Da “Renzi e
il mondo capovolto” di Giovanni Mazzetti - docente di Economia Politica
presso l’Università della Calabria -, su “il Fatto Quotiidano” del 25 di
ottobre dell’anno 2014: (…). Cercherò di spiegare perché Matteo Renzi
ha una visione capovolta della sua stessa azione, con la conseguenza che questa
produce e produrrà effetti opposti rispetto a quelli positivi da lui
immaginati, finendo con l’inguaiare tutti noi. Un capovolgimento che è ben
espresso anche dal tema della Leopolda che recita: “Il futuro è solo l’inizio”.
Cominciamo dall’esordio. Matteo Renzi ha presentato se stesso sulla scena
nazionale come un “rottamatore”. Questa figura allegorica è stata mutuata da
una pratica mercantile in vigore negli anni passati, grazie alla quale chi
aveva un’auto malandata poteva rivolgersi ai rivenditori facendosela valutare
per un certo ammontare, che veniva poi scalato dal prezzo d’acquisto di una
nuova. Ne è in qualche modo scaturita la convinzione che il rottamare corrisponda
a nient’altro che al sostituire un’auto vecchia con una nuova fiammante. Ma
questo è l’effetto di una distorsione dell’esperienza. In realtà il rottamatore
non è né il concessionario che attua l’operazione di compravendita, né il
produttore dell’auto nuova che va a sostituire la vecchia. Il rottamatore è
colui che riceve il sottoprodotto dei comportamenti altrui, in quanto si limita
a far rottami del veicolo scartato. Dalle sue mani escono, pertanto, cose che
non hanno più alcuna utilità.
Ora, è certo che Renzi fantasticava di essere in
grado di mettere magicamente nelle mani della società le chiavi di un futuro
nuovo fiammante, ma nella realtà, come dimostra il disastro della fuga in massa
degli iscritti dal Pd, si è limitato a smantellare quel poco di un organismo
sociale con qualche residua capacità orientativa, che cercava maldestramente di
sopravvivere nella bufera. Renzi, lungi dal convenire che la fuga in massa dei
militanti costituisce un problema, ha sciorinato subito la “giustificazione”:
sarà pure sparito qualche centinaio di migliaia di militanti del suo partito,
ma sono stati guadagnati alla sua causa milioni di elettori! Questi
rappresenterebbero la “macchina nuova” che lui consegnerebbe alla società. Ma
solo degli ignoranti possono considerare gli elettori come un qualcosa di
equivalente ai membri di un organismo sociale come un partito, anche se le sue
radici storiche si stavano rinsecchendo. La differenza che passa tra
l’appartenenza a un organismo sociale come un partito e il votare qualcuno è,
ai nostri giorni, la stessa che passa tra il convivere o lo sposarsi con una
persona per costruire un progetto di vita e lo sfogarsi con una prostituta per
un piacere occasionale. Pertanto, quando Renzi e i suoi seguaci vantano i
risultati delle elezioni europee, e minimizzano gli effetti devastanti delle
loro iniziative sull’organismo del partito, ogni persona dotata di
discernimento percepisce il millanta-mento e rifiuta di accodarsi alla
processione dei consenzienti. Un secondo indizio del procedere capovolto di
Renzi sta nella sua presunzione di “sapere perfettamente (!) quello che c’è da
fare”, cosicché non dovrebbe confrontarsi con un problema, bensì imporre una
soluzione che gli è nota. Come molti “giovanotti” rampanti, Matteo Renzi pensa
veramente che ciò che ha in mente abbia natura diversa dalle proposte e dagli
interventi di quelli che l’hanno preceduto negli ultimi decenni. Ma come recita
un antico detto francese “plus ça change, plus c’est la même chose”. Se
conoscesse un po’ di storia, Renzi saprebbe che nel 1929 dopo il crollo di
Borsa, il presidente Hoover negli Usa abbatté le imposte per ridare fiato agli
investimenti privati, ma non ottenne alcun effetto pratico; così come nel 1975
il premier Wilson in Inghilterra fece la stessa cosa, finendo a sua volta in un
cul de sac che lo costrinse alle dimissioni. D’altra parte, il tagliare le
tasse era lo slogan preferito di Reagan, della Thatcher e poi di Berlusconi.
