E poi ci sarebbe la Costituzione.
La Costituzione irrealizzata che, per dirla col grande Roberto, sarà più bella
quando sarà realizzata. Poiché la Costituzione non è stata realizzata. È un
dato di fatto. Perché il suo spirito di equità non ha guidato nei decenni
trascorsi l’opera dei protagonisti della politica? Ed oggi, chi di essi può
sottrarsi alla responsabilità grande per non aver realizzato il dettato
costituzionale? Ha riportato Barbara Spinelli - la Repubblica del 2 di gennaio
dell’anno nuovo, “Quando arrivano i
guidatori” – una dichiarazione del magistrato Ingroia: «Quando giurai la mia fedeltà
alla Costituzione pensavo di doverla servire solo nelle aule di giustizia. Ma
non siamo in un Paese normale e in una situazione normale. Siamo in una
emergenza democratica dovuta allo strapotere della criminalità organizzata e
all’inadeguatezza della politica. E allora (…) è venuto il momento della
responsabilità istituzionale e politica». Il punto è questo: “l’inadeguatezza
della politica”. È con questo incontrovertibile dato
che si misura oggi la drammaticità del vivere associato nel bel paese. E poi ci
sarebbe una “questione sociale”. È la scoperta dell’anno nuovo. Il suo
beneaugurante messaggio. Che la politica scopre con colpevole ritardo. Ed
allora c’è da dire che l’irrealizzata Costituzione e la “questione sociale” denunciata
dall’inquilino dell’irto colle sono aspetti di uno stesso problema:
dell’antipolitica che al potere ha scacciato la politica buona, la politica dell’equità,
della giustizia e dell’onestà. Sta tutto qui il problema. Ed è un grosso
problema. Scrive magistralmente Barbara Spinelli nel Suo primo straordinario
pezzo dell’anno nuovo: (…). Dici riforma, e intendi tagli allo
Stato sociale, discesa nella povertà. Dici crisi, e non è momento di
trasformazione e opportunità di vivere in modo diverso ma, come disse Ivan
Illich già nel ’78: «il momento in cui medici, diplomatici, banchieri e tecnici
sociali di vario genere prendono il sopravvento e vengono sospese le libertà.
Come i malati, i paesi diventano casi critici. Crisi, la parola greca che in
tutte le lingue moderne ha voluto dire «scelta» o «punto di svolta», ora sta a
significare: ‘Guidatore, dacci dentro!’». È la responsabilità prima
dell’antipolitica che ha conquistato il potere: d’aver giocherellato con le
parole, illudendo, tradendo la polis, tramando a suo danno e tutto
a proprio vantaggio. E le parole - riforma – ripetute e promesse hanno
condotto nel “cul-de-sac” dell’iniquità somma che mortifica la vita
associata del bel paese che non si sanerà mai senza una riparatrice azione di
bonifica politica. Ed ancora un po’ oltre: (…). Se il linguaggio si è tanto rarefatto,
vuol dire che a guastarsi, qui da noi, sono abitudini e regole più stremate che
in altre democrazie. Scardinato non è il contrapporsi fra destra e sinistra, (…),
ma l’idea stessa del conflitto, dell’alternativa che i cambi di governo possono
ingenerare. Il dominio dei tecnici, aggiunge Illich, ci riduce a minorenni.
È quest’ultima stupenda intuizione dell’illustre opinionista la vera, grande,
imperdonabile colpa dell’antipolitica al potere: avere ridotto la gente del bel
paese “a minorenni”. Se non a minorati. Minorati, che han perso l’uso
corretto della bussola preziosa che avrebbe dovuto guidarli nel proclamare e
pretendere i propri diritti di cittadinanza e ad esercitare i propri doveri che
quella cittadinanza impone. Prosegue Barbara Spinelli: (…). È perché siamo a questo
punto che i politici vagano nelle loro trincee come soldati mutilati, e si
fanno avanti i Guidatori: banchieri, tecnici, e poteri terzi come i magistrati,
e ecclesiastici che da tempo non dovrebbero neanche sfiorare il potere. Al
posto della politica, dunque del dividersi costitutivo della democrazia,
s’installa la clinica: la tecnica che ci sdraia tutti quanti sul klìne, a
letto. Da quella minorità ricercata e dispensata colpevolmente a piene
mani dall’antipolitica che è al potere ne è derivata una situazione non nuova
ma sempre più avvilente che Barbara Spinelli così descrive: (…). La
convinzione di partenza è che il ceto politico soffra di vizi congeniti, che il
conflitto di idee non sia che rissa letale, e che il grande unico rimedio sia
la Repubblica dei Sapienti: competenti economici, o custodi della legalità come
i magistrati, o cultori dell’ordine morale e dei propri privilegi come chi
serve la Chiesa. Anche la parola laicità scompare dai bollettini medici. Grazie
alla loro speciale esperienza, o divina illuminazione, i Sapienti sono i soli
ad afferrare, come in Platone, la vera essenza dello Stato. E l’Essenza è per
definizione Una: il Sapiente moderno non ama contare fino a due né tantomeno
fino a tre, che consente la tripartizione fra potere legislativo, esecutivo e
giudiziario. Ut Unum Sint, perché siano una cosa sola. Fa impressione, perché
la teologia politica rifà capolino: i messianesimi totalitari del ’900 si
proponevano proprio l’apocalittico unanimistico approdo cui oggi mirano tanti
inviati della società civile, stufi di intralci politici o giudiziari. E
così è potuto accadere che i responsabili della mancata attuazione della Carta
si propongano oggigiorno come nuovi rivoltosi e capipopolo capaci di mettere a
posto le cose: (…) Non a caso i Guidatori annunciano Rivoluzioni guardandosi l’un
l’altro di sbieco. (…). Lo straripare della parola rivoluzione vuol dire che
c’è, diffusa, ansia di piazza pulita. Di una sorta di immacolata rigenerazione,
che azzeri la storia dimenticandola. C’è voglia di mandare in cantina partiti e
politici inadempienti: che reimparino, nell’aiuola dell’antipurgatorio
riservata da Dante ai Re Negligenti, il governare disappreso. Da anni si evita
perfino il nome Italia. Provate ad ascoltare i politici o i nuovi Guidatori. In
genere dicono «questo paese», o «questi paesi qui»: quasi dissociandosi,
altezzosi, da uno Stato italiano cui sono estranei e che sta lì per terra. Lo
spettacolo è avvilente ed incute timore poiché dai nuovi che si propongono alla
guida del bel paese giunge un messaggio che nuovo non è, poiché è il messaggio
alla filosofia del quale l’antipolitica al potere ha ispirato il suo agire,
l’agire che non ha posto al primo punto della sua “agenda” l’equità che
dovrebbe soccorrere la dirompente “questione sociale”. Scrive, a quasi
chiusura del Suo straordinario pezzo, Barbara Spinelli: (…). Ai comandi, in assenza
dell’Europa politica: un potere che rende conto ai mercati più che ai cittadini
(la regale immunizzazione della Presidenza della repubblica – il segreto sempre
più ampio che essa può invocare – è stato il segno precursore della
Rivoluzione, nel 2012). La democrazia è in mutazione, e in fondo siamo grati a
chi, cancellandola dai dizionari, ce lo rivela. (…). Che sia questo il
messaggio che il novello anno ci ha voluto consegnare? È la prima cronaca
barbara dell’anno nuovo. Auguri ancora.
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