"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 7 gennaio 2013

Cronachebarbare. 2 Il grande deserto dei diritti.



Cronache barbare. Poiché i barbari sono stati tra di noi. Anzi, ci sono ancora. Defilati. Rinchiusi nei loro sotterranei. Ma pronti ad un nuovo attacco al bene comune. Che è divenuto il loro bene proprietario. Da quando i barbari hanno attraversato il deserto, di soppiatto. E di soppiatto sono penetrati nella cittadella turrita ed indifesa della Costituzione. Non c’è stato nessun “tenente Drogo” a dare l’allarme. Tutti girati a scrutare altrove dall’alto di quelle mura, come una novella della “fortezza Bastiani”. Intanto i barbari, assalite le mura, espugnavano l’indifesa novella “fortezza Bastiani”. Nessun “tenente Drogo” a dare l’allarme. Nessuno. L’antipolitica al potere rafforzava così le sue posizioni. Ed anche le sue ricchezze. Con azioni fraudolente. Autorizzate da procedure e leggi approvate da tutti. Da tutti. E nessun “tenente Drogo” a dare l’allarme. Oggi si scopre come d’incanto la “questione sociale”. Ma i barbari sono di già all’interno delle mura sbrecciate della cittadella della Costituzione. Difficile allontanarli spegnendone i bivacchi che hanno acceso a difesa delle loro conquiste. Scrive Michele Serra nella Sua rubrica quotidiana “L’amaca” – la Repubblica del 3 di gennaio dell’anno 2013 -: La quasi totale rimozione della questione sociale è stato il tratto politico più forte, e più sconvolgente, degli ultimi anni. Soprattutto in Italia, dove questa rimozione ha indossato la maschera tragicomica del berlusconismo, poveri o semipoveri che venerano il più ricco, come se le sue promesse bugiarde fossero l’oppio indispensabile per dimenticare per sempre di essere svantaggiati, subalterni, umiliati. (…). I manipoli dei barbari dell’antipolitica, compatti, hanno lasciato che l’occultamento di una “questione sociale” venisse a prendere il posto nell’agenda della politica del bel paese. Ciò è avvenuto. A dispetto degli inequivocabili segnali che la “crisi” ha disseminato negli anni. Continua Michele Serra: Sostenere – (…) – che il compito prioritario della politica è combattere la povertà non solo non è una banalità; è, nei fatti, una rarità (giornalistica così come politica). Ma nello sgretolarsi del welfare, nella contrazione paurosa del lavoro, quale altro obiettivo può essere più importante, e al tempo stesso più innovativo, dell’organizzazione di un argine sociale alla miseria e alla solitudine? “Una nuova società più conviviale nella quale ritrovare il modo di aiutarci”, (…). Mi sembra, con buona approssimazione, l’eccellente sintesi del programma elettorale di qualunque sinistra. La “banalità” dell’essere della politica è stata smarrita. Ad essa si è sostituita l’arroganza dell’antipolitica che, conquistato il potere scacciando la buona politica, ha ignorato qualsivoglia istanza di giustizia e di equità. I barbari sono tra di noi. E le cronache non possono che essere “cronache barbare”. Nessun “tenente Drogo” a dare l’allarme nel tempo giusto. Poiché i manipoli dei barbari hanno osato ancor di più. Hanno inciso in profondità nella viva carne del tessuto sociale del bel paese. Hanno creato un “deserto dei diritti” per come ne ha scritto lucidamente Stefano Rodotà - la Repubblica del 3 di gennaio 2013 “Il grande deserto dei diritti” -: (…). …bilanci e previsioni, in questo momento, mostrano un’Italia che ha perduto il filo dei diritti e, qui come altrove, è caduta prigioniera di una profonda regressione culturale e politica. (…). Abbiamo assistito ad una serie di attentati alle libertà, testimoniati da leggi sciagurate come quelle sulla procreazione assistita, sull’immigrazione, sul proibizionismo in materia di droghe, e dal rifiuto di innovazioni modeste in materia di diritto di famiglia, di contrasto all’omofobia. La tutela dei diritti si è spostata fuori del campo della politica, ha trovato i suoi protagonisti nelle corti italiane e internazionali, che hanno smantellato le parti più odiose di quelle leggi grazie al riferimento alla Costituzione, che ha così confermato la sua vitalità, e a norme europee di cui troppo spesso si sottovaluta l’importanza. (…). Nel 1970 vengono approvate le leggi sull’ordinamento regionale, sul referendum, il divorzio, lo statuto dei lavoratori, sulla carcerazione preventiva. In un solo anno si realizza così una profonda innovazione istituzionale, sociale, culturale. E negli anni successivi verranno le leggi sul diritto del difensore di assistere all’interrogatorio dell’imputato e sulla concessione della libertà provvisoria, sulla delega per il nuovo codice di procedura penale, sull’ordinamento penitenziario; sul nuovo processo del lavoro, sui diritti delle lavoratrici madri, sulla parità tra donne e uomini nei luoghi di lavoro; sulla segretezza e la libertà delle comunicazioni; sulla riforma del diritto di famiglia e la fissazione a 18 anni della maggiore età; sulla disciplina dei suoli; sulla chiusura dei manicomi, l’interruzione della gravidanza, l’istituzione del servizio sanitario nazionale. La rivoluzione dei diritti attraversa tutti gli anni ’70, e ci consegna un’Italia più civile. Non fu un miracolo, e tutto questo avvenne in un tempo in cui il percorso parlamentare delle leggi era ancor più accidentato di oggi. Ma la politica era forte e consapevole, attenta alla società e alla cultura, e dunque capace di non levare steccati, di sfuggire ai fondamentalismi. Esattamente l’opposto di quel che è avvenuto nell’ultimo ventennio, dove un bipolarismo sciagurato ha trasformato l’avversario in nemico, ha negato il negoziato come sale della democrazia, si è arresa ai fondamentalismi. È stata così costruita un’Italia profondamente incivile, razzista, omofoba, preda dell’illegalità, ostile all’altro, a qualsiasi altro. Questo è il lascito della Seconda Repubblica, sulle cui ragioni non si è riflettuto abbastanza. (…). Queste (…) osservazioni non ci dicono soltanto che una agenda politica ambiziosa ha bisogno di orizzonti più larghi, di maggior respiro. Mostrano come un vero cambio di passo non possa venire da una politica ad una dimensione, quella dell’economia. Serve un ritorno alla politica “costituzionale”, quella che ha fondato le vere stagioni riformatrici. Ecco il punto dirimente: “Un ritorno alla politica “costituzionale”, prima che i barbari diano fuoco alle ultime casematte che resistono alle illegalità ed allo strapotere dell’antipolitica che è al potere. 

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