È asfittico il ragionare, che se ne fa da mane a
sera, sulla “sinistra” e dintorni. E non si definisca “manicheo” l’insistere sui
dati di fatto che in misura adeguata ne dovrebbero rappresentare la sostanza. Allora
avviene che un “menestrello” del vuoto buon tempo presente parli di “sinistra
masochista” e di quant’altro torni utile alla sua causa. I dati di
fatto li ha magistralmente sintetizzati Curzio Maltese nella Sua consueta rubrica
“Contromano”
su “il Venerdì di Repubblica” dell’8 di maggio scorso, laddove ha scritto - in
un pezzo che ha per titolo “L'involuzione
del mondo tra ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri” -: (…). Il
debito pubblico del Pianeta ha sfondato ormai la soglia dei 100 miliardi di
dollari, mentre il prodotto interno loro del mondo è di soli 70 mila miliardi.
Quindi il mondo intero è indebitato oltre il 140 per cento del Pil, una soglia
che qualsiasi agenzia di rating giudicherebbe un punto di non ritorno.
Dall’inizio della crisi e anche prima, assistiamo a un altro grandioso
fenomeno, di segno del tutto opposto: un arricchimento privato senza precedenti
nella storia. Secondo il Global Wealth Report 2014 del Credit Suisse, la più
attendibile ricerca del settore, la ricchezza globale privata ha raggiunto nel
2013 l’incredibile cifra di 263 mila miliardi, più del doppio dei 117 mila
miliardi del 2000. Una crescita senza precedenti, così come non ha confronti con
il passato la concentrazione di questa ricchezza: il 41 per cento nelle mani
dell’1 per cento della popolazione: l’86 per cento detenuto dal 10 per cento; e
soltanto l’1 per cento nella metà più povera del Pianeta. Basta allora mettere
in relazione tutte queste cifre per disegnare il quadro della crisi. Una
ricchezza privata che aumenta e si concentra a una velocità mai registrata
nella storia del capitalismo, un debito pubblico che esplode ovunque e
soprattutto nelle aree più povere. Per arrivare alla domanda giusta: “Chi non
fallirà?”.
In una cara, recentissima corrispondenza ho avuto modo di
ribadire un mio profondissimo convincimento: Carissimo *****, ti ringrazio per la corrispondenza. Ho letto con
interesse la lettera in calce alla tua del prof. ***** che centra il
“problema”. Ché non è tanto il PD o quant’altro che interpreti o non interpreti
una politica di “sinistra”. È che non esiste più la “sinistra”. Tu parli di
“involuzione” e di “evoluzione” -
rispetto a cosa? - ma sarebbe più importante e necessario, a mio modestissimo
parere, porsi il problema se ancor oggi necessiti o meno una “sinistra” che sia
tale. Il liberismo selvaggio, e l’ho scritto tante volte, ha compiuto un
miracolo stupendo, ovvero aver fatto balenare la possibilità di un superamento
della divisione in classi nelle società opulenti del mondo occidentale. È stato
il miracolo dei miracoli, poiché all’ombra di esso chi ha detenuto il potere
economico ha continuato nella sua opera di “rapina” che oggigiorno sta sotto
gli occhi di tutti. Ma caro *****, cosa vuoi che sia il PD – dal quale mi sento
lontano ed estraneo oramai – o Renzi e le sue miserevoli “figurine” che cercano
di calcare il palcoscenico di una politica arrembante ma sempre in linea con
quel liberismo che ha dominato e continua a dominare? “Figurine” e nient’altro.
Impossibilitate a contrastare lo “spirito del tempo”. E se viene a mancare
un’azione di contrasto che riequilibri gli squilibri socio-economici divenuti
planetari, che senso ha parlare di “sinistra masochista” – una boutade da
disinvolto menestrello del tempo presente, ché masochista la “sinistra” lo sarà
stata anche ai tempi dickensiani del capitalismo primordiale, ma che poi tanto
masochista quella “sinistra” non lo è stata storicamente, non concordi almeno
in questo? – o di una altra qualsivoglia immaginabile “sinistra”? Non per nulla
i meravigliosi giovani che occuparono, sconfitti, Zuccotti Park nel paese del
capitalismo per eccellenza parlarono di quell’1% che oramai si contrappone al
99% degli esseri umani. Il livello del ragionare è questo; tutto il resto è una
inutile logomachia che torna comoda ai colletti bianchi che infestano e
malversano le nostre vite. Non per niente il tuo “corrierone” ha avuto il
merito di pubblicare il dato miserevole – grazie ad Antonio Stella – di quello
0,4% di “colletti bianchi” che frequentano o abitano le carceri del bel paese.
Ché sta a dimostrare che tutti e poi tutti i politicanti della “malapolitica”
del bel paese hanno praticato una politica di classe costruendo, con una ben
mirata legislazione, una “struttura” che è posta essenzialmente a difesa degli
interessi più forti. E considerati poi i pronunciamenti ultimi dei nostri
tribunali in fatto di disastri ecologici e/o quant’altro derubricati in forza
della legge, ci si rende conto del miracolo dei miracoli che il liberismo è
stato capace di realizzare. Saluti fraterni. Ma sta lì, nella sua
sesquipedale lucidità, la pesantissima denuncia che ne ha fatto Curzio Maltese.
