Sarà domani il 25 di aprile. Sarà
domani il 70° anniversario della “Liberazione”.
Sarà domani il tempo di “Pietà e memoria
fiori di primavera”, per come Maurizio Maggiani ha intitolato un Suo
bellissimo racconto per “ricordare e vivere”. L’immagine che
accompagna questo post è una straordinaria foto di quel tempo andato, una foto
di donne che hanno combattuto accanto ai “partigiani”. Una foto di giovani
donne che, chiamate all’impegno civile, hanno ribaltato i canoni del tempo
vestendo una racimolata divisa ed imbracciando un’arma. A quelle donne non può
non andare il nostro grato, commosso pensiero. Quante di quelle donne ritratte
nella foto sono tornate ai loro amori, ai loro affetti familiari? Di quella “pietà”
del Maggiani ne scrisse Cesare Pavese nel Suo straordinario, struggente volume “La
casa in collina” (redatto tra il settembre dell’anno 1947 ed il febbraio
dell’anno 1948) laddove concluse il Suo lavoro letterario così: “Io
non credo che possa finire. Ora che ho visto cos’è guerra, cos’è guerra civile, so che tutti, se un giorno
finisse, dovrebbero chiedersi: - E dei caduti cosa facciamo? Perché sono morti?
-. Io non saprei cosa rispondere. Non adesso, almeno. Né mi pare che gli altri
lo sappiano. Forse lo sanno unicamente i morti, e soltanto per loro la guerra è
finita davvero.
Ed ancor prima, laddove sorretto da umana comprensione
per tutti i morti di quell’atroce evento, ebbe ad annotare: Si ha
l’impressione che lo stesso destino che ha messo a terra quei corpi, tenga
noialtri inchiodati a vederli, a riempircene gli occhi. Non è paura, non è la
solita viltà. Ci si sente umiliati perché si capisce – si tocca con gli occhi –
che al posto del morto potremmo essere noi: non ci sarebbe differenza, e se
viviamo lo dobbiamo al cadavere imbrattato. Per questo ogni guerra è una guerra
civile: ogni caduto somiglia a chi resta, e gliene chiede ragione. Sulle
labbra di quelle donne appare un timido sorriso e c’è pure chi guarda lontano
come per intravvedere “la rossa primavera…”. Ed è
osservando i volti straordinari di quelle donne combattenti che è tornato alla
mia memoria quanto Umberto Galimberti ha scritto nel Suo “Vestali della memoria” sul quotidiano la Repubblica del 7 di giugno
dell’anno 2003, ovvero delle donne custodi della “Memoria”: (…).
Chi è custode della memoria se non la donna, il cui ancoraggio alla natura, che
al pari della donna è madre, la rende così solidale alla vita, da spingerla a
ricostruirla là dove passa la potenza distruttiva degli uomini, il cui
ancoraggio alla natura è davvero flebile
e immemore rispetto al fascino che su di loro esercita, quel campo da gioco che
è per loro la storia? Non la storia antica, che avendo parentela con l’origine
e la nascita delle civiltà è evento femminile, ma con la storia di oggi, che,
sradicata dalla memoria delle origini, è pura volontà di potenza. (…). Nell’occasione
di questo settantesimo 25 di aprile (ri)propongo due riflessioni ambedue
appartenute, originariamente, ad una rubrichetta che aveva per titolo “Eventi”,
rubrichetta dispersa oramai nelle oscurità profonde della “rete”. La
prima riflessione, che ha per titolo “Il
25 di aprile e la rossa primavera”, è stata postata il 25 di aprile
dell’anno 2008. Scrivevo nell’occasione: (…). Il 25 aprile ha segnato non solo la
fine della guerra, ma la fine del fascismo. Se oggi, a distanza di mezzo
secolo, ci sono candidati con la croce celtica al collo che non solo rinnegano,
ma vanno fieri della loro appartenenza agli ideali del fascismo, vuol dire che
il meccanismo della memoria non ha funzionato. Noi siamo la prima generazione
in questo paese che si batte non per conquistare nuovi diritti, ma affinché non
ci vengano tolti quelli conquistati dalle generazioni precedenti. (…)”. (Ascanio Celestini nel video per il 25 di
aprile postato su www.micromega.net). “…a conquistare la rossa primavera…”: è
il refrain che da qualche giorno, martellante, mi gira per la testa. Succede da
quando ho ascoltato, in una viuzza della mia città, il vecchio ritornello
suonato con un’armonica da un povero immigrato, chissà come giunto nel paese
del sole e della pizza. Suonava per i rari passanti della stradina, sperando di
ottenere da essi l’aiuto necessario ad una sopravvivenza senza grandi speranze.