(…). …ciò che Renzi cerca di presentare come novità mai pensate sono in realtà
ferri vecchi culturali. Ma uno di questi indizi è particolarmente
chiarificatore. Dopo cento anni di dibattito sul problema, la Costituzione
italiana, come quelle di altri paesi europei, ha riconosciuto nel 1948 che “il
lavoro è un diritto”. Poiché la vita sociale è fondata sul lavoro deve essere
garantita a tutti la certezza di poter lavorare. Ma Renzi non è convinto di
tutto ciò e ha proclamato apertamente che “il lavoro non è un diritto, bensì un
dovere”! Da questo punto di vista la Costituzione ha le idee ben più chiare di
Renzi, visto che non scinde affatto (art. 4) il diritto dal dovere. È infatti
proprio perché la Repubblica è fondata sul lavoro, che da un lato riconosce ai
cittadini un diritto al lavoro, dall’altro li chiama al dovere di svolgere un’attività
che arricchisca materialmente e culturalmente la società. Che nessuno, nella
direzione del Pd, sia scoppiato a ridere di fronte all’affermazione, la dice
lunga sull’amnesia sociale che ha colpito quel partito. E il fatto che Renzi
abbia riscosso un successo elettorale nonostante i discorsi che fa ci dice che
la società tutta è stata colpita da una sorta di Alzheimer, che le ha fatto
rimuovere la propria storia e la propria cultura, con la conseguenza di una
disintegrazione della sua stessa identità.
Da “Renzi,
specialità autointervista” di Andrea Scanzi, su “il Fatto Quotidiano” del
30 di maggio 2015: (…). Qualcuno potrebbe chiedersi perché, se c’è Renzi in tivù, non c’è
quasi mai un giornalista (troppo) “critico”. Il motivo è semplice: è Renzi a imporlo.
(…). Funziona così: Renzi va in tivù solo se, quasi sempre, si intervista da
solo. Accade in particolare da quando è Presidente del Consiglio, riverito come
nessuno prima di lui. Una delle leggende metropolitane vuole Renzi “bravissimo
mediaticamente”. È vero in parte: in qualsiasi bar toscano trovi personaggi più
simpatici di lui, ma è evidente che – se sei tu a decidere le regole del gioco
– tutti possono apparire efficaci. Ma proprio tutti. Persino Renzi. Anche in
questo, nella propensione monologante e nella concezione dispotica (“O con me o
contro di me”), Renzi è analogo a Berlusconi. Il quale, prima di essere la
controfigura di se stesso, era se non altro un genio (del male) della
comunicazione. Renzi neanche questo: è un epigono, un personaggio marginale
divenuto dominante grazie alla pochezza degli avversari (quasi tutti) e alla
compiacenza del giornalismo (quasi tutto). Se lo faceva Berlusconi era
inaccettabile, se lo fa Renzi è normale. Se lo diceva la Carfagna era
inaccettabile, se lo dice la Boschi è manna dal cielo. Funziona così, e
funziona male. (…). Negli ultimi giorni Renzi ha puntualmente invaso, quasi
sempre indisturbato, le tivù italiane. Lo ha fatto sfruttando un enorme potere
contrattuale: non è più in grado di drogare gli ascolti come un tempo, e le sue
supercazzole suonano già stantie, ma è pur sempre il Presidente del Consiglio.
Naturale che qualsiasi talk show lotti per averlo. Lui se ne approfitta,
punendo i programmi a lui sgraditi e frequentando la concorrenza. Formigli gli
sta antipatico? Lui va da Del Debbio. Santoro non lo sopporta? Lui va da Porro.
Paragone è poco filogovernativo? E lui fa il pallone in Champions League (non è
vero, ma potrebbe esserlo). Al massimo, nei contesti “infedeli”, spedisce al
massacro i renziani minori (Bonafè, Rotta) o i piddini che detesta (Fassina).
Quando poi in tivù lui non c’è, niente paura: ecco i sempiterni Rondolino e le
Meli a difendere il fortino renziano. (…). Il problema (…) riguarda (…) l’informazione
televisiva (e non solo televisiva) nel suo insieme: è accettabile che un
Presidente del Consiglio decida dove andare e dove no, scelga gli ospiti e
magari (in alcuni casi) pure le domande? O è piuttosto una stortura
terrificante, che molti reputano tollerabile perché Renzi ha la patente
dell’uomo di sinistra (come no)? Un simile stato delle cose ha generato
un’informazione persino più filogovernativa del solito. Come ha riassunto Carlo
Freccero, noto gufo disfattista: “C’è un servilismo nei confronti di Renzi che
è insopportabile, al confronto Berlusconi era sempre attaccato. Una cosa
vergognosa. Se fosse successo con Berlusconi saremmo andati in piazza tutti”.
Arduo dargli torto.
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