalità venga chiamata col suo nome e perseguita con sistematica determinazione affinché il governo degli affari sia smantellato e la sua filosofia si mostri per quello che è, una ideologia del potere illimitato.
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