Il suono mi è apparso malinconico, oserei dire addirittura patetico; un suono
senza slanci, svuotato di qualsiasi enfasi. Tutto è crollato oggigiorno, anzi
da un pezzo oramai; idealità e certezze svanite nel nulla del giro vorticoso
della storia, e quel suono, che ha risvegliato in me antiche speranze, vecchi
sogni per un futuro diverso se non migliore, si è diffuso nell’aria come quasi
un lamento venuto da lontano, chissà da dove, ed ha aleggiato in essa sino a
quando, svoltando di strada, non ho più inteso quelle struggenti melodie. Ed
inopinatamente, così come erano giunte ai miei orecchi, esse in verità
continuano a farsi sentire anche dopo giorni: quel suono improvviso ha compiuto
il miracolo di risvegliare antiche memorie, quelle che credevo perdute per
sempre. E chissà a quanti altri passanti, magari distratti e frettolosi,
quell’armonica avrà innescato “il meccanismo della memoria!”. Sono convinto
assai che un popolo che non coltivi le proprie memorie sia un popolo destinato
a ben tristi e miseri futuri, ad essere asservito ai più tirannici dei padroni,
ai moderni mediatici imbonitori. E con un meccanismo che non conosco mi sono
ritrovato oggi, 25 di aprile, a fischiettare il malinconico refrain, come ad
una festa per l’appunto tanto attesa e finalmente giunta. La festa della
Resistenza. La seconda riflessione, che ha per titolo “25 di aprile: la nostra festa?”, è stata postata il 25 di aprile
dell’anno 2011: (…). In sostanza, quando si dice che il fascismo è l’ultimo aspetto
della Controriforma, non si deve intendere che esso sia sorto e combatta per
imporre all’Europa la sottomissione alla Chiesa di Roma, la rinuncia alla
libertà religiosa, il ritorno all’unità cattolica che la rivoluzione
protestante ha spezzato per sempre. La parola Controriforma, per la critica
storica moderna, non ha soltanto un significato religioso. Nel fatto, il
fascismo, in quanto reazione al liberalismo, alla democrazia e al socialismo,
che dal pensiero protestante traggono origine e alimento (…) appare come una
conseguenza logica, se pur lontana, della controrivoluzione cattolica del
sedicesimo secolo e del diciassettesimo secolo… (…)”. Così ha lasciato scritto nel Suo volume “Muss. Il grande imbecille” – edizioni
Luni (Milano, 1999) – lo scrittore e giornalista Curzio Malaparte. Riforma/Controriforma.
È che, dalla seconda, non ci si è mai liberati completamente. Questa personale
convinzione mi spinge, arditamente, a dissentire da Paolo Flores d’Arcais che,
nel Suo pezzo “La nostra festa”,
pubblicato su “il Fatto Quotidiano”, che di seguito trascrivo in parte, di
questa realtà non tiene conto, o preferisce non farne menzione, ovvero di come
la Controriforma, mai e poi mai accantonata dalle gerarchie della chiesa di
Roma, non abbia consentito una nostra “liberazione” compiuta. È, a tutt’oggi, una
“nostra festa” mancata. E di come avvenga che, in particolari condizioni
politiche e sociali, essa, la Controriforma, sempre vigile ed attiva nel bel
paese, contribuisca a sminuire la portata di quella che giustamente dovrebbe
chiamarsi ed essere, per tutti gli abitatori del bel paese, “la nostra festa”,
che non lo è compiutamente per tantissime e larghe fasce di tiepidi,
cattolicissimi cittadini. Riforma/Controriforma; un binomio di contrapposte chiese, accomunate da un unico
denominatore comune per lunghissimi periodi della loro storia, ovvero
l’antisemitismo, apertamente pronunciato dall’agostiniano Martin Lutero, quello
delle 95 tesi di Wittenberg, e maldestramente camuffato dai vescovi della
chiesa di Roma. “(…) Il 25 aprile è (…) la
festa di tutti gli italiani perché è la festa della Liberazione, la festa della
vittoria della Resistenza antifascista. La Resistenza antifascista è dunque il
fondamento del nostro essere italiani. Chi della Resistenza antifascista nega o
disprezza o combatte i valori sta semplicemente minando e negando l’identità e
l’appartenenza che ci fanno Patria. Patria e Resistenza antifascista sono
sinonimi, fino a che l’Italia vuole restare Repubblica italiana e non collassare
di nuovo in quella mera espressione geografica di cui parlava Metternich. La
Resistenza antifascista fa tutt’uno infatti con la Costituzione repubblicana,
che nasce nel pieno esplodere della guerra fredda e che tuttavia custodisce
l’identità comune della Nazione, al di là di uno scontro politico sempre più
aspro, proprio perché radicata nell’impegno comune – fino al sacrificio della
vita – cui hanno saputo dar luogo i partigiani in montagna, i militanti dei
partiti clandestini nelle città, nelle carceri, in esilio. La Resistenza
antifascista, e la Costituzione che ne codifica la buona novella (firmata dal
democristiano De Gasperi e dal comunista Terracini, ed elaborata da figure
straordinarie come Calamandrei), rappresentano perciò una sorta di religione
civile, di ethos comune dell’Italia democratica, nel venire meno dei quali va
in pezzi la Patria stessa, e resta la nuda forza degli spiriti animali, le
ragioni di chi ha più potere ed eversivamente lo esercita in una sorta di
guerra civile soft. (…). Oggi 25 aprile, giorno della Liberazione, della
vittoria della Resistenza antifascista, è Festa nazionale. Festa dell’Italia.
Chi non vi partecipa toto corde è perciò contro la Patria, dell’Italia si fa
nemico”.
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