Per non dire, imperante il menestrello, quanto scriveva il sociologo Luciano
Gallino sul quotidiano la Repubblica del 23 di giugno dell’anno 2013 - Da “Che cosa va chiesto a Palazzo Chigi”
-: Fra
il 1990 e il 2009 la quota salari sul Pil si è ridotta di quasi il 7 per cento
in Italia, ma solo del 5 in Germania, del 4 nel Regno Unito, e meno del 3 in
Francia. I sette punti in meno andati al lavoro, che in moneta corrente valgono
oltre 110 miliardi, sono andati ai profitti e alle rendite. Ma non si sono
affatto trasformati in investimenti produttivi. Per quasi tutto il periodo gli
investimenti in capitale fisso (impianti, macchinari) sono regrediti, segnando
un picco negativo nel 2008-2009. Dove sono finiti profitti e rendite? In
prevalenza hanno preso la strada degli investimenti finanziari. Per alcuni
anni, questi ultimi hanno reso molto di più degli investimenti nell’economia
reale, per cui le imprese hanno destinato ad essi i profitti, in misura
maggiore che non negli altri paesi Ue. Con una ricaduta che ha nuociuto anche
alle imprese. Infatti almeno l’80 per cento del Pil è formato dai consumi delle
famiglie, e se a queste vengono a mancare decine di miliardi l’anno, i
risultati si vedono: migliaia di serrande abbassate e d’impianti fermi. (…).
Nell’agenda del governo i sindacati uniti potrebbero pure chiedere di inserire
la distribuzione del reddito e della ricchezza. Il più drammatico mutamento
sociale degli ultimi trent’anni è stata la redistribuzione dell’uno e
dell’altra dal basso verso l’alto che si è verificata nella Ue come in Usa. La
caduta della quota salari in quasi tutti i paesi Ocse è stata soltanto un
aspetto di tale redistribuzione alla rovescia, che facendo crescere a dismisura
le disuguaglianze ha contribuito non poco a preparare la crisi esplosa nel
2007. (…). Ha ricordato o forse fatto scoprire ai più di corta memoria l’illustre
sociologo che “fra il 1990 e il 2009”…, ovvero che da ben venticinque anni la
“rapina”
continua. C’è allora da parlare di “sinistra”? Magari “masochista”?
È che, ha scritto, “il più drammatico mutamento sociale degli ultimi trent’anni è stata la
redistribuzione dell’uno e dell’altra (del reddito e della ricchezza
n.d.r.) dal basso verso l’alto, ovvero una vera e violenta “lotta
di classe” all’incontrario, ovvero quella dell’1% contro il 99% degli
esseri umani. Ha sostenuto il filosofa francese Alain Touraine in una
intervista concessa al quotidiano la Repubblica del 1° di aprile scorso - "Senza orizzonti né classi sociali la
gauche muore" a firma di Anais Ginori -: "La sinistra può morire.
Come qualsiasi essere vivente, non è eterna". (…). "La sinistra - (…) - non riesce a reinventarsi in un'epoca
post-sociale, in cui i rapporti di forza non sono più basati, come un secolo
fa, sulla produzione. Non ha più una classe sociale di riferimento, alla quale
corrispondono valori, ideali, rapporti di forza. Non è più portatrice di un
orizzonte, di una speranza". Già nel 1979 lei pubblicava un saggio dal
titolo Mort d'une gauche . Quante sinistre sono morte da allora? "Nel
ventunesimo secolo tutti i partiti politici faticano a riposizionarsi
all'interno di un'architettura della società che è crollata. È una situazione
simile a quella che si è verificata alla fine dell'Ottocento, quando le
formazioni politiche uscite dalla Rivoluzione faticavano a dare una risposta
davanti alle nuove realtà industriali dell'epoca. (…). Nonostante tutte le
presunte svolte, (…), non c'è stata una ridefinizione di quale debba essere il
ruolo dello Stato e dunque della nazione in un mondo globale". Gli
elettori ormai votano più per rabbia che per convinzione? "C'è una
radicalizzazione degli estremi, sia a sinistra che a destra. Il Front de Gauche
di Mélenchon non è poi tanto diverso dal Front National di Marine Le Pen.
Entrambi sono il sintomo di una rottura del popolo con l'élite politica che
sembra impotente. (…). L'unica strategia è aspettare la ripresa. (…)". La
gauche al potere ha tradito il suo elettorato? "Il capitalismo finanziario
ha sostituito il capitalismo industriale. È un dato di fatto. Non possiamo
chiedere alla sinistra di governare come nel 1936 quando c'era il Front
Populaire. (…). Il partito socialista si è sottoposto, come tutte le forze di
governo della nostra epoca, al dogma finanziario e materialista, ma ha un problema
in più: deve conciliare un individualismo al plurale, facendo per esempio
convivere i diritti economici strettamente personali, con valori e diritti
universali, in una visione collettivista che è nel suo Dna". Hollande ha
sbagliato a seguire la dottrina europea dell'austerità? "Ma di quale
austerità parliamo? Il bilancio dello Stato francese è in deficit da
trent'anni. Oggi c'è una sola parola che dovrebbe contare: competitività. La
sinistra ha rinunciato a fare una vera politica di risanamento. Ha scelto di
non scegliere. Tutti i paesi europei attraversano le stesse difficoltà, l'unica
differenza è su chi far ricadere il peso della crisi. (…). In Francia, come in
Italia, abbiamo scelto di far pagare il prezzo della crisi alle classi popolari
con la disoccupazione. Sono entrambi strategie perdenti". (…).
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